Note musicali di Christian Capocaccia
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel…
L’«incantamento» dell’incipit di uno dei più famosi, e a me più cari, sonetti danteschi è la vera dimensione in cui si svolgono Les contes d’Hoffmann, moltiplicando in un mirabolante, borgesiano gioco di specchi l’incantesimo primo che sta alla base di ogni finzione teatrale e operistica. Il fascino di questo lavoro − se vogliamo nel senso più etimologico del latino fascinum=stregoneria − risiede nell’incredibile proliferazione dei suoi incantesimi, che avvincono l’ascoltatore, immedesimato fin all’inizio nel personaggio Hoffmann, alla narrazione fantastica dei suoi tre racconti, alla magia dei casi amorosi di cui lo scrittore è allo stesso tempo autore e protagonista, ai malefici di cui è vittima. Il protagonista è, nelle mani di un Offenbach ‘buon incantatore’, lo strumento della creazione di una dimensione altra, in cui rimaniamo rapiti, costantemente in bilico tra sogno e realtà: come nel secondo atto, dove la realtà di Hoffmann, l’unica che parrebbe verosimile, stride con la realtà di tutti, che risiede in una finzione − la finta natura umana dell’automa Olympia. Una dimensione dove, in una sorta di caleidoscopio felliniano, nella finzione generale si inanellano, una dentro l’altra, le finzioni dei vari racconti. E dove, infine, le cose acquistano una natura magica, come il ritratto della madre di Antonia che prende vita, o il diabolico violino di Miracle, o lo specchio che cattura l’immagine di Hoffmann nell’atto di Giulietta. In questo senso, la musica di Hoffmann tocca l’apice quando va oltre la sua generica carica romantica, secondo idiomi tipici dell’opéra comique francese, intrisi della mirabile ispirazione melodica dell’Offenbach genio dell’operetta. Les contes d’Hoffmann diventano una delle più incredibili incarnazioni dell’incantesimo operistico nei momenti in cui la musica si insinua nelle pieghe della materia magica di questa narrazione e diventa la voce di quelle ‘cose’, nel suo aderire al loro valore simbolico e farsi concreta manifestazione del loro potere incantatore. Non posso dunque che avvicinarmi a questo capolavoro e offrirlo al pubblico se non pensando ad Hoffmann e Nicklausse come gli amici Dante, Guido e Lapo, e tutti noi con loro, vittime felici di questo «incantamento», trasportati in un vasel di dantesca memoria − la gondola di Giulietta? − dal genio musicale di Offenbach.