La cena delle beffe torna alla Scala
con la direzione di Carlo Rizzi, la regia di Mario Martone e le scene di Margherita Palli l’opera di Giordano che qui vide la luce con la direzione di Toscanini.
Tutte le rappresentazioni saranno precedute da una presentazione di Franco Pulcini.
Biografie: Carlo Rizzi Mario Martone i cantanti
L’opera alla Scala
La cena delle beffe torna alla Scala dal 3 aprile al 7 maggio. Dirige Carlo Rizzi, cantano tra gli altri Marco Berti, Kristin Lewis, Nicola Alaimo e Leonardo Caimi, la regìa è di Mario Martone, le scene di Margherita Palli, i costumi di Ursula Patzak. La ripresa di questo titolo si inserisce nel progetto di riportare alla Scala i titoli che vi hanno visto la luce (come è stato per la verdiana Giovanna d’Arco diretta da Chailly lo scorso 7 dicembre) e nel processo di riscoperta del repertorio verista, che negli ultimi anni è stato rappresentato alla Scala unicamente da Cavalleria Rusticana e Pagliacci.
Dopo la prima assoluta diretta da Toscanini nel 1924 con la regìa di Giovacchino Forzano e i meravigliosi bozzetti di Galileo Chini e costumi di Caramba, alla Scala si registra una sola ripresa, tra il dicembre 1925 e il gennaio 1926, nel medesimo allestimento e ancora con Toscanini sul podio. Tra gli allestimenti storici va ricordato almeno quello del Metropolitan del 1926 con Beniamino Gigli e Titta Ruffo; dopo decenni di oblio il titolo è stato ripreso a Zurigo con la regìa di Liliana Cavani nel 1999.
Il libretto è firmato da Sem Benelli che lo trae dal suo omonimo poema drammatico del 1909. Il testo teatrale aveva avuto un immediato successo, tanto da essere ripreso l’anno successivo a Parigi con Sarah Bernhardt protagonista en travesti nei panni di Giannetto Malespini. Nel 1919 Edward Sheldon ne trae una versione in inglese – The Jest – che con John e Lionel Barrymore totalizza 256 repliche al Plymouth di New York. Del 1942 è il classico film di Alessandro Blasetti con Amedeo Nazzari, mentre tra le riprese teatrali più recenti va ricordata almeno la versione di Carmelo Bene, andata in scena al Teatro della Pergola di Firenze nel 1974 con lo stesso Bene e Gigi Proietti.
Tutte le rappresentazioni saranno precedute da una presentazione di Franco Pulcini, un’ora prima dell’inizio, al Ridotto dei Palchi del Teatro. L’ingresso è riservato ai possessori di biglietto o abbonamento.
La produzione de La cena delle beffe al Teatro alla Scala è realizzata con il sostegno della Fondazione Milano per la Scala e della signora Aline Foriel-Destezet.
Stagione d’opera e balletto 2015~2016
3, 6, 10, 20, 23, 28 aprile; 4 e 7 maggio 2016
LA CENA DELLE BEFFE
Poema drammatico in quattro atti
musica di UMBERTO GIORDANO
su libretto di Sem Benelli
(Copyright e Edizione Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano)
Prima rappresentazione: Teatro alla Scala, 20 dicembre 1924 (dir. Arturo Toscanini)
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore CARLO RIZZI
Regia MARIO MARTONE
Scene MARGHERITA PALLI
Costumi URSULA PATZAK
Luci PASQUALE MARI
Personaggi e interpreti
Giannetto Malespini Marco Berti
Neri Chiaramantesi Nicola Alaimo
Gabriello Chiaramantesi Leonardo Caimi
Il Tornaquinci Luciano Di Pasquale
Il Calandra Giovanni Romeo*
Fazio Frano Lufi
Il Trinca Francesco Castoro*
Il Dottore Bruno de Simone
Lapo, Un cantore Edoardo Milletti
Ginevra Kristin Lewis
Lisabetta Jessica Nuccio
Laldomine Chiara Tirotta*
Fiammetta Federica Lombardi*
Cintia Chiara Isotton
Orchestra del Teatro alla Scala
Maestro del Coro BRUNO CASONI
*Allievi dell’Accademia Teatro alla Scala
Date:
domenica 3 aprile 2016 ore 20 ~ prima rappr. turno E
mercoledì 6 aprile 2016 ore 20 ~ turno A
domenica 10 aprile 2016 ore 15 ~ fuori abbonamento
mercoledì 20 aprile 2016 ore 20 ~ turno B
sabato 23 aprile 2016 ore 20 ~ ScalAperta
giovedì 28 aprile 2016 ore 20 ~ turno D
mercoledì 4 maggio 2016 ore 20 ~ turno C
sabato 7 maggio 2016 ore 20 ~ turno N
Prezzi: da 210 a 13 euro
Prezzi recita ScalAperta: da 105 a 6,50 euro
Infotel 02 72 00 37 44
Il soggetto
Emilio Sala
Atto I
A Firenze, in casa dei Tornaquinci, ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
