L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Stupiscimi

di Irina Sorokina

In un allestimento che immagina il protagonista in versione femminile, brillano le prove di Anna Goryachova (Tancredi), Melissa Pétit (Amenaide), Antonino Siragusa (Argirio) e Laura Polverelli (Isaura).

BREGENZ, 18 luglio 2024 - “Stupiscimi!”, diceva ai suoi artisti il grande conoscitore d’arte e impresario russo Sergey Diaghilev della prima metà del secolo scorso. Non c’è un legame diretto tra la sua opera e il Bregenzer Festspiele, tuttavia il festival austriaco sulla riva del lago di Costanza, Bodensee, sembra avere qualcosa in comune con la politica artistica di Diaghilev. Quando si va a Bregenz, si può essere sicuri: non ci si rimane mai indifferenti e ci si rimane sempre stupiti. Stupiti di molte cose, bellissimi luoghi, politiche artistiche, originalità e grandiosità degli allestimenti: il Bregenzer Festspiele 2024 mantiene le promesse.

Al chiuso, sul palcoscenico del moderno Festspielhaus viene proposto il Tancredi rossiniano e, già prima di accomodarsi sulla poltrona, c’è un presentimento: ci aspetta qualcosa di interessante, discutibile, provocatorio, sul crinale dello scandalo. La Germania e gli altri paesi di lingua tedesca da sempre sono dediti alla libertà del pensiero per quanto riguarda il concetto registico: a Berlino, Stoccarda e Amburgo, a Bregenz e Graz il cosiddetto Regie Theater è di casa e non fa certo scandalo. Ma rimanendo quasi rapiti dalla qualità musicali – e soprattutto vocali – del nuovo Tancredi al Festspielhaus sulle rive del Bodensee, non si possono evitare dubbi e domande. La messa in scena firmata da Jan Philip Gloger è complessa e coraggiosa, affascinante e discutibile, un esempio del Regie Theater che non scherza e va dritto per la propria strada. La storia che prende vita nella versione scenica del capolavoro del giovane Rossini si allontana definitivamente dalla tragedia di Voltaire e dall’opera del Pesarese; Gloger la trasforma in un racconto di lotta tra due clan mafiosi, dell’amore omosessuale e ovviamente proibito tra Tancredi e Amenaide e del matrimonio che vuole Argirio per sua figlia. Non gli importa nulla dell’usanza tipica del primo Ottocento proveniente dal Settecento di impiegare le voci femminili per i ruoli maschili: Tancredi è un contralto e per il regista è una donna. Il concetto dell’amore lesbico, non chiarissimo dall’inizio, si rivela quando Tancredi mette Amenaide al muro per baciarla e si toglie la maglietta: sotto indossa il reggiseno.

Al Bregenzer Festspiele la storia dell’amore proibito è inserita nell’ambiente mafioso, le rispettive famiglie degli (pardon, delle) amanti infelici sono trasformate in due clan che non guardano in faccia a nessuno, nemmeno ai propri figli. E non basta; cambia anche la geografia e la Sicilia medievale viene mandata in pensione e sostituita da un paese da qualche parte in Sud America. Qui la figura del maschio regna in pieno, gli uomini sono crudeli, impietosi, violenti e, ovviamente, tradizionalisti, non accetteranno mai l’amore tra due ragazze. Gloger costruisce abilmente le scene che illustrano lo stile di vita e le usanze dei clan mafiosi dediti alla droga e ai conflitti armati senza mai dimenticare delle preghiere. E non dimentica i magnifici stuntman, la formazione artistica ginnica che dà al Bregenzer Festspiele un’ulteriore originalità; uomini dal fisico statuario, dediti ai combattimenti e alle acrobazie spettacolari, tutti vestiti di nero, completano il quadro dell’esistenza mafiosa.

