Per trovare un cappello così fino, così bello
di Roberta Pedrotti
Felice ritorno alla Scala per il capolavoro buffo di Nino Rota in una nuova produzione affidata ai giovani dell'Accademia con la direzione di Donato Renzetti e la partecipazione di Vito Priante.
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MILANO, 18 settembre 2024 - Sembra ieri e invece era il secolo scorso: nell'inverno del 1998 andava in scena alla Scala per l'ultima volta Il cappello di Paglia di Firenze e lo faceva in una di quelle produzioni miracolose in cui tutto – ma proprio tutto – sembra dar l'idea che la perfezione sia di questa terra. I fortunati presenti ricorderanno il perlage irresistibile della bacchetta di Bruno Campanella, uno spettacolo di Pizzi fra i più belli e spiritosi, un Juan Diego Florez nel suo massimo splendore, primus inter pares di una locandina lussureggiante (Antoniozzi, Giovanni Furlanetto, Norberg Schulz, Scarabelli, Franci, Tedesco, Gavazzi, Bottion...). Rientrare nella sala del Piermarini per lo stesso titolo dopo più di ventisei anni fa venire i lucciconi agli occhi, ma non c'è nostalgia che tenga e se la memoria resta lì ben presente, ci si gode fino in fondo la gioia di rivedere questo scatenato vaudeville come produzione annuale dell'Accademia.
Come in origine i mitici Cadetti della Scala si facevano le ossa con l'opera bussa napoletana e tanti titoli allora fuori dalle traiettorie dei divi, così oggi invece di un Barbiere o di un Rigoletto fa piacere che l'Accademia sia anche l'occasione per variare un po' il repertorio. E, anzi, val la pena di ribadire come siano proprio queste realtà le vere risorse culturali del nostro paese, al di là di quanto purtroppo si sente dire proprio in questi giorni dalle alte sfere istituzionali.
I ragazzi si mostrano tutti ben preparati professionalmente, ciascuno con le proprie caratteristiche, pregi e difetti, ma con una solida formazione alle spalle. Il discorso, peraltro, non deve riguardare solo i cantanti – forse la fetta più appariscente dell'attività accademica – ma tutto ciò che gravita intorno al teatro musicale, a partire dall'orchestra, che ha modo di perfezionarsi e fare esperienza nel repertorio sinfonico e operistico come nel balletto e mostra anche questa sera i buoni frutti del lavoro svolto. Ora che un biennio si è concluso, per molti si apre l'incognita della libera professione, dei concorsi, delle chiamate: è dura, lo sappiamo, e questi ragazzi meritano di poter vivere d'arte.
L'aspetto accattivante della partitura di Rota richiede non solo la possibilità di districarsi in una miriade di citazioni e allusioni, quasi un gioco enigmistico, ma anche un gusto e uno spirito simili a quelli che esige uno Johann Strauss figlio. Può sembrare facile, ma non lo è affatto. Si punta allora su una guida sicura, sul braccio felice di Donato Renzetti come depositario della grande tradizione italiana. Non si sbaglia: il palcoscenico è sostenuto con tempi giusti per dare agio al canto e ritmo all'azione, l'orchestra è ben equilibrata e i temi scontornati un un pizzico di disincanto novecentesco che certo non guasta, anzi.
La carriera di Mario Acampa – noto anche come volto televisivo, ma con una solida storia d'attore e regista – è più recente, ma il suo apporto non meno efficace. La ricerca del cappello diventa un'avventura sognata da un Fadinard timido impiegato in una sartoria che, grazie all'abile scenografia girevole di Riccardo Sgaramella, si trasformerà nei vari ambienti della folle journée parigina. Sorgono così naturali anche soluzioni surreali e nonsense che non inficiano la logica della commedia né ne intralciano il meccanismo, accordandosi viceversa con lo spirito del testo (ben aggiustato dove serve: si mettano il cuore in pace i nemici del “politicamente corretto”, a nessuno piacciono le censure eccessive e ipocrite, ma in una commedia squisita come questa, se a Ernesta Rinaldi Rota, librettista per il figlio, è sfuggita una battuta razzista imbarazzante, i versi si potranno sistemare senza far male a nessuno, anzi). Un appunto si può muovere a qualche vocìo di troppo durante la sinfonia, che condivide con quella del Candide di Bernstein l'ultima eredità novecentesca del modello rossiniano e meriterebbe maggior fortuna concertistica.