Lorenzo de’ Medici ha ordinato a Tornaquinci di ospitare una cena a casa sua per far tornare la pace tra Giannetto Malespini e i fratelli Chiaramantesi, Neri e Gabriello. Il primo ad arrivare è Giannetto, il quale racconta al Tornaquinci come Neri gli abbia sottratto l’amante, Ginevra, per beffarlo poi crudelmente: lui e suo fratello Gabriello, infatti, dopo averlo chiuso in un sacco e calato
nell’Arno, lo hanno punzecchiato coi loro pugnali, ferendolo ripetutamente nel fondoschiena. Ora Giannetto è pervaso da una sola, ossessiva idea: la vendetta. Entrano i fratelli Chiaramantesi con la soave Ginevra e la compagnia si mette a tavola. Durante la cena, si capisce che, nonostante l’amore che unisce i due fratelli, anche Gabriello è innamorato di Ginevra. Giannetto convince Neri, che ha bevuto un po’ troppo, a spogliarsi dei suoi vestiti e a indossare l’armatura per andare a cercare una rissa in Vacchereccia, un quartiere poco rispettabile di Firenze. Dopo che Neri è uscito armato di tutto punto, Giannetto, quasi in uno stato di esaltazione, prende le vesti di Neri e le consegna al proprio servo Fazio, intimandogli di portarle a casa sua e di andare poi in Vacchereccia, urlando a tutti che Neri è uscito di senno.
Atto II
Anticamera di Ginevra.
La mattina dopo, Ginevra esce dalla sua camera mentre i servi raccontano che quella notte Neri è impazzito ed è stato imprigionato. Ginevra racconta allora che ciò non è possibile, perché Neri è nel suo letto e ha passato un’appassionata notte d’amore con lei. All’improvviso, compare Giannetto in veste succinta con il mantello di Neri al braccio: facendosi passare per il rivale, ha trascorso la notte con Ginevra. Quest’ultima, nell’apprendere dello scambio di persona, appare tutt’altro che inorridita, e i due nuovi amanti rievocano pieni di voluttà la loro notte d’amore. Si ode però del trambusto ed irrompe Neri fuggiasco e furioso, imprecando contro Giannetto. Egli chiama Ginevra che si è chiusa in camera sua, ma poco dopo sopraggiungono gli uomini dei Medici che riescono a catturare di nuovo il presunto pazzo e lo trascinano via.
Atto III
In uno stanzone dei sotterranei dei Medici.
Entrano Giannetto e il Dottore. Quest’ultimo afferma che, per cercare di fare rinsavire il pazzo, è stato organizzato un incontro tra Neri e le numerose persone da lui offese in passato. Compare Fazio, per mettere in guardia Giannetto: Gabriello è convinto che dietro alla presunta follia del fratello ci sia una macchinazione di Giannetto ed è stato anche da Ginevra, ma invano, perché nonostante le sue insistenze costei non gli ha aperto la porta. Giannetto medita su come portare avanti la sua vendetta. Entrano gli staffieri che trasportano Neri legato a un seggiolone. Durante il confronto con le sue vittime, Neri viene confortato da una delle donne da lui sedotte e tradite, Lisabetta, la quale capisce che Neri non è pazzo e, ancora innamorata di lui, lo consiglia di atteggiarsi a folle inoffensivo, in modo che essa possa chiedere e ottenere la sua custodia. Entra Giannetto e vedendo la trasformazione di Neri si dispera, credendo di averlo davvero spinto alla follia; poi cerca di implorare il suo perdono, ma Neri continua a comportarsi da pazzo mansueto e lo ignora. Lisabetta ottiene da Giannetto la custodia di Neri, che viene ben presto slegato e consegnato alle sue cure. I due escono di scena mano nella mano, ma Giannetto comunica al finto pazzo che quella notte stessa andrà a dormire ancora una volta da Ginevra.
Atto IV
La stessa scena del secondo Atto.
È notte e Ginevra sta aspettando Giannetto, il quale ha detto a Gabriello che Ginevra lo ama e lo attende a casa sua quella notte. Irrompe Neri che intima a Ginevra di andare ad aspettare Giannetto nella camera da letto, giacché intende sorprendere e uccidere i due amanti. Si ode dalla strada una canzone malinconica e misteriosa. Neri entra nella camera da letto di Ginevra col
pugnale in mano e poco dopo si sente un doppio urlo, uno con voce maschile e l’altro con voce femminile. Uscendo dalla camera, Neri incontra Giannetto, il quale gli chiede chi crede di avere ucciso. Sconvolto, Neri si rende conto dell’ultima beffa di Giannetto: costui lo ha indotto a uccidere l’amato fratello Gabriello. Il colpo è però troppo forte: questa volta Neri impazzisce davvero e Giannetto rimane impietrito in preda al rimorso.
