Ripensare il futuro
di Roberta Pedrotti
Momenti estremi sollecitano risposte, che possono essere le più diverse. La tecnologia è uno strumento, e come tale può essere usato con modalità ed esiti opposti. Quando l'emergenza sanitaria ha sospeso incontri e spostamenti, abbiamo deprecato l'ideazione di concorsi di canto lirico online, soprattutto per la disparità di partenza di video autoprodotti (anche senza voler supporre la malafede di correzioni digitali, chi ha strumenti migliori offrirà una resa migliore della voce anche al netto delle caratteristiche fonogeniche individuali) e la mancanza del fondamentale riscontro dal vivo. Esiste però un rovescio della medaglia che dimostra come la tecnologia non sia necessariamente incompatibile con un concorso musicale, se il suo uso è ben calibrato. Il Concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni di Bolzano è un'istituzione ben consolidata che non ha voluto fermarsi ma nemmeno compromettere il suo livello: ha mantenuto le fasi finali rigorosamente in presenza, ha organizzato preselezioni internazionali utilizzando video realizzati in condizioni omogenee (stesso modello di pianoforte, stesse caratteristiche tecniche di registrazione a cura dell'organizzazione del concorso). Dalle preselezioni che hanno coinvolto un centinaio di candidati in tutto il mondo, trentatré giovani pianisti raggiungeranno Bolzano nell'autunno del 2021 per contendersi il podio. Per capire meglio come il Busoni ha affrontato la pandemia senza rinunciare a trasparenza e qualità abbiamo parlato con il direttore artistico, il maestro Peter Paul Kainrath.
I finalisti di Glocal piano project
Maestro Kainrath, come vi siete trovati ad affrontare l'emergenza sanitaria? Le iscrizioni al concorso erano già aperte?
Le iscrizioni erano già partite da due mesi quando siamo entrati in questo primo lockdown. In una decina di giorni ci siamo confrontati con Steinway & Sons perché per me era chiaro, anche se ancora non avevamo la piena misura del problema, che sarebbe stato tempo sprecato sperare in una soluzione e di poter far svolgere il concorso normalmente in Italia, o men che meno di realizzare un'edizione “ridotta” rispetto al solito. Meglio, allora, azzerare tutto e ripensarlo in modo differente, non minore: anzi, siamo riusciti a pensarlo ancora più grande del solito. Devo ringraziare tutti coloro i quali hanno collaborato e hanno reso possibile questo, a partire da Steinway & Sons. Noi siamo stati il primo concorso in assoluto ad avvicinarli per collaborare e oggi molti altri intendono seguire la stessa formula. È l'unico produttore di pianoforte a quei livelli, con la possibilità di lavorare in rete a livello globale, di certo non gli unici con cui possiamo aver piacere di collaborare, ma i soli ad avere una tale presenza di qualità nel mondo. L'importante è fare qualcosa di diverso, e questa differenza consisteva nel portare non, come al solito, l'internazionalità in Italia, a Bolzano, ma nel portare noi fuori, nel mondo. Con ventitré postazioni, la città di Bolzano e il Busoni sono stati presenti in ventiré città in giro per il mondo. Abbiamo collaborato con delle persone in sito e siamo entrati in dinamiche anche abbastanza diverse dalla nostra: un'esperienza interessantissima, di grande valore per noi. Sono sicuro che questo abbia già cambiato il concorso Busoni e segnerà il futuro e la nostra progettualità fin d'ora.
Quindi pensate di rinnovare questa idea anche per le edizioni future in qualche modo?
