L’Ape musicale

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Senza fine

di José Noé Mercado

Non convince al Palacio de Bellas Artes di Città del Messico la nuova produzione di Turandot nella versione che si conclude con la morte di Liù.

“Le sue opere possono essere compiute, però

quel che è certo è che non sono cominciate”

James Abbott McNeill Whistler

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CITTA' del MESSICO, 23 giugno 2024 - Il 2024 è un anno di notevoli anniversari lirici. Oltre al centosessantesimo compleanno del compositore tedesco Richard Strauss (settantacinquesimo anniversario della sua morte) e al centocinquantesimo anniversario della nascita del suo librettista chiave, il poeta e drammaturgo austriaco Hugo von Hofmannsthal, il mondo della lirica commemora un secolo dalla morte di Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 - Bruxelles, 29 novembre 1924), pietra miliare e forse ultimo della scuola classica italiana.

Il suo catalogo comprende dodici opere che, tra gli altri aspetti, includono la fantasia, la lacerazione emotiva, l'esotismo orientale e americano e, naturalmente, il dramma sentimentale, la commedia satirica e la durezza del realismo.

Turandot, l'ultima di queste, incompiuta e completata da Franco Alfano, fu rappresentata postuma il 25 aprile 1926, alla Scala di Milano. La risoluzione di quest'opera, che ha un libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni basato sul testo teatrale di Carlo Gozzi, è ovviamente sempre raggruppabile nell'ambito dell'arte non finita, ma ciò non ha impedito di cercare di dare non solo un epilogo alla partitura e alla sua storia, ma anche aderenza stilistica, congruenza drammatica e tessuto psicologico alla trama e ai personaggi.

Ma già dal primo tentativo ci furono obiezioni. Il leggendario direttore d'orchestra Arturo Toscanini disapprovò la proposta iniziale di Alfano, e la successiva (da eseguire a partire dalla seconda rappresentazione) non fu eseguita alla prima. Il concertatore interruppe l'esecuzione all'ultima battuta composta da Giacomo Puccini, spiegandolo al pubblico.

Da allora e fino ai giorni nostri, anumerosi compositori hanno suonato il gong per tentare la missione di completare Turandot, andando generalmente incontro alla stessa sorte (la decapitazione delle loro proposte) degli aspiranti alla mano della principessa cinese di ghiaccio e morte, protagonista di questa favola dalle radici persiane.

Luciano Berio, Janet Maguire, Hao Weiya, Anton Coppola o il vincitore di un Grammy Christopher Tin - l'ultima fatica, che debutterà nel maggio 2024 alla Washington National Opera - hanno tentato diversi finali dell'opera, addirittura - come nel caso di Tin, che ha collaborato con Susan Soon He Stanton, acclamata sceneggiatrice di Succesion della HBO - riscrivendo parte del libretto, che da un punto di vista creativo sembrerebbe il più propizio.

E tutto questo non è un insulto o un tradimento di Puccini come suggeriscono i programmatori teatrali - storicisti o conservatori - della Turandot nello stile della prima diretta da Arturo Toscanini. Vale a dire, incompiuta; come se lasciarla incompleta fosse di per sé un segno di rispetto e di omaggio e non di disorientamento per il pubblico meno informato o di franco provincialismo.

Nel caso della Scala di Milano e di altri teatri con abbondante tradizione e produzione operistica - con cui collaborò persino Puccini - la questione si complica, poiché può essere letta non solo come una proposta lontana dallo snobismo, ma come un uso e una consuetudine specifici, che certamente non si addicono a qualsiasi compagnia in base alla sua storia e alla comunità a cui si rivolge, soprattutto se offre una scarsa attività e una limitata esposizione annuale al suo pubblico, come nel caso del Messico.

La Compañía Nacional de Ópera de Bellas Artes, guidata dal soprano María Katzarava, ha scelto la versione incompiuta di Turandot per commemorare il centenario della morte di Puccini, in quattro rappresentazioni di una nuova produzione presentata il 23, 25, 27 e 30 giugno.

Da questa messa in scena del regista spagnolo Ignacio García - una produzione in sostanza molto simile a quella che ha sostituito - il pubblico ha potuto constatare che la mancanza di un epilogo a questa storia lascia un'enorme frustrazione a chi ha seguito la trama per più di due atti, e che l'anticlimax distorce il senso drammatico di ciò che il compositore e i suoi librettisti hanno scritto, al punto che la principessa cinese eponima dell'opera perde il suo protagonismo, lasciando il posto alla schiava Liù.

Gli atteggiamenti, le parole e le azioni di Turandot, così come quelle del principe Calaf - persino quelle dello spietato boia imperiale Pu-Tin-Pao, che commosso dal suicidio dell'ancella si toglie il cappuccio e consegna la sua arma in uno sdolcinato gesto di pentimento e redenzione - non hanno più senso. Tutto per cosa?