Dal programma di sala La cena delle beffe - 3 aprile 2016
L’opera in breve
Emilio Sala
L’importanza della Literaturoper nel panorama dell’opera novecentesca, dal Pelléas et Mélisande in poi, è stata ribadita da vari studiosi, tra i quali, autorevolmente, Carl Dahlhaus. Comporre un’opera a partire da un testo drammatico preesistente, senza alcuna mediazione o riduzione librettistica, ammettendo l’accorciamento come unico intervento possibile, è un costume che venne ben presto introdotto anche in Italia, naturalmente sotto il segno del più influente drammaturgo e poeta d’inizio secolo: Gabriele d’Annunzio.
Francesca da Rimini di Zandonai (1914) e Fedra di Pizzetti (1915) sono i due titoli che diedero il via al fenomeno. A dire il vero, solo il secondo dovrebbe essere considerato una Literaturoper in senso stretto, dato il suo rispetto per il testo preesistente, che venne appena ritoccato dallo stesso d’Annunzio. Il primo, oltre a prevedere tagli molto consistenti, utilizza un testo che venne rielaborato, anche con l’aggiunta di alcuni versi, a cura di Tito Ricordi; resta però il fatto che anche in quest’ultimo caso si tratta di un aggiustamento che non ha più nulla a che vedere con le pratiche di riduzione librettistica del passato. Un altro compositore che realizzò un interessante progetto di Literaturoper è Umberto Giordano, la cui Cena delle beffe andò in scena alla Scala il 20 dicembre 1924 (poche settimane dopo la morte di Puccini). La cena delle beffe è un poema drammatico in quattro atti, che Sem Benelli fece rappresentare per la prima volta nel 1909 e che ebbe un grande successo come testo teatrale prima di diventare un film di Alessandro Blasetti (1942) con Amedeo Nazzari (Neri) e Clara Calamai (Ginevra). Nonostante le numerose stroncature della critica (Giovanni Papini arrivò a definire Sem Benelli “una ciabatta smessa di Gabriele d’Annunzio”), La cena delle beffe ha attirato una schiera di grandi attori, da Sarah Bernhardt (che interpretò Giannetto en travesti) a Carmelo Bene (che adattò il dramma ben due volte, nel 1974 e nel 1989).
Uno degli aspetti più notevoli (soprattutto dal punto di vista musicale) del testo benelliano è il suo modo di utilizzare endecasillabi sciolti di carattere alquanto prosaico (come scrisse Silvio D’Amico, quella della Cena non è altro che “prosa dove si va a capo ogni undici sillabe”) e dunque antidannunziani, oltre che perfettamente adatti ad andare incontro alle esigenze di disgregazione della sintassi melodica tradizionale sottese alla natura stessa della Literaturoper. Comunque sia, pur avendo potuto giovarsi (come Pizzetti) della collaborazione dello stesso autore del testo, anche Giordano (come Zandonai) riaggiustò l’originale con interventi abbastanza vistosi. Dei milleottocentoventisei endecasillabi composti da Benelli ne sopravvissero meno della metà, e sono pure tutt’altro che rari i versi più corti, a mo’ di spezzoni residuali sopravvissuti all’azione dei tagli. Ma ciò che più conta è l’aggiunta di diciassette versi per la scena in cui la lussuriosa Ginevra dichiara la sua attrazione per Giannetto (“L’amore si alimenta di stupore”, Atto II). Non a caso questo passo conterrà uno dei motivi ricorrenti più importanti dell’opera. La necessità di espandere la sensualità struggente di questo punto di scena appare anche in una lettera che Giordano inviò a Benelli in data 30 maggio1923: “Non posso farlo [l’Atto II] se tu non mi mandi quei dieci-dodici versi di cui ti pregai. La musica che comporrò su questi nuovi versi dovrà essere calda e sensuale; mi servirà in parecchi punti del finale”. Ma nonostante questa espansione per certi versi lirica, siamo lontanissimi dal clima musicale di un’opera ancora ottocentesca come Andrea Chénier. Un altro aspetto notevole della drammaturgia benelliana, infatti, è il cinismo metateatrale, spesso straniante e corrosivo, che sembra talvolta anticipare il Pirandello dell’Enrico IV. Il gioco tra finta e vera follia, l’assenza di personaggi positivi, la morbosità del rapporto tra Neri e Giannetto, il finale anticatartico: sono tutti elementi “novecentisti” che il “verista” Giordano ha in parte ripreso dal Gianni Schicchi, ma sviluppandoli poi in senso tragico. Ripensare il verismo non in opposizione al modernismo, ma cercando di metterlo in relazione con esso (come è già stato fatto con Puccini) significherebbe rimescolare non poco le carte della storia dell’opera italiana dalla Giovane Scuola alla Generazione dell’Ottanta. In questo contesto ancora incerto e iniziale, La cena delle beffe appare di sicuro come uno dei titoli meno eludibili, anzi fondamentali.
Dal programma di sala La cena delle beffe - 3 aprile 2016