Una parola chiave per il futuro sarà “glocal”, insieme di globale e locale. Inizilmente, in marzo/aprile, l'idea era di riuscire a creare ventitré postazioni con pubblico locale e poi, con audio e video, portarle a livello globale con una giuria dislocata. Poi a novembre tutti siamo entrati nel mondo in questo nuovo lockdown territoriale e solo in pochi posti si poteva avere un po' di pubblico presente. Questo in un periodo post pandemia sarebbe invece un formato da approfondire e potrebbe dare anche tutto un altro significato a questa primissima fase del concorso. Perché, se siamo sinceri, di solito si chiama preselezione e questi cento candidati arrivano a Bolzano, sono implementati nel Festival pianistico Busoni che è già qualcosa di diverso rispetto ai soliti concorsi con preselezioni in giro per il mondo, ma passano un po' in sordina. Con questa idea di partire con un festival dislocato a livello globale, prima che la giuria faccia la sua scelta, possiamo offrire una panoramica particolarmente variopinta, con questi cento candidati ogni due anni possiamo descrivere un po' la realtà più articolata, più interessante, più colorata che esiste in quello specifico momento a livello mondiale. Allora il valore che diamo a questo primo palcoscenico è del tutto diverso rispetto a una semplice preselezione e nel documentarlo in formato audio video creiamo un valore aggiunto per ogni singolo candidato, perché il livello è molto serio e i candidati possono sfruttare il materiale anche per altri concorsi o come biglietto da visita. Abbiamo documentato novantatré candidati (rispetto al centinaio iniziale, capita sempre che qualcuno si ammali o si ritiri...) e riteniamo che questo periodo fra il 2020 e il 2021 sia proprio come una vetrina. Poi sarà interessante vedere come questi giovani selezionati dalla giuria e dal pubblico si prepareranno e arriveranno qui sul palco, che di sicuro è e rimarrà per sempre il momento cruciale per i giovani pianisti: presentarsi di fronte a un pubblico reale, a una giuria reale, in una sala reale.
Per capire il valore di questa operazione, noi dobbiamo portarci al futuro post pandemico guardare da lì. Io credo che questa forma abbia mostrato aspetti che di solito abbiamo, forse, anche sottovalutato o semplicemente non realizzato. Non faccio parte di chi dice che la crisi è una chance, no, però posso ammettere che questa spinta ad andare comunque avanti, questa necessità anche di cambiare radicalmente l'impostazione e il modo di pensare un progetto culturale ci abbia aiutato, senza dubbio.
Avete notato delle differenze nei candidati che si sono presentati per questa edizione rispetto a quelle passate? La possibilità di partecipare senza affrontare subito il viaggio per l'Italia può aver facilitato alcuni pianisti?
La formula è stata comunicata solo praticamente a iscrizioni chiuse. La possibilità di non doversi più spostare verso l'Italia per le preselezioni non ha inciso. Abbiamo ormai da sei edizioni un incremento di iscrizioni veramente impressionante: quest'anno siamo arrivati a 506 candidati e credo, e spero almeno, che conti la fama del Concorso Busoni di essere innanzitutto molto trasparente e di puntare molto sulla varietà, con giurie che non sono mai scontate, senza i soliti giurati. C'è questa questa freschezza che spero si riconosca nel Concorso Busoni e attiri i pianisti più vari. Devo dire che la varietà dei concorrenti, almeno dal mio punto di vista, è più grande che gli altri concorsi.
Fino ad arrivare a questa rosa dei trentatré ragazzi che speriamo di ascoltare dal vivo nell'autunno 2021!
La giuria dice che livello è alto, io pure lo sostengo, ma c'è la possibilità per tutti di verificarlo e ascoltare questi trentatré e farsi un'idea [i video dei finalisti]: credo si possa dire oggettivamente che il livello è molto interessante. Il Busoni in realtà ha una durata di circa diciotto mesi e in questo modo rendiamo visibile l'intero percorso, altrimenti emergono solo le fasi finali e quel che le precede rimane nel buio.
La giuria come si è rapportata a questa modalità di preselezione?
All'inizio qualche giurato era un po' scettico. Noi li avevamo invitati contando sulla formula di sempre, ma li abbiamo persuasi a rimanere e partecipare a questo esperimento e hanno riscontrato che siamo riusciti a garantire – anche se si può sempre migliorare – una qualità di ripresa audiovideo più o meno identica per tutti. Poi, sono persone esperte, sanno valutare anche le picccole differenze ambientali e separarle dal talento e dal modo in cui giovani suonano. Hanno apprezzato tantissimo che in questa prima fase in cui si suona solo venti minuti ci fosse la possibilità di ascoltare più volte. Allora il giudizio e la decisione finale arrivano non da un'unica impressione, ma anche da un riascolto, eventualmente. Ritengo che questa prima fase del concorso sia la più importante: se il concorso attrae così tanti pianisti da tutto il mondo, dai 506 iscritti al centinaio che si presenta la prima volta sul palco, scegliere in panorama così variegato solo con un ascolto di venti minuti è molto delicato. Chiaro che, da professionisti quali sono, sanno farlo e l'hanno sempre fatto bene, ma questa volta erano più tranquilli, certi di quello che hanno giudicato, risentito e ancora rigiudicato.
