L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Poveri fiori

di Sergio Albertini

Nonostante l'indubbio successo di pubblico, delude, fra un nuovo allestimento malriuscito e una compagnia alterna, la produzione di Adriana Lecouvreur che apre la stagione lirica del Lirico di Cagliari.

CAGLIARI, 27 ottobre 2024 - Si apre con un modesto e tratti banale nuovo allestimento di Adriana Lecouvreur la nuova stagione del Lirico di Cagliari. È un nuovo allestimento, ma vecchio per idee e per realizzazione. A sipario chiuso si notano le luci della ribalta sul bordo del proscenio schermate da piccole conchiglie dorate. Per tutti e quattro gli atti l'impianto base è fisso:, con sei colonne in ghisa, alte e slanciate, tre per lato, collegate in alto da capriate in legno: un po' stazione ferroviaria di Nizza, un po' grande magazzino Le Samaritaine. Un tocco di liberty, un richiamo di Belle Époque. Ma quelle sei colonnine e quelle alte capriate fanno fatica a definire contemporaneamente il foyer della Comédie-Française, il nido della Grange-Batelière (funestato da una invadente, gigantesca luna piena che trapassa la parete e che fa tanto Melancholia di Lars von Trier), il palazzo Bouillon e la casa di Adriana.

Il regista ha trasportato la vicenda ai tempi di Sarah Bernardt, o ai tempi di Cilea e della nascita della sua opera. Nel 1881, a Parigi fu organizzata l'Esposizione internazionale dell'elettricità e di elettricità in queste scene ce n'è a profusione; il bel lampadario in cristallo che troneggia al primo (e terzo) atto, le piantane già quasi déco al secondo, appliques e lumi dove necessario. Le scene (di Antonella Conte) sembrano pertanto appartenere a una sorta di trovarobato, un bric-à-brac raccolto un po' a caso (troneggia il riciclo del bel pianoforte in casa di Adriana, normalmente esposto nella parte del foyer del Lirico opposto alle biglietterie). E l'uso che di queste scene fa la regia di Mario Pontiggia è davvero imbarazzante: ecco l'ingresso di Adriana, che a mo' di adolescente birbante afferra con la mano una delle colonnine di ghisa e fa un paio di giravolte. Giravolte che poco dopo farà ancora, in scena, senza alcuna ragione. E che dire di Michonnet che al primo atto fa nascondino/cucù dietro una mensola a specchi ? E al secondo, quando la Principessa intravede una vettura e Maurizio aggiunge ch'essa si ferma al viale, quell'apparire dietro lo sfondo in trasparenza di due servi di scena con due alte torce ? Il tutto, nelle piatte luci di Andrea Ledda.

Le voci. Il Lirico di Cagliari, per la protagonista, ha preferito andare sull'usato sicuro. Fiorenza Cedolins, da qualche anno assente sulle scene operistiche italiane, debuttò nel ruolo di Adriana, se non erro, nel 2000, a Trieste, nello storico allestimento di Mauro Bolognini, riprendendo ancora la parte nel 2002 all'Opera di Roma, nel 2007 a Las Palmas de Gran Canaria (direttore Carminati, lo stesso di Cagliari) e infine nel 2017 al Massimo di Palermo (quale doppio di Angela Gheorghiu). L'assenza di circa sette anni dai palcoscenici lirici non ha minimamente intaccato le indubbie qualità del soprano; una tecnica solida e un'alta professionalità producono un canto di alta scuola. Il volume nel registro medio e acuto è di una potenza impressionante, i fiati perfettamente gestiti le permettono legature sicure, pianissimi e smorzandi come richiesto da Cilea. Impeccabile il la bemolle conclusivo del monologo, i salti d'ottava in “Poveri fiori”. Dopo una lunga carriera, la Cedolins mantiene una sontuosa opulenza nel canto affettuosamente accolto dal pubblico cagliaritano. E tuttavia a latitare è l'interprete; oltre a una regia che in parte sembra abbandonarla a se stessa, l'involucro formale di un canto pressoché perfetto appare privo di contenuto espressivo, della necessaria febbricitanza, di quel profumo crepuscolare che emanano certe sinuose linee melodiche. In aggiunta, non l'aiutano a definire ulteriormente il personaggio certi abiti di scena (quello goffo del primo atto, quello poco pratico del terzo con la mantellina che spesso scivola dalla spalla). Terribile poi prestarsi all'idea di Pontiggia, nel duetto con la Principessa di Bouillon, a quel nascondersi appena per tentare di non farsi riconoscere. Una soluzione svogliata e che ha rischiato di scivolare nel ridicolo.

Accanto a questa Adriana, un Maurizio cantato a squarciagola da Marco Berti. Un canto sfogato, quasi belluino. Uno squillo luminosissimo, indubbiamente, ma una monocromatica dinamica tendente perennemente al forte fa piazza pulita sia delle sfumature della “Dolcissima effige”, sia del pathos malinconico di “L'anima ho stanca”, sia della necessaria nostalgia del duetto del quarto atto “No, la mia fronte”. Interventi accolti dalla platea con applausi di cortesia. L'esaltazione massima delle sue qualità nel registro acuto (uno spavaldo e luminoso si naturale al termine dell'aria del III atto) convivono con la rozzezza espressiva e l'assenza di rigore stilistico.

Il physique du rôle non aiuta il Michonnet di Enrico Marrucci; al di là di una certa aridità timbrica, la dizione è nitida, ma il personaggio manca di quella dignità malinconica indispensabile. Nella parte della Principessa di Bouillon, la presenza fisica di Anastasia Boldyreva (portamento davvero nobile, efficaci qui i costumi di Marco Nateri) si assomma a una linea di canto controllata, sia pure con qualche sfoggio di gravi artificiosi.

Nella ordinarietà tutte le altre: qualche moina di troppo per le Madamigelle Jouvenot (Anastasiya Snyatovskaya) e Dangeville (Alessandra Della Croce), a seguire Quinault (Nicola Ebau), Poisson (Marco Puggioni), l'Abate di Chazeuil (il solido Saverio Pugliese), il Principe di Bouillon (un incolore Abramo Rosalen), un maggiordomo (Fiorenzo Tornincasa).

Fabrizio Maria Carminati ha gran mestiere, e si sente: una narrazione densa, forse a tratti con sonorità un filo roboanti, con un'orchestra, quella del Lirico cagliaritano, sempre attenta ai dettagli di scrittura (segnalo qui la grande morbidezza di clarinetti e oboi in “Io son l'umile ancella”, e di corni inglesi e arpe in “Poveri fiori”). Nella loro breve parte, impeccabile il coro, come sempre preparato da Giovanni Andreoli. Il divertissement coreografico era a firma di Luigia Frattaroli.

Recita domenicale pomeridiana, pubblico entusiasta.


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