RINALDO
Nota alla nuova edizione critica a cura di Bernardo Ticci
Revisione drammaturgica a cura di Ottavio Dantone
La stesura di un’edizione critica di un’Opera si basa molto sui costanti e continui progressi che si conquistano nel campo della conoscenza del repertorio e della prassi esecutiva barocca.
Lo studio sempre più approfondito dell’autore, del modo di “scrivere musica” e quindi della codifica delle convenzioni di notazione che ogni compositore possiede, sono stimoli per cercare di presentare ai nostri giorni un testo il più vicino possibile all’idea e alle intenzioni originali.
Dallo studio diretto delle fonti si apprende che frequentemente i compositori preparavano nuove versioni e rimaneggiamenti di precedenti propri manoscritti, per esempio in occasione di un nuovo allestimento dell’opera, come nel caso del Rinaldo.
Dopo la prima versione del 1711, Händel dovette apportare delle modifiche in funzione del nuovo allestimento di venti anni successivo, nel 1731. Il cast completamente diverso rendeva necessari cambiamenti nei recitativi e trasposizioni per adattare la prima versione alle esigenze del momento.
La scelta del Maestro Ottavio Dantone di riunire le due versioni potrebbe, a un esame superficiale, apparire quasi arbitraria. Tuttavia è proprio grazie allo studio di nuovi trattati dell’epoca, alla scoperta di nuove fonti, al confronto tra loro e alle continue ricerche nel campo della prassi esecutiva dell'epoca che si apprende quanto una simile operazione fosse in realtà usanza del tempo e sia anzi quanto mai storicamente motivata.
Lo stimolo che spinge ai nostri giorni a curare nuove edizioni è la consapevolezza che il manoscritto di un’Opera vada inteso come forma “viva” di Arte, soggetta a uno studio e a un approccio sempre nuovo, con il fine di tendere alla forma più pulita e più vicina possibile al modo in cui l’Autore ha scritto e pensato; l’obiettivo è interpretare e comprendere al meglio il compositore e fornire agli esecutori e al pubblico di oggi il miglior testo possibile per riprodurre il Teatro di secoli passati, nella speranza di una meritata riscoperta e definitiva valorizzazione.
RINALDO. UNA PARTITURA FRESCA E FRIZZANTE CHE ANCORA OGGI INCANTA IL PUBBLICO di Bernardo Ticci
Händel arrivò a Londra nell’autunno del 1710. Lo aveva chiamato Aaron Hill, l’impresario dell’Haymarket Theatre, con il compito di mettere in musica il Rinaldo, di cui lo stesso Hill aveva preparato le basi su cui poi il poeta Giacomo Rossi avrebbe steso il libretto. Hill prese spunto da episodi tratti dalla Gerusalemme liberata del Tasso, ma il legame con l’originale fu tenue; Hill introdusse per esempio Almirena, figlia di Goffredo, personaggio tutto nuovo e funzionale all’intreccio del dramma. Fu un avvenimento importante, la prima opera italiana interamente composta per il teatro inglese. Lo stile operistico italiano era conosciuto a Londra già da qualche anno, ma si eseguivano per lo più pasticci e adattamenti di opere già precedentemente composte e rappresentate, mescolando testi in italiano a traduzioni in inglese e adattando per l’occasione recitativi presi qua e là.
A Händel fu affidata una compagnia di cantanti tutta italiana, fra cui brillava la stella di Nicolò Grimaldi, il celebre Nicolino, nel ruolo protagonista. Giuseppe Maria Boschi fu Argante, Re di Gerusalemme e Goffredo venne interpretato da Francesca Vanini-Boschi, sua moglie. Per il ruolo di Armida fu scelta Elisabetta Pilotti Schiavonetti e Isabella Girardeau per Almirena. Completavano il cast Due Sirene, un Mago Cristiano, un Araldo e il piccolo ruolo di Eustazio, fratello di Goffredo, figura destinata ad essere eliminata nelle riprese degli anni seguenti.
Il compositore aveva poco più di 25 anni, ma già aveva dato prova di importanti successi, come testimonia l’Agrippina, rappresentata a Venezia nel 1709. Non aveva molto tempo a disposizione per comporre il Rinaldo, né lo ebbe Giacomo Rossi per il libretto, nella cui edizione a stampe dell’epoca si legge:
«Mr Hendel, the Orpheus of our age, in setting it to music, scarce gave me time to write, and I saw to my great amazement an entire opera composed by that sublime genius, to the highest degree of perfection, in only two weeks.»
