Il quinto elemento
di Roberta Pedrotti
Quintets
F. Schubert
Quintetto in Do maggiore D956 op. 163
R. Schumann
Quintetto in Mi bemolle maggiore op. 44
Quartetto della Scala
Silvia Chiesa, violoncello
Maurizio Baglini, pianoforte
registrati dal vivo all'Amiata piano Festival, Forum Bertarelli, 3 luglio 2016 (Schubert) e 28 giugno 2015 (Schumann)
CD Decca, 481 7321, 2018
Viene il momento in cui la razionalità di quattro signori non basta più, per animare un'amabile conversazione. Forse non basta nemmeno più l'amabilità della conversazione. Al quartetto d'archi definito da Goethe si deve aggiungere un quinto elemento, un nuovo timbro, un nuovo spessore, il dispari che sbaraglia le simmetrie e gli equilibri.
Sia amplificato nelle file degli archi con una seconda viola, un secondo violoncello o, magari, un contrabbasso aggiunto, sia posto in dialogo con un pianoforte o uno strumento d'altra famiglia, il quartetto divenuto quintetto scopre una nuova dimensione della musica da camera. Non diventa una piccola orchestra, anche se la può evocare, né resta una specie di quartetto alterato, anche se alla scrittura quartettistica può ammiccare, ma compie il passo che lo trasforma in altro. Un complesso dispari che alla conversazione cameristica può far prendere pieghe inaspettate e problematiche.
Il Quintetto in Do maggiore D956 di Schubert suona per noi posteri come una sorta di testamento musicale, insieme con le ultime sonate pianistiche. Ma noi posteri sappiamo che l'opera venne eseguita solo dopo la prematura scomparsa dell'autore e tendiamo a stendere un presagio di morte anche su chi, pur malfermo di salute, non poteva sapere che il tifo se lo sarebbe portato via di lì a poco. In realtà la riflessione sulla vita e la morte è sempre presente nell'opera schubertiana ed è naturale che con la maturità se ne accrescano anche consapevolezza e profondità. Nel quintetto la presenza di due violoncelli a controbilanciare i due violini, ben lungi dall'appesantire o incupire il discorso, offre lo spessore di una maggiore morbidezza, di nuovo calore, di ombre più variegate. Certo, queste ombre possono conferire una particolare energia, una pregnanza al discorso che però non va a ottundere il respiro di un'impostazione classica, di una vitalità anche gioiosa, anche se non imperturbabilmente serena. Schubert non spezza il classicismo, ma lo amplifica con nuovi elementi che, senza contraddizioni, si aprono a nuove strade, nuove riflessioni.
Quando nel Quintetto in Mi bemolle maggiore op.44 fra gli archi Schumann, invece, fa irrompere il pianoforte, la reazione crea scintille. Più che fondersi con gli archi, la tastiera si impone, trascina, crea un dibattito, scardina equilibri e certezze in un gioco perfettamente calibrato fra condivisione perfino tenera – specie nel suo duettare con il violoncello – e una propulsione quasi provocatoria. Il pianoforte talora si ritrae delicatamente, ma solo per tornare a pungolare la continua evoluzione di un discorso tematico e, soprattutto, ritmico, inquieto e, d'un tempo, controllato. Il legame saldo e profondo, nella condotta delle parti, con i sommi modelli di Beethoven e Bach costituisce le fondamenta di una nuova visione del complesso cameristico con tastiera, generalmente considerato – proprio per il rassicurante punto di riferimento del cembalo o fortepiano o pianoforte – meno impegnativo e professionale per gli esecutori. Invece proprio l'elemento che dovrebbe rassicurare sorprende, crea un nuovo linguaggio, una nuova complessità, nuovi rapporti di forza nell'architettura armonica e tematica. E Maurizio Baglini - autore anche delle note di copertina - mette in campo tutta la sua intelligenza di cultore del repertorio cameristico nell'instaurare un fitto rapporto dialettico con l'eccellente Quartetto della Scala, con una pulsione energetica brillantissima e ben ponderata. La conversazione si fa dibattito, ma si fa anche incalzante reazione a catena, gioco di forze dialettiche, intellettuali e fisiche. Scienza e coscienza.
Parimenti, il violoncello di Silvia Chiesa contribuisce alla perfezione alla resa del Quintetto di Schubert, fondendosi questa volta in un composto nuovo ma perfettamente omogeneo al complesso scaligero. Non una solista concertante, ma un'intelligente nuova voce ad alimentare la conversazione con nuovi contenuti, nuove riflessioni, nuovi stimoli nell'ampiezza polifonica, nella ricchezza timbrica.
Queste due registrazioni, che fanno parte di un ciclo dedicato a esecuzioni dal vivo raccolte all'Amiata Piano Festival, risalgono a un anno di distanza l'una dall'altra: 2015 per Schumann, 2016 per Schubert, eppure sembrano fatte per stare l'una accanto all'altra in questo CD, a testimoniare due volti diversi, e per molti versi consequenziali e complementari, del quintetto ottocentesco. Tanto più che l'ottima ripresa del suono non rende solo, per quanto possibile, l'emozione dell'esperienza dal vivo con applausi del pubblico e piccoli sospiri degli interpreti, ma anche l'eccellenza di un'esecuzione che evidentemente non teme le incognite del live rispetto al conforto dello studio.