La giuria ha avuto mondo di consultarsi?
Noi non prevediamo mai che i giurati si confrontino, nemmeno nelle audizioni in presenza. Vogliamo mantenere la maggior indipendenza possibile anche puntando su una grande varietà. Non vogliamo che si creino dei gruppi all'interno della giuria che favoriscano eventualmente alcuni di candidati.
Infatti la commissione è motlo variegata anche per quanto concerne le nazionalità.
Noi facciamo parte come soci fondatori della federazione dei concorsi ed è proprio nello statuto di avere non più di due giurati per nazionalità.
Anche solo scorrendo l'elenco dei finalisti mi pare che questo principio si rispecchi anche nei partecipanti. Si notano, oltre ad alcuni paesi normalmente predominanti, anche Marocco e Bolivia, per esempio.
Questi ancora non fanno parte di cerchie e circuiti e a Bolzano trovano un'apertura che riesce ad accoglierli perché, e in questo sono anche un po' critico, qualche volta in concorsi capitano i soliti famosi, bravissimi superprofessionisti giurati che questo mestiere lo fanno da vent'anni e insegnano nelle accademie più importanti, però se un talento non riesce a inserirsi in quella cerchia rischia un po' di rimanere fuori. Questa dinamica a Bolzano non c'è per niente e questo è rispecchiato anche nella varietà dei candidati.
Sarà ancora più interessante ascoltarli dal vivo quando si confronteranno con l'Orchestra Haydn.
Con l'orchestra Haydn e con il quartetto Schumann, per la prova di musica da camera che ormai abbiamo da tre edizioni, sperando che tutto rientri il più possibile nella normalità
Stiamo tutti incrociando le dita perché la campagna vaccinale proceda nel modo più rapido ed efficiente. Avete pensato a un eventuale piano alternativo nel caso in cui, tuttavia, dovessero permanere delle restrizioni nel prossimo autunno?
Questa è una ragione per la quale anche abbiamo spinto moltissimo dicendo “dobbiamo andare avanti per arrivare dai cento candidati al prossimo gruppo" che sono adesso questi trentatré, perché gestire cento è una cosa, trentatré è un'altra. Se ancora ci fossero restrizioni, visto che comunque per tutti e trentatré la fase finale è importante perché la probabilità di arrivare fino in fondo o avere comunque un'attenzione particolare è molto più alta, credo, senza poter dire ora qualcosa di definitivo, che ci siano dei parametri con cui lavorare. Può esserci la possibilità di una quarantena, invitandoli ad arrivare due settimane prima, per esempio, come valutare bene un repertorio che, per organico, ci permetta di mantenere il distanziamento sociale sul palco, che per fortuna a Bolzano è molto ampio. Da sempre registriamo in diretta tutte le fasi, quindi se anche il pubblico in sala potrà essere meno del solito abbiamo comunque un pubblico globale che possiamo raggiungere. Per questo diventa cruciale anche lavorare con partner stategici, un elemento forse ancora un po' sottovalutato da parte del mondo culturale. Siamo tutti felici e orgogliosi quando facciamo il famoso live stream sul nostro sito: però, perché lo fai? perché vuoi essere visto! Se vogliamo essere sinceri, tutti nostri siti sono seguiti più o meno dagli appassionati, dalle persone locali, ma è un pubblico ristretto: se vogliamo comunicare veramente con un pubblico globale abbiamo bisogno di partner. Abbiamo puntato da quattro anni su Idagio, ora collaboriamo anche con amadeus.tv, che è la principale piattaforma di musica classica in Cina, dato che i cinesi non possono accedere in modo semplice alle piattaforme del mondo occidentale... C'è un lavoro strategico per produrre un contenuto ma anche per ragionare sui partner con i quali poi distribuirlo.
