Controtenore, fra passato e futuro
In occasione dell'uscita, il 19 ottobre, del CD dedicato alla figura di Giulio Cesare nell'opera del Settecento, abbiamo rivolto qualche domanda al controtenore Raffaele Pe, che ci parla non solo di quest'iniziativa discografica, ma anche di tecnica, repertorio, progetti futuri, del rapporto fra teatro e pubblico.
Leggi la recensione de CD di Raffaele Pe: Giulio Cesare a Baroque Hero
Nel programma di questo CD compare come “countertenor”, controtenore. Pensa che questo termine sia sovrapponibile a contraltista o falsettista? In sostanza, che peso dà alla terminologia e alle sfumature tecniche delle definizioni per i cantanti maschi che si muovano nei registri più acuti?
Ringrazio molto per questa domanda perché credo ci sia ancora oggi una certa confusione riguardo al tema, soprattutto tra i giovanissimi che si avvicinano questo repertorio. Io sono senza dubbio un controtenore per la natura della mia tecnica vocale che è fondata dapprima su un lavoro di sviluppo del registro di petto (tenore/baritono) sul quale e grazie al quale il registro di testa può esprimersi con completezza in termini di volume, estensione e ampiezza. Penso che la parola “falsettista” non sia accettabile nella gamma dei registri vocali classici perché induce a un utilizzo incompleto dello strumento, ne scrivono anche gli antichi (cfr. Tosi, Mancini, Porpora, Burney), privilegia un’insana attività laringea sulle false corde a scapito del registro di petto, spesso non coinvolto nell’emissione. “Sopranista” o “contraltista” sono termini che non sento vicini alla mia esperienza perché sembrano voler estremizzare questo discorso, chi verso un registro più acuto, chi verso uno più grave.
La domanda parrà scontata, ma è inevitabile: come ha scoperto la sua voce e questo repertorio? È nato prima l'amore per la musica antica e il barocco o è una conseguenza dello studio del suo registro vocale?
Sempre prima la musica! Quando guardi uno spartito per la prima volta sembra sia la musica a imporre delle istanze interpretative proprie, e questo vale anche per il suono della voce. Del barocco e soprattutto dei ruoli eroici di stampo handeliano ho sempre trovato convincente l’idea di impiegare un controtenore dovutamente educato al canto scenico per sostenerli. Penso che enfatizzi il realismo del personaggio e permetta alla voce di parlare ai cuori con novità e fascino. Questo è stato alla base delle mia ricerca.
Fra i cantanti in attività nel suo registro è uno dei più assidui frequentatori degli estremi cronologici del repertorio: dall'epoca del madrigale fino a Britten. Ci vuole parlare del suo impegno e della sua ricerca in questo senso, di quali siano le differenze tecniche e stilistiche da affrontare e l'arricchimento artistico che comporta?
Mi fa molto piacere che l’abbia notato.
Proprio perché la vocalità controtenorile, per quanto oggi sempre più richiesta, si trova ancora in una fase di affermazione e di ricerca, sento urgentissimo insistere sull’estrema ricchezza di repertorio di cui disponiamo. Tutti i repertori hanno uguali dignità e richiedono la dovuta perizia per affrontarli. Se la tecnica è una, i linguaggi sono molti e oggi più che mai è necessario approfondirli con cognizione. Forse al controtenore, per la sua versatile applicabilità a vari tipi di scrittura e di epoche sonore, è richiesto uno studio ancora maggiore rispetto a altre voci per poter affrontare ragionevolmente i vari stili. Questo è sicuramente un bagaglio culturale notevole che può fare la differenza nel percorso artistico di ciascuno.
Reimann nella sua Medea del 2010 ha previsto un ruolo per Max Emanuel Cenčić. Si scrive ancora, dunque, musica interessante per il suo registro? Ed è molto diversa, dal punto di vista strettamente tecnico-vocale senza ovviamente considerare le questioni stilistiche, da affrontare rispetto a quella pensata per i castrati?
La voce di controtenore, per quanto ai più sia ancora inedita, è un registro datato, di cui abbiamo testimonianza già dal periodo pre-barocco, e non ci stiamo riferendo ai castrati. Potremmo dire che questa voce è sempre stata “nelle quinte” della scena vocale classica e forse solo oggi può ambire a una dignità di cui non ha mai goduto proprio per l’attenzione che i compositori moderni le hanno offerto in tempi recenti. Primo fra tutti il già citato Britten. Sempre più vicini ai giorni nostri gli aspetti tecnici sono messi alla prova da nuove strategie linguistiche, come è ormai prassi, cosa che non sempre ha dato risultati felici. Tuttavia il rapporto con il contemporaneo è fondamentale se vogliamo immaginare per questo registro un futuro alto e, perché no, affrancato dal retaggio barocco. Guardo con grande ammirazione al lavoro di Benjamin, Adams, Sciarrino, e penso che si possa ancora fare molto nella ricerca musicale per permettere a questa vocalità una completa espressione sui palcoscenici attuali.
Veniamo a Giulio Cesare: come è nato questo progetto e come si è sviluppata la scelta dei brani?
Per Cesare ci siamo concentrati sulle opere in cui il ruolo fosse scritto per castrato nella sola tradizione barocca settecentesca e in particolare su alcuni dei compositori italiani di maggiore rilievo che hanno dedicato a questo mito pagine straordinarie. Molti di questi nomi sono quasi sconosciti ancora, anche se è che i più noti linguaggi handeliano o mozartiano hanno attinto a piene mani da questa tradizione, a volte con risultati meno efficaci.
Le opere in programma spaziano dal 1713 al 1788. Quali sono le differenze più significative nell'evoluzione dello stile, delle forme, del modo di trattare il testo e il virtuosismo?
