L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Primi fra pari

di Irina Sorokina

Grande successo a Dresda per un Don Carlo che vedeva sfilare un cast internazionale d'eccellente livello.

DRESDA, 18 maggio 2024 - A metà maggio alla Semperoper di Dresda torna in scena Don Carlo, uno dei maggiori capolavori di Giuseppe Verdi, che ne lasciò ai posteri più versioni. Lo spettacolo coprodotto con il Festival di Pasqua di Salisburgo ebbe la première il 22 ottobre del 2021, e, quindi, è ancora presto per considerarlo datato. La messa in scena porta la firma della regista tedesca di origini bulgare Vera Nemirova che, con i suoi collaboratori,sceglie la versione milanese del 1884 col libretto tradotto dal francese in italiano da Achille de Lauzièrs e revisionato da Angelo Zanardini. L’eliminazione del primo atto della versione francese con il magnifico duetto di Don Carlo e Elisabetta è, sicuramente, un gran dispiacere per melomani, ma qui a Dresda li aspetta una sorpresa non da poco. Ci vuole tempo per capire e accettare il fatto di una curiosa sostituzione del primo atto della versione francese: al pubblico viene proposta una specie di prologo che racconta la nascita d’amore tra la principessa francese Elisabetta di Valois e l’infante di Spagna Don Carlo. Una scelta che desta molti dubbi: ben venti minuti di musica elettronica firmata Manfred Trojahn che serve da sottofondo ai movimenti di due ragazzini (nei ruoli di Elisabetta e di Carlo innamorati ci sono Malwina Stepien e Brian Scalini, coreografia di Altea Garrido) che si giocano tra candidi gigli, mentre sopra la scatola scenica scorgono le scritte di carattere storico con le spiegazioni della complicata situazione politica europea dell’epoca, che distrugge i sogni di due giovani e getta la principessa nelle braccia del cupo re Filippo Secondo. Finito il prologo, ci si torna nella Spagna reale, al chiostro del convento di San Giusto, dove Don Carlo, tormentato, assiste al passaggio di suo padre con la moglie, l’ex fidanzata persa per sempre.

Lo spettacolo della Nemirova non è privo di un certo fascino, ma soffre di mancanza di idee chiare. Dopo il prologo di qualità discutibile, i primi due atti sono di stampo tradizionale, ambientati in una biblioteca (le scenografie di Heike Scheele), forse per alludere al fatto che all’epoca in cui si svolge Don Carlo apparvero i primi libri stampati e non più copiati a mano. Gli scaffali arrivano fino al soffitto e ospitano migliaia di libri; in questo luogo speciale sono ammessi i monaci seduti ai tavoli e immersi nello studio. La biblioteca appare come l’ambiente naturale per il re Filippo, l’infante Don Carlo e il liberale Rodrigo, ma è presente anche nelle scene successive, con l’aggiunta degli elementi diversi sul proscenio, come una fontana nel secondo atto. Sobri ed eleganti sono i costumi firmati Frauke Schernau ispirati dagli abiti d’epoca ed elaborate con cura le luci di Fabio Antoci.

La scena di autodafé viene spostata in un’epoca diversa, col coro che veste giacche e pantaloni per uomini e abiti da sera per donne dei tempi moderni; sul palcoscenico è trasferito un gruppo nutrito dei professori d’orchestra. L’idea di una tale trasposizione appare arbitraria e nulla aggiunge al senso dell’opera verdiana, rimanendo di carattere decorativo, mentre la presenza dei membri dell’orchestra all’autodafé rimane un enigma vero e proprio. Per fortuna, c’è anche un’idea felice: non far apparire i condannati e limitarsi di far vedere le fiamme da sotto il palcoscenico.

Esattamente come per Otello, visto la sera prima, anche Don Carlo vanta un cast internazionale di alto, anzi, altissimo livello.

Nei panni di Filippo II Alexandros Stavrakakis potrebbe essere definito primus inter pares : la natura gli ha fatto il dono di una voce di basso eccezionale, senza esagerazione alcuna, voluminosa, profonda, virile, dal timbro prezioso che vagamente potrebbe ricordare quella del bulgaro Boris Christoff. La giovane età del cantante non ostacola un'interpretazione di sorprendente maturità; davanti ai nostri occhi appare un vero re dal quale dipendono i destini del mondo, un uomo dalla psiche complicata, un tiranno, un Nerone sì, ma dall’animo non privo di nobiltà. Il canto di Stavrakakis colpisce già nel duetto con Rodrigo, ma nella celebre aria “Ella giammai m’amò” arriva un prezioso momento di catarsi per tutti presenti in sala. La voce riempie la sala della Semperoper, nella prima parte del brano si sentono note di dolore che non possono lasciare indifferente chi le ascolta, nella seconda l'abbandono alla melodia assume una forza espressiva grandiosa. Un effetto profondo fanno un paio di frasi musicali suonate da Stavrakakis al violoncello, dettaglio che rende più umano il personaggio di Filippo II.

