L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Zone di conforto

di Roberta Pedrotti

Pur con un esito finale senz'altro valido e sicuro, la Tosca del Regio di Parma sconta, più delle indisposizioni che hanno colpito la compagnia originaria, un'impostazione della stagione troppo impegnata a evitare i rischi.

PARMA, 23 maggio 2024 - L'eccesso di prudenza non giova al teatro e l'idea di puntare su quanto di più sicuro e rassicurante non è sempre garanzia di successo. Magari si eviterà il rischio del fiasco, ma senza rischi difficilmente si arriverà a un esito degno di nota e di memoria. Già sulla carta la stagione lirica 2024 del Regio di Parma pareva dichiarare di non voler uscire da una precisa zona di conforto: Il barbiere di Siviglia [la recensione], L'elisir d'amore [la recensione] e Tosca.  Niente Verdi, è vero (dopotutto in autunno c'è il Festival), ma è difficile pensare a un cartellone più tranquillo di così. Troppo, tranquillo, anche nelle scelte artistiche, con l'unica eccezione della nuova produzione dell'opera di Donizetti firmata da Daniele Menghini, che infatti resta l'unica scossa (positiva) in un cartellone che al massimo ha confermato alcune buone prove di singoli cantanti, ma ha rischiato anche spesso di annoiare.

Anche la Tosca conclusiva ha confermato subito nell'impianto un tranquillo déjà vu senza che si percepisse nessuna necessità, nessuna urgenza, nessun guizzo artistico che facesse dire che è valsa la pena vedere questa recita e non un'altra. Certo, la tragedia romana di Puccini è sempre un capolavoro che si ama ad ogni incontro; certo, lo spettacolo arcinoto di Joseph Franconi Lee da un'idea di Alberto Fassini, con le scene di William Orlandi è ormai un classico che non sorprende ma nemmeno spiace; certo, Daniel Oren in opere come questa si muove come un pesce nell'acqua e garantisce (insieme con i suoi ruggiti) la carica passionale che il pubblico si aspetta. Però, nulla che non sapessimo, che non si fosse già visto o sentito, nulla che rendesse unico e desse una scintilla di vita e necessità a queste recite. L'unico brivido, invero – e qui è il fato che ci mette lo zampino, senza responsabilità umane –, è venuto dalla girandola di cast dovuta a una doppia indisposizione: Anastasia Bartoli si trova costretta ad annullare questo incontro con Floria Tosca, per le prime due recite le subentra Maria José Siri e poi arriva Erika Grimaldi; Brian Jadge torna per le ultime repliche dopo aver ceduto i panni di Cavaradossi in extremis a Fabio Sartori. Resta sempre in sella il solo Luca Salsi, che gioca in casa sia perché originario del Parmense sia perché il ruolo del villain gli calza a pennello. Difatti è il trionfatore della serata e non solo “perché nato nel paese”: il suo Scarpia sa essere sanguigno e sottile, mai volgare o sopra le righe. Merita poi un elogio Erika Grimaldi per aver cantato anche le frasi che la tradizione vuol parlate. La sua presa di ruolo è recentissima, la sostituzione parmigiana fulminea: i margini di miglioramento ci possono senz'altro essere, ma stasera merita solo il plauso del pubblico, con il direttore che la gratifica del bis di “Vissi d'arte” (consuetudine, questa, assai amata da Oren). Più complesso è il discorso su Brian Jadge, che pare preoccupato in primo luogo di dimostrare di essere tornato in piena forma vocale, di possedere acuti sicuri e timbrati, senza badar troppo a legati e dinamiche. Ma Cavaradossi può tuonare finché vuole “La vita mi costasse” o “Vittoria”: se non ci si strugge per i dolci baci e le languide carezze, se non si vibra al pensiero della bruna, ardente Floria, non ci sarà acuto che tenga a compensar la perdita.

Il buon Sagrestano di Roberto Abbondanza completa il cast con l'efficace Angelotti di Luciano Leoni, lo Spoletta nervoso di Marcello Nardis, lo Sciarrone di Eugenio Maria Degiacomi, il carceriere forse troppo emozionato di Lucio Di Giovanni, il pastorello di Sofia Bucaram. Il coro preparato da Martino Faggiani fa assai bene quel poco – in termini quantitativi, ma fondamentale in termini qualitativi – che qui gli chiede Puccini, insieme con le voci bianche preparate da Massimo Fiocchi Malaspina. In buca c'è la Filarmonica Toscanini, presenza sempre di qualità.

Alla fine l'accoglienza del pubblico è calorosa, con comprensibili punte d'affetto per Salsi. Tuttavia si esce dal teatro senza una vera emozione, senza aver avvertito quel senso di necessità che dovrebbe essere alla base dell'espressione artistica, bensì il desiderio di coccolarsi in una zona di conforto. Nulla si può recriminare agli interpreti, ma non sempre giocare in difesa è la scelta giusta, non sempre i campionati si vincono con la strategia del catenaccio: figuriamoci in teatro!


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