Quand tu chantes
di Roberta Pedrotti
Massenet, Gounod, Bachelet, Delibes, Rossini, Bellini, Donizetti
Serenade
Jessica Pratt, soprano
Vincenzo Scalera, pianoforte
Fano, Teatro della Fortuna, 1-4 luglio 2014
CD Rosenblatt Recitals - Opus Arte2015 OA CD9038 D
Sarà che al di qua delle Alpi il canto da camera ha sempre faticato a emanciparsi come genere alla maniera dei paesi tedeschi e mitteleuropei, sarà che i nostri compositori, nell'Ottocento soprattutto, hanno sempre goduto in massimo grado della visibilità teatrale, accanto alla quale la voce sola con pianoforte poteva finire per sembrare un ripiego, una diminutio. Fatto sta che, nonostante l'oggettivo e indiscutibile valore di molte arie da salotto di Rossini, Bellini, Donizetti, difficilmente al repertorio cameristico vocale italiano si riconosce la dignità che merita.
Ben venga, allora, un disco come questo di Jessica Pratt a unirsi alla schiera dei paladini delle miniature per voce e pianoforte italiane, qui accostate alle cugine francesi. L'altra faccia della medaglia, non meno importante, è ribadire che la virtuosa Lucia ed Elvira, Adelaide e Zenobia può essere anche una cesellatrice della parola cantata, che il belcanto è sulla parola sia sui grandi palcoscenici sia nell'intimità salottiera, che la coloratura, in tutte le sue accezioni, non è esibizione, bensì preziosa essenza da dosare con sapienza di volta in volta a seconda dello spirito e dei poli d'attrazione d'ogni brano.
Non mancano pagine che si profilano come omaggi alla pura vocalità e, certo, Chère nuit di Alfred Bachelet, dedicato a Nellie Melba, è un raffinato tributo alla tradizione belcantistica australiana di cui, passando per Joan Sutherland, la Pratt è erede. Nondimeno la Villanelle di Eva Dell'Acqua ha trovato un buon posto nel baule di ogni soprano di coloratura che si rispetti (e che abbia qualche confidenza con il francese) e sia Ouvre tes yeux bleus di Massenet, sia Sérénade di Gounod o Les filles de Cadix di Delibes esigono un agguerrito bagaglio tecnico e una duttilità vocale superiore. Un pizzico di divertimento e di seduzione floreale si distingue nell'aroma francese fin de siècle di questa prima parte del CD, in cui la Pratt fa valere soprattutto un'elegantissima ricerca timbrica, in toni diafani e traslucidi fra il cristallino e il madreperlaceo, in un canto morbido ma impalpabile, sfuggente.
Per quanto il primo Ottocento italiano sia l'ambiente naturale di Jessica Pratt, come temperamento e come vocalità, sono proprio le arie francesi della seconda metà del secolo, o dei primissimi del Novecento, a costituire gli esiti più affascinanti del programma, fors'anche per quella peculiarità così singolare anche al baluginare di teatrali splendori.
Quando si ascolta, invece, un brano come l'Addio ai viennesi di Rossini è evidente che il gioco di citazione melodrammatica, la riminiscenza, il crescendo e l'enfasi richiedano il mordente della primadonna, e la Pratt non manca, con magnifiche progressioni d'agilità, di salire in soglio con il piglio giustificatissimo della Diva. Di segno diverso è l'affinità fra il linguaggio teatrale e quello cameristico di Bellini, anche nella quasi totale identità fra La ricordanza e “Ah! Rendetemi la speme”, e la Pratt vi aderisce con sofisticato lirismo ed elegantissima musicalità, tal quale si riconosce nelle arie donizettiane e rossiniane, tutte sbalzate con evidente, profonda conoscenza e confidenza con i rispettivi linguaggi peculiari.
L'accento aritocratico e la predisposizione per l'elegia e la melanconia rappresentano un fil rouge declinato secondo il carattere d'ogni brano, sicché anche il pittoresco iberico delle Filles de Cadix, il tono popolare della Fioraia fiorentina, il guizzo fiammeggiante della Zingara suona come un gioco d'alta società, un mascheramento sofisticato fra l'esotico e il démi-caractère, condito da un pizzico di disincantato distacco.
Da esperto accompagnatore qual è, Vincent Scalera si unisce alla Pratt in perfetta comunione d'intenti, mentre l'incisione in teatro - per quanto una deliziosa bomboniera come quello di Fano - aiuta la spazialità della voce nell'intimismo come nell'allusione melodrammatica.
Si apprezzano le note, asciutte senza agiografie o sproloqui esegetici, tradotte in tre lingue (e siamo ormai assuefatti alla cronica esclusione dell'italiano) e seguite soprattutto dai testi cantati, in lingua originale in versione inglese.