In effetti ora il panorama della musica online e dello streaming appare un po' saturo e confuso.
È come se tutti stampassero il Gazzettino di Modena o di Como, ma non ci fosse La Repubblica, Il Corriere o Il Sole 24 ore a livello nazionale. È questo il punto nel mondo culturale che è importante ricordarsi: un'operazione del genere, un concorso internazionale che ha tutti i parametri di internazionalità nel suo dna nel proporsi in digitale, audio e video, deve puntare sulla distribuzione, che è un concetto, come dicevo, secondo me sottovalutato. Contenuti di qualità devono essere adeguatamente distribuiti.
Quindi, si tratta di mantenere la centralità del concerto dal vivo, dell'esperienza diretta, ma anche di sfruttare al meglio la tecnologia studiando nuove strategie?
Per la finale potremmo vendere due volte la sala, che ha 800 posti, e anche per le prove c'è una buona affluenza, ma comunque il pubblico a Bolzano è limitato, mentre il pubblico fuori nel mondo è quasi illimitato, solo che io lo devo raggiungere. Sono sicuro che nel mondo posso trovare almeno dieci volte tanto il pubblico fisicamente presente interessato ai nostri contenuti, ma non basta che io prema il bottone “diretta” e poi aspetti cosa succede. Lì ci vuole un grande lavoro. Anche per i concorrenti è importante e, per esempio, l'elemento del voto del pubblico nella prima fase del concorso ha creato una dinamica incredibile, ha fatto registrare 22.500 persone, in Cina è arrivato a 1.200.000 visualizzazioni, in Europa a 400.000: numeri per noi importanti.
Se si pensa che non molti anni fa in Cina la musica occidentale era proibita lo sviluppo è stato immenso! Cosa pensa dell'influenza di figure come Lang Lang e Yuja Wang?
Determinanti. Sono stato molte volte in Cina e là Lang Lang è una figura determinante, forse non ha fatto neanche un gran bene perché tutti volevano “diventare Lang Lang”, non diventare pianista o artista. Poi forse con il tempo questo si è attenuato e anche lì emergono ormai realtà molto interessanti. Ancora dieci anni fa il talento cinese andava sempre fuori dalla Cina, Lang Lang e Yuja Wang avevano lo stesso insegnante a New York, poi c'è una comunità forte sulla West Coast, a Los Angeles, San Francisco; oggi in Cina ormai ci sono insegnanti bravi e accademie d'alto livello e per quello adesso è interessante avere una presenza in Cina.
Cosa ci dice di altre realtà finora considerate un po' periferiche, se non assenti?
Negli anni passati qualosa si è mosso, abbiamo avuto l'Algeria, il Libano. Questo per me è molto importante perché è anche un messaggio che si dà. Anche in Italia sappiamo quale sia il valore di Imola, ma ormai da anni sono emerse anche altre realtà che prima erano quasi invisibili come in Sicilia l'Accademia di Epifanio Comis. Al di là dell'elemento artistico e di qualità pianistica, io sono sempre felice che il concorso Busoni riesca a descrivere una realtà. È quasi come una una fiera, nel senso migliore della parola, una Biennale: se a uno interessa sapere cosa succede in questo mondo, il concorso riesce a farne un ritratto
E quali sono secondo lei gli aspetti più interessanti del ritratto del mondo pianistico attuale?
Qualche presenza dall'America Latina, che era sparita del tutto, così come il Giappone era sparito dai concorsi per dieci anni eadesso sta riemergendo. La Cina non è più rappresentata dal cinese di talento che studia negli USA, ma il pianista cinese che si forma nel proprio paese. Poi i paesi baltici che non sono più da abbinare solo alla famosa scuola russa, ma hanno una loro posizione e culturalmente sono adesso molto più europei. Poi, la Giorgia: abbiamo avuto un candidato fortissimo (Giorgi Gigashvili) che ha vinto il terzo premio nell'ultima edizione. Da sempre è un paese importante musicalmente parlando, anch'esso parte della cosiddetta scuola russa, mentre ora è una voce indipendente.
