TAMAN’
“Decisamente non vidi mai una donna simile. Fu lontana dall’essere bella, ma io ho i miei propri pregiudizi riguardo alla bellezza. C’era tanta razza in lei… la razza nelle donne, come nei cavalli, è una grande cosa… La razza si vede soprattutto nell’andatura, mani e piedi; soprattutto si vede nel naso. Un naso giusto in Russia è più raro di un piedino piccolo”.
Tra tre novelle coreografiche Taman’ , forse, è quella più efficace. Decisamente laconica e snervante, mantiene la tensione drammatica e l’attenzione continua dello spettatore dall’inizio alla fine. La scenografia è davvero di gran effetto: sul palcoscenico del Bol’soj, come per magia, sorge la riva del mar Nero, un ponticello, delle barche vuote, si muovono delle onde burrascose, si vedono dei riflessi inquietanti.
L’ufficiale Pechorin arriva a Taman’, una piccola cittadina di Crimea per questioni di servizi militare. Non si trova l’alloggio da nessuna parte, non gli rimane che accettare di passare la notte una casetta fatiscente con dentro la gente sospetta, una vecchia, un ragazzino cieco, una fanciulla che attira subito la sua attenzione. La segue nel mare, l’avventura lo conduce quasi alla morte: la bizzarra fanciulla è la compagna di un contrabbandiere Yanko e cerca di annegare Pechorin nel mare.
Anche qui un’efficace trovata di Serebrennikov-regista: lo spietato Yanko interpretato da un strepitoso Anton Savichev che salta dal corpo di un’enorme vecchia donna. Artyom Ovcharenko, il secondo Pechorin della creazione del coreografo Posokhov rivela un eroe stanco e sconvolto, ad un passo da una morte violenta, in lotta con la scintillante Undina di Olga Marchenko. Colpisce l’immaginazione Georgy Gusev nel ruolo del ragazzino cieco, un’ombra bianca, un fantasma, abbandonato a un terribile destino.