La proposta scenica, come nella precedente produzione di questo teatro, si basa su uno schermo sullo sfondo dove viene proiettata la luna, sui colori e su alcuni altri elementi come il gong e persino un paio di pupazzi che alludono alla principessa Turandot; c'è poi un'onnipresente scalinata, questa volta disposta con un asse diagonale a destra della platea, che a volte costringeva alcuni solisti a cantare alcuni passaggi verso il fondo del palco e non verso la platea.

Altri concetti particolari della produzione - scenografia di Jesús Hernández, luci di Ángel Ancona, costumi di Carlo Demichelis e Jerildy Bosch, con movimenti scenici di Rodrigo Vázquez Maya - sono stati, ad esempio, la rottura della quarta parete durante l'aria "Nessun dorma", quando i membri del coro si sono avvicinati al fondo della platea con le lampade per cantare le loro battute, o Liù che suggerisce almeno una risposta a Calaf durante la scena degli enigmi. Un simile inganno non dovrebbe comportare la squalifica automatica e la morte dell'inconsapevole principe e della schiava?

Sebbene il Coro del Teatro de Bellas Artes preparato da Jorge Alejandro Suárez - con la partecipazione del Grupo Coral ÁGAPE diretto da Carlos Alberto Suárez - abbia avuto un'eccezionale partecipazione vocale in un repertorio e in un'opera che i suoi membri conoscono nelle sue intenzioni e nei suoi colori, il suo rendimento è stato un po' irregolare, cosa che si è percepita maggiormente nelle scene solenni e persino ieratiche, dove con il movimento libero - senza immobilità o al contrario senza coreografie - e la confusione data dai costumi Hanfu toglieva pulizia e ordine alla scena.

Se quanto detto sulla versione incompiuta dell'opera sminuiva il rilievo di Turandot e Calaf, la prestazione vocale degli interpreti lo toglieva completamente. Il canto del soprano canadese Othalie Graham è stato condizionato dallo stridore e da un vibrato allargato, che ha affuevolito il suo brillante colore metallico e ha reso difficile il controllo del volume e delle sfumature espressive. Nel 2012, la Graham aveva interpretato questo stesso ruolo a Monterrey, Nuevo León, con eleganza e qualità decorose, ma questa volta, dodici anni dopo, la sua partecipazione non è stata più molto gratificante.

Il tenore messicano Héctor López ha dato un Calaf insufficiente, un personaggio e una sfida vocale che non è riuscito a colmare nemmeno con il sovraffaticamento della sua trasmissione. Il cantante, che agli esordi ha affrontato il repertorio belcantistico come il Conte Almaviva ne Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, sembra aver fatto un salto troppo grande nelle leghe drammatiche o di spinto, mettendo a nudo i suoi limiti. E non perché il suo canto e la sua tecnica mostrino grandi difetti, ma perché è chiaramente fuori dal repertorio e non lo percepisce. Oltre a sovraccaricare il colore della voce - un'imitazione persino del portamento del leggendario Mario del Monaco, senza esserlo o sembrarlo - strangola il suo strumento e, senza fiato per il fraseggio generoso o la zona acuta, perde l'occasione di affrontare il ruolo secondo le sue caratteristiche proprie, molto più leggere di quelle che cerca di mostrare.

Molto più confortante il soprano Leticia de Altamirano nel personaggio di Liù. Con un canto lirico sano e un timbro piacevole nel registro medio, acquisendo in acuto maggiore brillantezza e armonici, senza dimenticare status di martire con cui il suo personaggio conclude la versione incompiuta dell'opera, la Altamirano ha portato a termine la performance fra i calorosi applausi di un pubblico un po' disorientato.

Tra il resto del cast, si segnalano le performance del tenore Álvaro Anzaldo (Altoum-Príncipe Persa) e del basso Jesús Ibarra (Timur). Ping, Pang e Pong sono stati affidati rispettivamente al baritono Hugo Barba, al tenore Gerardo Rodríguez e al tenore José Luis Rodríguez, beneficiari del Programa de Residencias Artísticas en Grupos Estables di Inbal.

Dopo anni di assenza, il maestro Enrique Patrón de Rueda è tornato in buca con il suo caratteristico entusiasmo e l'abbondante esperienza lirica che lo contraddistingue. Sebbene l'orchestra non abbia particolarmente enfatizzato i colori esotici del suo suono, ha ottenuto un accompagnamento stabile che ha fornito sostegno ai solisti - sfida non da poco viste le condizioni dei protagonisti - e passaggi vibranti in cui la musica di Puccini si impone su arbitrii e aggiunte che non mancano mai.


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