Tra l'altro, un paese così piccolo vanta in proporzione un numero altissimo di musicisti d'alto livello.
È veramente impressionante e secondo me dipende dalla straordinaria complessità della musica popolare georgiana. Quando un coro di un qualsiasi paese riesce a cantare a sedici voci in intrecci polifonici, questo di sicuro ha un influsso sul dna di un popolo intero.
In Italia, invece, la pratica musicale non è, purtroppo, così diffusa.
In Alto Adige per fortuna ci sono molte bande e cori, sono molto curati e seguiti, anche se la complessità forse è minore. In Italia anche nelle grandi città l'educazione musicale si basa molto sul privato più che su un sistema organizzato che raccolga anche i più piccoli a livello nazionale.
Un vero peccato, perché mi è capitato di sentire straordinari talenti fra i giovanissimi.
Però non tutti devono fare carriera. Io dico che l'umanità sarebbe migliore se tutti fossero musicisti, quello senz'altro, e chi studia musica, anche se poi farà un'altra professione, ha una marcia in più. Ed è come imparare un'altra lingua, perché la musica è un linguaggio. Chi suona una volta in vita sua una fuga di Bach ha il vantaggio della contemporaneità del pensiero in modo strutturato che non si impara nelle altre discipline.
Sono perfettamente d'accordo. Si tratta di competenze e consapevolezze che ci completano come persone, anche al di là dell'apparente utilità immediata. Per concludere, come vorrebbe salutare l'inizio del nuove anno?
Forse un messaggio di fiducia, perché a prescindere da tutte le sfide che sono ancora da vincere, penso che la grande pressione che viviamo sul mondo culturale sia un'ottima opportunità soprattutto per i giovani, perché in un mondo che è così scombussolato c'è più spazio per chi ha una voce fresca, determinata. In quella parte del mondo musicale in cui noi ci impegnamo vedo qualche chance in più e anche per noi operatori culturali è un'ottima occasione per ragionare, rinnovare anche radicalmente il nostro modo di pensare e provare a immaginare un mondo diverso con il lusso che non debba subito funzionare o avere tutto subito una funzionalità. Questi momenti ci permettono di ragionare, di interrogarci per davvero su un'utilità di cui noi siamo sicuri: il mondo culturale non è solo utile, è necessario, ma dobbiamo riflettere su modi e motivazioni con cui rapportarci all'eredità che abbiamo. Le forme di produzione, i contenuti culturali, la distribuzione, la qualità arrivano da una grande storia che adesso temporaneamente è stata sospesa; allora, invece di aspettare solo di riprendere sulla stessa direzione, possiamo ragionare e immaginare altre realtà per le fondazioni liriche, le orchestre, il significato della carriera e della musica, il valore che hanno per la società. Credo siano tutti temi interessanti e utili da discutere adesso
Ora che abbiamo visto i teatri chiusi, gli ingressi contingentati, gli spettacoli a porte chiuse, anche il modo di ascoltare la musica dal vivo è cambiato. Sembra più prezioso ciò che un anno fa ci sembrava scontato.
Dobbiamo riflettere su questo senso di preziosità. Adesso noi operatori culturali ci lamentiamo di poter far entrare solo un terzo la metà delle persone, ma forse potremmo anche pensare al fatto che così l'ascolto è più concentrato, c'è più intimità: un grande lusso. Per esempio a Vienna sono responsabile dell'orchestra Klangforum e abbiamo impostato il nostro prossimo ciclo al Konzerthaus con due concerti più brevi senza pausa per permettere al nostro pubblico di cinquecento abbonati di entrare in due turni da duecentocinquanta. I nostri musicisti suoneranno concerti più brevi ma due volte. Chissà, forse potremmo portare più in là questa formula.
Tutti siamo stanchi alla fine di quest'anno così particolare, ma una volta superata la stanchezza sono sicuro che sarà un buon momento. Non è stato un intermezzo ma un momento di cambio rotta.