Lo scenografo Ben Baur ambienta la storia delle amanti infelici in una casa imponente da molti ambienti che occupa tutto il palcoscenico del Festspielhaus, la dimora della famiglia di Amenaide. La casa gira, rivela locali diversi e crea nello spettatore un effetto di presenza. E davvero curioso poter sbirciare nella vita altrui, soprattutto nella vita di un clan mafioso; l’occhio scivola tra la camera da letto di Amenaide, la cucina vissuta strapiena di cose varie, il cortile con un bacino pieno d’acqua. La famiglia sarà ricca, ma la casa è decisamente datata, sembra destinata di soffocare i desideri di chi ci vive. Un paragone chiaro fra la vicenda dell'opera e quella degli amanti veronesi è un balcone, da lì Amenaide lancia le sue dichiarazioni d’amore a Tancredi, rannicchiato sotto.

Cos’è, alla fine, il nuovo Tancredi al Bregenzer Festspiele? Un ennesimo caso del Regie Theater? Una messa in scena che sa di fantasia, azzardo, provocazione? Non le si negano tutte queste cose, ma si ammette che il teatro di regia tedesco è quasi sempre fantasioso e non di rado arbitrario e provocazione e azzardo fanno parte della sua natura. Qui, forse, è presente un elemento di scandalo, l’amore lesbico tra Tancredi e Amenaide. Troviamo la vera sostanza della produzione nell’arte sublime dei cantanti, soprattutto di sesso femminile, come il mezzosoprano russo Anna Goryachova e il soprano francese Mélissa Petit. Si è mai sentito Tancredi cantato bene, anzi, benissimo? Certo, non capita spesso, ma questo desiderio venne soddisfatto pienamente da una lunga serie di produzioni del Rossini Opera Festival: nel 1982, 1991, 1999, 2004. Tuttavia, parlando delle recite a Bregenz, la Goryachova e la Petit vanno ben oltre una bella esecuzione dei rispettivi ruoli; tra due artiste si forma una preziosa complicità, espressa tramite il profondo contatto umano tra gli innamorati e tramite la perfetta armonia nel canto, morbidissimo e ricchissimo di sfumature. Riescono a disegnare una forma d’amore sublime, non importa, se eterosessuale o omosessuale. Lo stesso Gioachino sarebbe rimasto incantato, se avesse sentito queste due voci; caldo e vellutato lo strumento del mezzo soprano russo, forte di una tecnica stupefacente e della capacità di fraseggiare in modo raffinatissimo; celestiale e squillante lo strumento del soprano francese. Entrambe prima fanno trattenere il respiro del numeroso pubblico in celebri assoli quali “O patria… Di tanti palpiti” di Tancredi e “Di mia vita infelice” di Amenaide, e poi lo mandano letteralmente in delirio.

A fianco delle due donne, c'è il formidabile Antonino Siragusa nel ruolo d‘Argirio; dopo tanti anni di gloriosa carriera, di storiche interpretazioni al Rossini Opera Festival riesce ancora a stupire. La voce chiara, pulita, letteralmente vola per riempire lo spazio piuttosto grande del Festspielhaus, la dizione è talmente limpida e la parola talmente ben scolpita che anche i sordi avrebbero potuto apprezzarle: anche per il tenore siciliano è un autentico trionfo.

Anche Laura Polverelli è una storica presenza del ROF e dona la sua voce di mezzosoprano per una resa imponente del personaggio d’Isaura, mentre Andreas Wolf è un corretto Orbazzano.

Meno incisiva e non del tutto adeguata la direzione affidata alla bacchetta della taiwanese Yi-Chen Li che guida i Wiener Symphoniker. Sufficientemente drammatica, è poco energica, segnata da tempi dilatati che sanno di fiacchezza e da sonorità poco brillanti: il contrasto tra l’esecuzione musicale e l’azione scenica è evidente. Ammettiamo che “il danno” è perdonabile vista il livello altissimo della compagnia di canto e il grande contributo del Prague Philarmonic Choir molto coinvolto anche nel disegno di regia.

Un gran successo per la produzione contraddittoria, ma, senza alcun dubbio, interessante, applausi a non finire e espressioni d’ammirazione quasi estasiate rivolte al quartetto degli interpreti principali. “Stupiscimi!”: il motto di Diaghilev è perfetto per la nuova produzione del Bregenzer Festspiele.


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