Come è noto nel Settecento la “moda musicale” in Italia cambiava con frequenza anche biennale (ce lo ricorda il Burney nel suo ‘Viaggio in Italia...’). Va da sé che ogni titolo presentato in questa collezione potrebbe essere preso come un riferimento a sé stante di un determinato stile di quel tempo. Pollarolo ricorda per scrittura e organico strumentale i melodrammi di Alessandro Scarlatti (pure attivo al Teatro Ottoboni negli stessi anni), Giacomelli prefigura un nuovo desiderio di leggerezza e nonchalance nell’opera di stampo galante. Piccinni e Bianchi rappresentano la maturità di questo linguaggio, strizzando l’occhio a Mozart, ma rimanendo radicati ancora nella monteverdiana cultura per la ‘parola cantata’. Addirittura in Piccinni la vocalità sembra richiedere alcuni aspetti virtuosistici che saranno portati alle estreme conseguenza da Bellini.
Nell'arco di un secolo politicamente cruciale, che attraverso la diffusione della cultura illuministica passa dall'assolutismo alle grandi rivoluzioni, una figura così forte e ricca di sfaccettature com'è quella di Cesare, viene interpretata in modo diverso dal 1713 al 1788? Come interprete ha notato qualche aspetto significativo? Quali immagini del condottiero e dello statista romano emergono dalle pagine che avete selezionato?
L’evoluzione storica di quegli anni va di pari passo con un trattamento drammaturgico diverso dell’eroe. Se nei lavori di inizio Settecento l’aura semi-divina del nobile Cesare è gloriosamente enfatizzata, nei lavori della fine del Settecento la sua decadenza fisica e politica è raccontata con tratti quasi tragici, forse un sentimento condiviso che iniziava a diffondersi negli ambienti aristocratici pre-rivoluzionari.
Compare il Cesare vincitore della guerra civile e innamorato di Cleopatra nei soggetti egiziani, compare il Cesare prossimo alla morte nell'opera di Bianchi. Non compare il Cesare politico contrapposto a Catone nelle opere ispirate al magnifico libretto di Metastasio. Questioni di spazio, artistiche o altro?
È vero, tuttavia il libretto di Metastasio è sapiente nel porre al centro della scena una figura alternativa all’eroico Cesare come quella di Catone. Abbiamo preferito soffermarci sulle sfumature caratteriali presentate nelle opere dove il ruolo di Cesare è in assoluta preminenza.
Fra tanti Cesari, interpreta anche, con Raffaella Lupinacci, il duetto handeliano fra Sesto e Cornelia: un modo per mostrare anche l'altra faccia della medaglia e personaggi che si confrontano con il condottiero?
Ci piaceva l’dea di includere nel disco un duetto e l’amicizia e la stima che mi lega a Raffaella ha fatto propendere la scelta per un assoluto classico, tra i preferiti di sempre di entrambi. La ricchezza della sua Cornelia credo sia un acquisto felicissimo per la discografia di questo brano e avendo a disposizione un’orchestra molto sensibile non ci siamo lasciati scappare l’opportunità di inciderlo.
Un progetto preciso e ricco di rarità si chiude con un bonus, come un recital in teatro si chiuderebbe con un bis fuori programma. Quali sono a suo modo di vedere gli elementi di continuità e discontinuità rispetto a Cesare di Ariodante e della sua magnifica “Scherza infida”?
Mentre incidevo ‘Scherza infida’ mi sono chiesto: e se le parole non si riferissero solo alla trama amorosa di Ariodante ma le intendessimo con un valore più esistenziale sulla morte di Cesare e la fine dell’impero? Quale straordinario e ineluttabile epilogo per la storia di Cesare, un lamento contro i suoi traditori tutti, da Bruto ai barbari tra le cui braccia se ne va la sua più grande creatura, il suo unico vero amore, l’impero. Forse il taglio è cinematografico, ma mi sembrava molto emozionante.
A breve terrà a battesimo il Rinaldo di Handel nel Circuito Lombardo, dove già era stato fra i protagonisti del Midsummer Night's Dream di Britten. In un momento in cui sembra che molti dirigenti abbiano paura a programmare titoli meno consueti e affidino i botteghini al repertorio più tradizionale, come ha vissuto l'impatto sul pubblico, e soprattutto sul pubblico giovane, del barocco e dell'opera del Novecento?
Parlavo recentemente con un amico direttore artistico di questo tema, il quale in modo molto illuminato mi ricordava che il teatro non può essere considerato un museo perché la sua sopravvivenza è fondata su una assidua e rinnovante attività artistica. Repertorio antico e nuovi titoli, o titoli inconsueti, non possono non far parte di questo progetto di vita, soprattutto in Italia dove Teatro e vita culturale del Paese devono essere percepiti come sinonimi inscindibili. È imperativo per chi si occupa di cultura oggi dare significato al nuovo a partire da una profonda conoscenza di chi siamo e di chi siamo stati. Il pubblico ne ha bisogno, infatti quando la proposta è alta e adeguata il pubblico risponde sempre con entusiasmo; è stato il caso di Britten e sono certo lo sarà anche per Rinaldo.
Sono in programma anche concerti dedicati a Giulio Cesare? Quali sono i suoi prossimi progetti sia di ricerca monografica sia in produzioni teatrali, a partire dal Rinaldo?
Stiamo lavorando proprio in questi giorni alle date per un tour di concerti che sarà in Italia che all’estero che presto pubblicheremo. Tra le prossime ricerche un programma sui castrati che presero parte alle opere di Vivaldi che presenterò in concerto al Teatro di Losanna a febbraio con I Barocchisti di Diego Fasolis e un lavoro su una figura ancora poco nota del Seicento italiano ma di grandissima dignità musicale e storica, Atto Melani.