Gira la cote! Gira, gira! Gira…
Turandot. L’incompiuta pucciniana, di cui ricorreranno nel 2026 i 100 anni dalla prima rappresentazione avvenuta postuma alla morte del suo autore torna in scena con il finale di Luciano Berio, per 4 rappresentazioni (15luglio/4-11-19agosto) nell’allestimento che porta la firma di Daniele Abbado con le scene ideate da Angelo Linzalata realizzate dagli artisti della Cittadella del Carnevale e i bellissimi costumi di Giovanna Buzzi. Un cast d’eccezione per questa opera considerata un vero capolavoro del novecento con il debutto a Torre del Lago nel ruolo del titolo del soprano lirico drammatico Sandra Janušaite stella del firmamento lirico mondiale riconosciuta come una delle migliori soprano del nostro tempo. Nel ruolo del principe Calaf il ritorno sulle scene del Festival Puccini del tenore Amadi Lagha. Liù sarà interpretata da Emanuela Sgarlata, Timur Antonio Di Matteo, Ping Tommaso Barea, Pong Marco Miglietta, Pang Andrea Giovannini. Sul podio il gradito ritorno della bacchetta di Robert Trevino che guiderà Orchestra e Coro del Festival Puccini .
Daniele Abbado regista
Lo spettacolo muove dalla considerazione di Turandot come opera che sta appieno nel percorso teatrale del novecento. Un’opera che ci consegna a un universo in cui coesistono mondi diversi. La favola musicata da Puccini ci spinge verso una narrazione non letterale né tantomeno realistica. Si parte da una situazione archetipica: il mondo che irrompe in scena è in preda a una paralisi, in una situazione di crisi diffusa. Non si conosce l’origine di questa crisi, probabilmente è stata dimenticata. E, come nell’archetipo, restano da svelare degli enigmi. Nel racconto scenico emerge una catena di traumi che premettono al trauma principale, quello della Regina Turandot, che ne reincarna uno lontanissimo. Siamo all’interno della dualità maschile – femminile, una dualità
irrisolta. Questo clima di allucinazione collettiva può essere superato solamente con atti che ripristino la conoscenza. Per questo il ruolo e la funzione del giovane principe senza nome assumono fin dall’inizio il carattere della necessità. Le tre Maschere sono parte essenziale del racconto, indicano che c’è un ruolo decisivo del Teatro. Il Teatro come luogo delle vicende interiori più inafferrabili ma anche come luogo di possibili svelamenti. Puccini non riuscì a completare Turandot. Anche con l’importante apporto di Luciano Berio, questo racconto scenico sembra non chiudersi su una fine, quanto piuttosto donare a Turandot il senso di un tentativo, un esperimento. Turandot come Opera Aperta, consegnata al destino di generare e ospitare finali di significato diverso.