In questo contesto, il cast può dar liberamente la sensazione di divertirsi sul palco e coinvolge il pubblico, assai numeroso, fino a un calorosissimo e meritato successo. Sono allievi ed ex allievi dell'Accademia, ma non solo: il baritono Vito Priante veste i panni di Beaupertuis, titolare di quella che resta la pagina più nota dell'opera anche come pezzo autonomo, il grande monologo della gelosia che apre il terzo atto. La classe dell'artista è sempre evidente non solo per quel che concerne il canto e la recitazione, ma anche nella capacità di amalgamarsi con i colleghi meno esperti.
La parte più insidiosa, però, è senz'altro quella di Fadinard, il tenore costretto a correre su e giù per tutta l'opera, scalando il pentagramma con scioltezza rossiniana, ma all'occorrenza accostandosi a Puccini (“Da quando v'ho veduta la prima volta”). Pierluigi D'Aloia ha voce leggera e puntuta, onora tutti gli appuntamenti acuti riservatigli da Rota e dimostra la tenuta e la scioltezza anche sceniche per sostenere tutto il suo frenetico impegno disegnando un personaggio simpatico e stralunato. Laura Lolita Perešivana è un'Elena di grande dolcezza e candore, capace di pregevoli smorzature, ma che nel terzo atto (“Vo' tornar dal mio papà”) fa intuire una natura forse in prospettiva più lirica che leggera. Huanhong Li tuona e diverte come Nonancourt, William Allione è rude come si conviene ai panni di Emilio, l'amante di Anaide, una spigliatissima Désirée Giove. Si fa valere con personalità anche la baronessa di Champigny di Marcela Rahal e torna a convincere il tenore Tianxuefei Sun, già apprezzato a Pesaro e qui chiamato a caratterizzare Achille di Rosalba e la guardia (alla quale Rota non nega un bel “All'armi!”). Paolo Antonio Nevi è lo Zio Vézinet, Haiyang Guo il domestico Felice, Wonjun Jo il caporale e Fan Zhou la modista. A impersonare il violinista Minardi troviamo pure un giovane professore dell'orchestra dell'Accademia, Daniel Bossi.
La passerella degli applausi finali non è accompagnata dai temi caratteristici dei vari personaggi come avvenne nel '98 con il pianoforte in scena di Richard Barker, ma è ugualmente una festa per tutti, compreso il coro dell'Accademia preparato da Salvo Sgrò, la costumista Chiara Amaltea Ciarelli, l'ideatore delle luci Andrea Giretti, la coreografa Anna Olkhovaya.
A questo punto, nell'augurare il miglior futuro a tutti i giovani, allievi ed ex allievi, ringraziando le “partecipazioni speciali”, il successo rinnovato del Cappello di paglia di Firenze non può non ispirare una preghiera. Non sarà il caso, e non solo alla Scala, di programmare o riprogrammare anche Napoli milionaria? E La notte di un nevrastenico? I due timidi? Aladino e la lampada meravigliosa? Non sarà il caso di proporre negli spettacoli per i più piccoli Uno scoiattolo in gamba? O dobbiamo temere ancora titoli fuori dal solito consueto? O aver paura dei pregiudizi sul Rota cinematografico e “troppo facile”, come se scrivere bene e risultare immediatamente piacevole fosse una colpa e ne cancellasse la raffinatezza, l'ironia, l'inventiva, l'istinto, la cultura e la sottigliezza.