L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cartoline dal Grand Tour

di Roberta Pedrotti

Wolf, Mozart, Borenstein, Čajkovskij 
Italian Postcards
Quartetto di Cremona (Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramaglia, viola, Giovanni Scaglione, violoncello)
Ori Kam, viola - Eckart Runge, violoncello
registrazione effettuata a Poirino (Torino) nel dicembre 20219
CD AVIE In musica veritas, AV2436, 2020

Registrate alla fine del 2019, le cartoline italiane del Quartetto di Cremona sono arrivate verso la fine del 2020, al termine di un anno in cui di viaggi ne abbiamo potuti far pochi, di molti luoghi e suoni dal vivo abbiamo – ahinoi – dovuto fare a meno. Quantomai opportuni, allora, questi souvenir, ricordi della tappa fondamentale di ogni intellettuale che si rispettasse nell'Europa fra Sette e Ottocento: il Gran Tour nella Penisola, a godere il caldo sole cisalpino, le vestigia romane e l'arte rinascimentale, il mito della melodia, della bella cantabilità italiana. Cartoline, appunto, fra esperienza diretta e fascinazione per un'idea pittoresca più che per la realtà.

Il Quartetto di Cremona compone la sua bacheca di souvenir dal Grand Tour con una studiata alternanza: la Serenata italiana di Wolf (scritta, al limitare della follia degli ultimi anni, sulla scia delle impressioni sonore destate da un viaggio) fa il paio con una nuova commissione in prima registrazione, Cieli d'Italia di Nimrod Borenstein (classe 1969); il primo quartetto di Mozart, scritto durante il soggiorno a Lodi, avrà una sorta di risposta nel Souvenir d'Italie di un russo innamorato del Salisburghese, Čajkovskij.

In quest'ultimo, sestetto, si uniscono all'organico cremonese la viola di Ori Kam e il violoncello di Eckart Runge per una sonorità più densa e corposa, in cui la galante conversazione guidata dai violini trova un più sostanzioso contrappeso nel registro centro grave. Permangono, naturalmente, i punti cardine dell'ispirazione “italiana” cristallizzata nell'ideale di mittelleuropeo e slavo: spiccata cantabilità, tempi mossi brillanti a ritmo di danza popolare, temi di sapore folklorico (che siano originali o meno cambia poco), il pizzicato a ricordare mandolini e affini. Qui sta l'insidia per l'interprete e il punto di forza del Quartetto di Cremona: là dove sarebbe fin troppo facile indulgere in sonorità patinate, anima, cuore, pizza, mamma, canto e tarantella, gli archetti guizzano agili, la cavata non si amplia mai compiaciuta, ma resta asciutta, perfino aguzza, in un continuo moto dinamico. Così, anche il giovane Mozart mostra più l'invenzione ritmica, la sottigliezza dell'intreccio delle voci e dei timbri, l'originalità della scansione Adagio-Allegro-Minuetto-Rondò, che alla prassi dell'alternanza preferisce una progressione dalla quiete al moto, alla danza e a un brio sorridente, sicché, per contrasto, anche il cantabile ne risulta esaltato. E non sembra, poi così lontano non solo da Čajkovskij, ma perfino dai due quartetti in un unico movimento concepiti da Wolf e Borenstein. Questi ultimi sono segnati entrambi da un'apparente frammentarietà del materiale ricorrente – nel caso di Wolf, un tema pastorale udito al piffero e il ritmo della tarantella – che tuttavia affiora come reminescenza fondamentale in un tessuto ben strutturato. L'idea melodica subito enunciata da Borenstein è resa dal Quartetto con una particolare lucentezza per poi infrangersi, e farsi anche tagliente, nell'irrompere di una sezione in pizzicato particolarmente pervasiva e perentoria, che innesca un meccanismo dialettico di variazioni e rielaborazioni. L'articolazione è sempre quella mobilissima, snella e dinamica che accenta in maniera particolarmente incisiva Mozart come Wolf, Borenstein come Čajkovskij.

Non si può non rimanere appagati dall'ascolto, e se le note di copertina di queste cartoline “italiane” escludono proprio la nostra lingua, non c'è troppo da stupirsi, in fondo: suona il Quartetto di Cremona, ma i mittenti in visita nella Penisola sono due austriaci (uno occidentale, quasi tedesco, uno orientale, di sangue sloveno), un russo, un franco-anglo-israeliano. E noi stiamo a guardare il loro Gran Tour, il loro sguardo su di noi.


 

 

 
 
 

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