Avendo solo due settimane a disposizione, Händel dovette riutilizzare un po’ di materiale già precedentemente composto durante il suo soggiorno in Italia, attingendo per esempio alla serenata Aci, Galatea e Polifemo, all’oratorio Il Trionfo del Tempo e del Disinganno e a l’Agrippina, lavori scritti 1-2 anni prima e ancora sconosciuti al pubblico londinese. Aaron Hill aveva in mente uno spettacolo strabiliante con effetti scenici sbalorditivi: draghi sputa fuoco, sirene, macchine volanti, spiriti, furie, si attinse a tutto quello che incantava il pubblico dell’epoca. Fu un successo strepitoso.
Si susseguirono 15 rappresentazioni e altrettanti successi; la reputazione di Händel a Londra raggiunse altissimi livelli, complice anche la sua improvvisazione al clavicembalo nell’aria finale del Secondo Atto Vo far guerra e vincer voglio (Armida), grazie alla quale dette prova di grande talento come esecutore oltre che come compositore.
Londra aveva spalancato le porte dei propri teatri al compositore, avviato a grandi successi in quella che sarebbe diventata la sua nuova patria adottiva. Negli anni successivi l’opera fu oggetto di numerose nuove messe in scena, talvolta con aggiunta di nuove arie, come nel caso delle rappresentazioni a Napoli del 1718 e a Amburgo, nel 1715 e 1723. La modifica più importante alla prima versione fu nel 1731, anno in cui Händel fu chiamato a mettere nuovamente in scena il Rinaldo a Londra. Il cast era stavolta incentrato su Francesco Bernardi detto il Senesino nel ruolo di Rinaldo. A Francesca Bertolli fu affidato il ruolo di Argante, ad Antonia Merighi quello di Armida e Annibale Pio Fabbri fu Goffredo. Completavano il cast Anna Strada (Almirena) e Giovanni Giuseppe Commano (un Mago). Un cast tutto nuovo rese necessarie modifiche sostanziali alla partitura, trasposizioni, adattamenti dei recitativi e musica nuova. Quanto fece Händel al tempo era prassi comune, la partitura veniva infatti frequentemente rimaneggiata dal compositore in vista di nuove rappresentazioni anche a distanza di anni dalla prima. Si effettuavano trasposizioni per esempio anche nel corso delle prove e non è raro trovare nei manoscritti l’indicazione un tono sopra o un tono sotto, a testimonianza che era necessario talvolta adattare la musica alle esigenze del cantante.
Ciò che colpì probabilmente all’epoca, e di sicuro stupisce quando si rappresenta il Rinaldo ai nostri giorni, è la straordinaria varietà della partitura. Händel fu maestro nell’usare differenti colori musicali grazie anche
all’impiego di strumenti a fiato con funzione solistica, concitate arie di furia e intense arie drammatiche e patetiche. La grande varietà di strumentazione fu favorita, probabilmente, anche dalle notevoli capacità degli orchestrali presenti all’epoca a Londra. Trombe e timpani introducono il personaggio di Argante, e ricompaiono poi nel terzo atto per la marcia dei cristiani, l’aria di Rinaldo Or la tromba in suon festante e nella battaglia di assalto a Gerusalemme.
Grande inventiva e abilità descrittiva emerge dall’aria di Almirena Augelletti che cantate, in cui due flauti dolci e un Piccolo hanno il compito di imitare il canto degli uccellini. Anche il fagotto è utilizzato con funzione solistica, come nell’aria con oboe obbligato Ah crudel (Armida, terzo atto), il cui timbro ben sottolinea lo stato d’animo della Regina di Damasco. L’improvvisazione di clavicembalo nell’aria finale del secondo atto, il violino solo nell’aria di Rinaldo Venti turbini prestate e nella Sinfonia, l’oboe anch’esso spesso solista, come nell’aria di Armida Molto voglio, molto spero contribuiscono a rendere la partitura fresca e frizzante, facendo sì che il Rinaldo ancora oggi incanti il pubblico con la sua magia senza tempo.