Farfalle fra nubi di porpora
di Andrea R. G. Pedrotti
La direzione di Marco Armiliato è l'asso nella manica che conduce al successo Madama Butterfly, opera che per il tratto intimista non è forse di per sé fra le più congeniali agli ampi spazi areniani. La poesia dell'anfiteatro veronese conferisce però sempre un impagabile fascino alla rappresentazione, qui nel classico allestimento di Franco Zeffirelli con Amarilli Nizza, Anna Malavasi, Giorgio Berrugi e Davit Babayants.
VERONA 30 agosto 2014 - In una serata finalmente limpida, il purpureo cielo veronese, forse sperando nel clima migliore, saluta il secondo titolo pucciniano della stagione scaligera. Dopo la spettacolare e perfetta Turandot, cui abbiamo avuto modo di assistere lo scorso luglio [leggi qui la recensione], le millenarie pietre areniane accolgono Madama Butterfly; titolo notevolmente intimista, probabilmente poco adatto ad ampi spazi e a palcoscenici di grandi dimensioni. Ciò nonostante la messa in scena cui abbiamo assistito ben si è posta all'interno dell'impegnativa cornice che la ospitava.
Il primo atto dell'opera altro non è che un lungo antefatto, indispensabile per garantire il crescendo sentimentale e drammaturgico che seguirà successivamente. Franco Zeffirelli non distribuisce le esigue masse richieste dall'opera nel migliore dei modi nel corso dell'intera introduzione, nonostante la saggia decisione di porre una lunga barriera grigia sul fondo, atta a ridurre la profondità dell'impatto visivo. L'azione appare piuttosto dispersiva e mal copre l'ampia superfice del palcoscenico. Decisamente meglio dalla scena delle nozze in poi, quando il promontorio centrale si apre sino a disvelare l'abitazione affittata da Pinkerton. L'immagine cromatica abbandona il diffuso grigiore e al dispiegarsi delle ali della variopinta farfalla giapponese, la rappresentazione spicca il suo tenue volo, grazie anche alla partecipazione delle sempre eleganti e aggraziate danzatrici del corpo di ballo della Fondazione Arena di Verona, ottimamente preparate da Renato Zanella.
L'impatto visivo migliora notevolmente quando l'azione si raccoglie attorno alla "casa a soffietto", tuttavia, sempre nel tentativo di coprire gli spazi, molte parti dell'opera dove si richiederebbe maggior vicinanza fra gli interpreti, sia per la scrittura musicale, sia per i momenti drammaturgici, i protagonisti vengono posti a gran distanza e alcuni movimenti, imposti chiaramente dal regista fiorentino, risultano fin troppo manierati e caricaturali. Per fortuna siamo all'Arena di Verona, dove le stesse pietre dell'anfitetro sanno restituire sentimento, catarsi e partecipazione e determinati difetti di regia vengono meno, grazie alla poesia e la gioia che avvince lo spettatore in pacato romanticismo.
La compagnia di canto si avvaleva del Pinkerton di Giorgio Berrugi, tenore dalle buone doti vocali, ma, non essendosi mai orientato verso un repertorio preciso, appare spesso fuori stile e scarsamente efficace negli accenti e nel fraseggio e, specialmente nel registro acuto l'emissione appare forzata. Nonostante questo la resa del personaggio è di buon livello, non presenta particolari sbavature e l'intonazione non viene mai meno, tuttavia l'ufficiale statunitense da lui interpretato manca di quella sufficiente vena di personalità, soprattutto in frasi come “Bimba dagli occhi pieni di malia” o nell'arietta “Addio, fiorito asil”.
Davit Babayants (Sharpless) canta correttamente l'intera parte, ma sarebbe molto più interessante riascoltarlo dopo che abbia maturato una maggior esperienza nei teatri lirici italiani: infatti il giovane baritono armeno ha una buona presenza scenica e musicalità, ma, talora, il fraseggio risulta piatto e poco sentito, non essendo ancora pienamente padrone dell'idioma.
Anna Malavasi è un'ottima Suzuki, estremamente musicale ed espressiva: abile attrice, dosa al meglio accenti ed emozioni, senza mai scadere in alcun eccesso espressivo. Grazie alla tecnica riesce senza alcuna difficoltà far correre in Arena la propria voce nell'intera gamma di sfumature.
Amarilli Nizza, al contrario, interpreta una Cio-Cio-San di puro impeto; infatti, di fronte a qualche limite vocale nella proiezione e nella gestione del fiato, si cimenta con il personaggio pucciniano (uscendone comunque vincitrice) dandone una lettura meno sfumata e più verista nell'espressione. Grandissima cura nell'analisi del sentimento e della parola, che, spesso, appare quasi declamata. In tal senso il brano più famoso dell'opera “Un bel dì vedremo”, viene interpretata in maniera meno sfumata e elegiaca di quanto non accada canonicamente. L'effetto risulta molto particolare, denotando una scelta stilistica precisa, che inquadra ugualmente con puntualità il personaggio. Da lodare il grande impegno scenico che ne fa, nella pura recitazione, il miglior elemento della compagnia.
Pur senza l'impegno richiesto da altri titoli del classico repertorio areniano, la prova del coro, guidato da un sempre lodevole Armando Tasso, è di grande spessore; l'amalgama delle voci è ottimale sia nel primo atto, sia nel bellissimo coro a bocca chiusa del secondo, quando la scena torna a chiudersi nel suo grigiore (cosa che accadrà anche dopo che la sventurata Butterfly si sarà tolta la vita), ma piacevolmente animata dagli eleganti movimenti delle ballerine, che quali piccole farfalle, illuminate da luccichii del fondo della scena, hanno saputo restituire la magia rubata dalla rosseggiante coltre di nubi celante la visione della volta celeste.
Trionfatore della serata, il maestro Marco Armiliato dirige nel migliore dei modi la partitura pucciniana: le dinamiche sono estremamente appropriate e la scelta dei colori è eccellente. Visto il clima atmosferico piuttosto umido, l'orchestra impiega qualche istante a dare il meglio di sé, sino a giungere a uno splendido e commuovente finale, a riprova che, specialmente con i nuovi accorgimenti acustici, anche all'Arena di Verona è possibile rendere notevoli sfumature. Marco Armiliato, in più, segue splendidamente il respiro di tutti gli interpreti, senza mai metterli in difficoltà alcuna, ne esalta le caratteristiche e riesce a far emergere le loro migliori qualità, a riprova del suo essere musicista preparato e competente, che speriamo sinceramente di poter riascoltare a Verona e in molti altri teatri.
Il cast era ben completato Alice Marini (Kate Pinkerton), Francesco Pittari (Goro), Federico Longhi (Principe Yamadori), Paolo Battaglia (Zio Bonzo), Nicolò Ceriani (Il Commissario imperiale), Victor Garcia Sierra (L'ufficiale del registro), Chiara Fracasso (Madre di Cio-Cio-San) e Elena Borin (Cugina di Cio-Cio-San).
Oltre alla regia anche le scene sono state curate da Franco Zeffirelli, i costumi belli e tradizionali erano di Emi Wada e i movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli.
foto Ennevi