L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sfumature di teatro

di Roberta Pedrotti

Con Don Giovanni prosegue il progetto triennale del Comunale di Bologna dedicato alle opere di Mozart e Da Ponte con la direzione di Martijn Dendievel e la regia di Alessandro Talevi. 

BOLOGNA 26 maggio 2024 - Dopo il bel risultato delle Nozze di Figaro dello scorso anno [Bologna, Le nozze di Figaro, 21-23/05/2023], l'attesa per la seconda tappa della trilogia mozartiana firmata Dendievel/Talevi al Comunale (Nouveau) di Bologna era molta, le aspettative alte. Ma sarebbe sbagliato equiparare semplicemente le due opere e anzi elevare le speranze alla potenza del mito del Burlador. La folle giornata nel castello degli Almaviva è un meccanismo collettivo di incontri e scontri fra sessi, generazioni, ceti sociali, l'ingranaggio della commedia impeccabile, fatta salva giusto la serie di arie che occupa metà del quarto atto. La corsa all'abisso del Burlador di Siviglia, invece, è lo scontro di un singolo contro la società tutta, attinge al sublime più che all'equilibrio, tanto più se ci si attiene ancora alla tradizionale fusione fra le versioni di Vienna e di Praga, che offre una quantità inebriante di musica magnifica ma anche una drammaturgia meno limpida. Dunque, non ci si può attendere da Don Giovanni quel che ci si attende dalle Nozze di Figaro; l'adrenalina iniziale, già turbata dalla notizia che Olga Peretyatko (Donn'Anna) è indisposta e sarà sostituita da Valentina Varriale (prevista nella compagnia alternativa), si mette gradualmente in sintonia con lo spettacolo che cresce man mano, sempre più convincente e compiuto.

L'attacco della sinfonia già delinea quella che sarà la cifra distintiva del Mozart di Martijn Dendievel, più morbido che nervoso, portato a definire delicate atmosfere timbriche più che a sferzare accenti mordenti. Eppure, non si tratta di un Mozart acquarellato, di una leziosa porcellana rococò; il concertatore belga ha ben chiara una visione non priva di ombre e interne tensioni – belle assai, difatti, le scene notturne – e che non sente il bisogno di calcar la mano e imporre un proprio protagonismo di cartapesta. Semmai, Dendievel pone al centro le ragioni del canto, vocale, strumentale, teatrale con gusto e sicurezza, confermandosi una confortante, seria giovane presenza (è nato nel 1995) in un mondo sempre a caccia di baby fenomeni.

Al nitore e ai chiaroscuri della bacchetta risponde bene la regia di Alessandro Talevi, che propone con saggezza elementi di continuità rispetto alle Nozze di Figaro dello scorso anno. Perché si tratta di opere, abbiamo detto, profondamente diverse, ma pure profondamente legate, anche senza scomodare Kierkegaard, nel passaggio da Cherubino a Don Giovanni, nell'intreccio fra le possibili declinazioni dell'eros e la società. Alla maniera del teatro classico, abbiamo una scena fissa, un bivio (interno o esterno) con due accessi a direzioni opposte, ma sono anche gli stessi elementi visti nelle Nozze di Figaro lo scorso anno e li attraversano, all'occorrenza, le stesse proiezioni (di Marco Grassivaro): fantasmi di desideri, figure femminili seducenti o sedotte. In più si inserisce l'elemento metateatrale, non il solito rifugio nel gioco svelato dietro le quinte, ma in un turbinare di riferimenti al cabaret, alle marionette, a contesti temporali diversi: è o non è un mito Don Giovanni? Non indossa mille maschere? Non attraversa forse le epoche come il teatro stesso? Soprattutto, in definitiva, lo spettacolo non stanca mai, è retto con mano sicura e si chiude con coerenza.

Peccato, allora, che al protagonista Nahuel Di Pierro difetti proprio quel carisma che per Don Giovanni dovrebbe essere conditio sine qua non. In effetti, già in passato aveva dimostrato di trovarsi più a suo agio in figure di pacata saggezza (Noé a Bergamo: Bergamo, Il diluvio universale, 17/11/2023) che non in controversi antieroi dai tratti demoniaci (Assur a Pesaro: Pesaro, Semiramide, 11/08/2019). La ricerca di colori può essere lodevole, sebbene il tentativo non giovi sempre alla bontà dell'emissione. Trova comunque un buon affiatamento con il Leporello di Davide Giangregorio, puntuale e misurato. Del Don Ottavio di René Barbera si apprezza la sana pienezza del canto, per un Mozart piacevolmente latino soprattutto nell'aria del secondo atto. Completano il coté maschile il Masetto di Niccolò Donini e il Commendatore di Abramo Rosalen.

Le tre donne oggetto delle attenzioni del Burlador sono ben differenziate.Valentina Varriale comincia un po' in sordina, si rinfranca poi ma resta cauta, ed è comprensibile date sia la difficoltà della parte di Donna Anna, sia la situazione che l'ha vista subentrare già alla prima. Karen Gardeazabal presta a Donna Elvira un canto ben levigato, tenendo più fede all'”aspetto nobile” ammirato da Anna e Ottavio che alla pazzia attribuitagli da Don Giovanni. La Zerlina di Eleonora Bellocci evita leziosaggini e fa passare in secondo piano un vibrato non sempre accattivante.

Con l'apporto anche del coro preparato da Gea Garatti Ansini, lo spettacolo veleggia sicuro risultando sempre più convincente, anche senza particolari brividi nella compagnia di canto. Dopotutto, non è certo la prima volta che lo si ripete: una compagnia di canto favolosa potrà offrire bei momenti, ma non esprimersi al meglio se mancano la direzione musicale e teatrale; con un concertatore e un regista di valore, invece, ogni compagnia può sviluppare al massimo le proprie qualità.


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