L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La luna l’abbiamo vicina

di Luca Fialdini

Felice esito, dopo due titoli poco soddisfacenti, per La bohème al Festival Puccini di Torre del Lago

TORRE DEL LAGO, 27 luglio 2024 – Il titolo d’esordio, quel dittico Edgar/Le Willis, e la successiva Manon Lescaut sono stati molto al di sotto delle aspettative per questo attesissimo Festival Puccini, contesa da una parte dal centesimo anniversario della morte del sor Giacomo e dall’altra dalla ricorrenza tonda della 70^ edizione. È quindi un piacere – e diciamolo pure, un sollievo – che La bohème incassi un risultato di segno opposto e per due motivi precisi: l’ideazione scenica e il cast.

La parte visiva, cioè regia, scene, costumi e luci è firmata da Massimo Pizzi Gasparon e propone i tre elementi che ormai conosciamo fin troppo bene, cioè il bianco caratteristico che ormai potrebbe essere depositato come Bianco Pizzi, il ledwall e la piattaforma girevole; quello che cambia è il loro uso. La presenza del ledwall è molto meno invasiva e da succedaneo tout court della scenografia si trasforma in un fondale davanti al quale è posta una bianchissima costruzione che, ruotando, diventa ora il Caffè Momus, il cabaret della barriera d’Enfer e naturalmente la soffitta di Rodolfo (la «bianca cameretta» era quella di Mimì, ma ora non facciamo il pelo alle mosche). Per quanto tradizionale, l’impianto scenico funziona benissimo, senza se e senza ma: tutto è concorre positivamente allo svolgersi della narrazione e i movimenti della scenografia non fanno altro che accompagnare in modo riuscito le transizioni da un quadro all’altro. Ci sono alcuni punti deboli e il principale è costituito dal fatto che la regia non offra una lettura del testo ma si limiti a (in)seguire il libretto: anche nello spettacolo più tradizionale, perfino reazionario, esiste un ampio margine per proporre una visione personale e senza uscire da una rappresentazione realistica; ad ogni buon conto, quello realizzato da Pizzi Gasparon è uno spettacolo gradevole, di disimpegno e con qualche piacevole guizzo da Broadway come le splendide coreografie di Gheorghe Iancu. Se il vostro interesse è una serata di riuscito intrattenimento a teatro, questa Bohème fa senz’altro per voi.

Non particolarmente convincente la direzione di Michelangelo Mazza. Nella globalità assicura un efficace sostegno al canto e una buona coesione fra palco e buca, ma il suo gesto manca di verve e persino il finale del secondo atto risulta stranamente spento. In questo ha avuto il suo peso anche la scelta di tempi davvero troppo lenti e, sebbene gli esempi siano in numero consistente, basti ricordare il duetto “Addio, dolce svegliare alla mattina” staccato a un tempo così seduto da mettere in difficoltà le voci. Ne consegue anche poca freschezza da parte dell’orchestra, tuttavia corretta nel complesso; più solido il coro preparato da Roberto Ardigò rispetto ai due titoli precedenti e buona prova da parte del coro di voci bianche diretto da Viviana Apicella.

La cosa migliore di questa produzione è però il cast dei solisti, tanto per il valore dei singoli interpreti quanto per l’affiatamento che arriva in platea. Convincenti i comprimari Alessandro Ceccarini (Un doganiere), Italo Proferisce (Alcindoro/Sergente dei doganieri) e Saverio Pugliese (Parpignol), con un’attenzione speciale per Stefano Marchisio e il suo riuscitissimo Benoit.

Efficace e ben centrato lo Schaunard di Gianluca Failla, mentre Adolfo Corrado impersona un Colline dai tratti delicati e dotato di una linea di canto davvero curata. Meritati applausi anche per Sara Cortolezzis: la sua è una Musetta sensuale, gioca con la frivolezza ed è innegabile che si diverti a tenere Marcello in scacco, ma quello che la contraddistingue sono le preziosità del fraseggio e la squisita musicalità unita a un controllo tecnico meraviglioso, di cui gli impeccabili pianissimi sono forse la spia più evidente.

Alessandro Luongo torna a vestire i panni di Marcello, superando quanto già visto – e udito – da lui in questo teatro. Potendo contare su un’efficiente proiezione del suono e una perizia nel canto che eleva il suo Marcello per lo meno allo stesso rango dei due protagonisti, Luongo investe molto sul lato umano del proprio personaggio e questa caratterizzazione ulteriore fa davvero la differenza, portandolo ad acquisire uno spessore importante.

Anche il protagonista maschile comporta un nuovo ritorno, quello di Iván Ayón Rivas, che si può considerare a buon diritto un Rodolfo navigato e in effetti il risultato è apprezzabile; Rivas è molto a suo agio nella parte e inoltre è dotato di uno strumento dal colore chiaro tipico del tenore lirico e di un bello squillo, due caratteristiche che gli consentono di produrre uno sfavillante do acuto in unisono con quello del soprano. Ciò detto, all’interno del quartetto maschile è forse il meno convincente e per La bohème del centenario pucciniano magari si sperava in un tenore di spessore.

Eccellente Carolina López Moreno che, dopo il successo dello scorso anno come Cio Cio-san, stavolta si presenta al pubblico come una Mimì dal timbro rotondo e pieno su tutta la gamma, peraltro molto solida nel registro centrale. All’ottima esecuzione vocale si abbina una prova attoriale pienamente riuscita; se è frequente trovare delle Mimì che entrano in scena solo al terzo atto, quella di López Moreno si impone all’attenzione del pubblico sin dal primo ingresso: intensa nell’intenzione e di grande fascino nella gestualità scenica, è impossibile restare indifferenti.

Calda accoglienza da parte del pubblico per uno spettacolo riuscito e che si spera segni l’effettivo decollo di questa edizione.


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