Decisamente brillante il soprano russo Elena Guseva nel ruolo Elisabetta di Valois, già apprezzata inMadama Butterfly al Bregenzer Festspiele. La voce di autentico soprano lirico spinto, sicuramente, al chiuso viene apprezzata ancora di più che all’aperto, nell’aria umida del lago di Costanza. Una grande interpretazione, la sua, ben studiata e profonda che con ogni assolo o duetto contribuisce all’arricchimento della sua eroina. Entrambe le arie e il grande duetto finale con Carlo sono cantate nel modo esemplare, rivelano una grande comprensione del testo, legato perfetto, chiaroscuri raffinatissimi.

Con grande soddisfazione si può constatare un’ulteriore crescita artistica del tenore rumeno Stefan Pop. Il ricordo del suo Duca di Mantova rimane piacevolissimo, ma in Don Carlo a Dresda abbiamo un artista in piena maturità artistica, consapevole di quel che sta facendo e cantando; la voce sembra aver acquistato maggior smalto e lucentezza. In un ruolo piuttosto ingrato, se confrontato con gli altri dell’opera verdiana, Pop fa una bella figura, tra l’approccio naturale e credibile al suo personaggio e il canto pulito, dal legato magnifico e dal declamato molto espressivo.

La principessa Eboli di Julia Matochkina ai molti appassionati d’opera potrebbe risultare la vincitrice dell’involontaria competizione vocale in questo Don Carlo sul suolo tedesco. La sua voce di mezzosoprano è davvero un dono naturale: il timbro splendido, ricco di sfumature, i registri omogenei, la tecnica impeccabile. La cantante russa conquista e colpisce in entrambe le arie che Verdi regalò alla sua eroina, la Canzone del velo e “O don fatale”.

Christoph Pohl nei panni di Rodrigo, secondo il nostro parere, è un altro primus inter pares: il suo modo di fare e il portamento aristocratico fanno apparire il marchese idealista - e idealizzato - come vivo. In armonia con queste doti splendide si trovano la sua voce di autentico baritono nobile, bellissima da ascoltare, il suo accento variegato, le sue movenze eleganti. Ideale in canto e ideale in recitazione, Pohl regala un’interpretazione emozionante di “Per me giunto è il dì supremo” e “Io morrò” in cui sfoggia una cavata di sublime, irresistibile dolcezza irresistibile e porta il pubblico a un’estasi.

Di caratura impressionante il Grande inquisitore di Taras Shtonda, dotato di una voce di basso fuori dal comune per il volume e la profondità. Il suo duetto con Filippo tuona nella sala della Semperoper, producendo un grand’effetto emotivo, quasi raggelante. È lunga la lista dei comprimari – e non vorremmo chiamarli tali –, tutti gli artisti preparati brillantemente: Joseph Dennis (il conte di Lerma), Domenika Škrabalová (Tebaldo), Gerard Hupach (un araldo), Oleksandr Pushniak (un monaco), Nikola Hillebrand (una voce dal cielo), Sebastian Wartig, Ilya Silchuk, Gerrit Illenberger, Anton Beliaev, Rupert Grössinger, Martin-Jan Nijhof (sei deputati fiamminghi).

Il direttore spagnolo Jordi Bernàcer, che offre la lettura sobria della partitura verdiana; l’orchestra di Sächsische Staatskapelle Dresden sfoggia suono potente, brillante e armonioso. Supera ogni aspettativa il Sächsisher Staatsopernchor Dresden, preparato da André Kellinghaus con l’aiuto di Claudia Sebastian-Bertsch, sia per la qualità musicale sia per la sapiente partecipazione all’azione.

Questo fosco e emozionante Don Carlo sassone non può essere che un successo grandioso e sicuramente ha davanti a sé una lunga vita ; il pubblico gli riserva gli applausi a non finire e non vuole lasciar andare via i protagonisti.


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