Distillato morbido e audace
di Roberta Pedrotti
F. Mendelssohn - Bartholdy
Concerti per pianoforte e orchestra n.1 op. 25 MWV O 7, in sol minore e n.2 op. 40 MWV O 11 in re minore
Rondò Brillan op. 29 MWV 10 in mi bemolle maggiore
Ouveture Die Hebriden op. 26 MWV P 7 in si minore
Roberto Prosseda, pianoforte
Jan Willem De Viend, direttore
Residentie Orkest The Hague
Registrazione effettuata nel settembre 2017 a The Hague, Olanda
CD Decca 481 7207, 2018
Sebbene sia appena ventiduenne quando compone quello che ufficialmente è il suo primo concerto per pianoforte e orchestra, Mendelssohn non è nuovo al genere e, fanciullo prodigio, già a tredici anni aveva iniziato a metter su pentagramma partiture per questo organico. Arriva, allora, come a una pietra angolare al numero uno con tutta la freschezza della sua età ma anche con una consapevolezza solida e matura. L'invenzione è compatta, i tre movimenti si susseguono in un unico pensiero rimarcato anche dal ricorrere tematico, mentre un tocco (ironico?) di fanfara scandisce le cesure invece delle cadenze convenzionali. L'impressione immediata è salottiera, ma solo perché la scrittura, pur fitta e anche fiorita, ha un tratto d'intimità che rifugge l'estroversione del virtuoso; in realtà, l'assenza di effetti e compiacimenti solistici è anche assenza di qualsivoglia leziosità, nel salotto non serviamo té e pasticcini, ma ragioniamo d'arte. Asciugare l'effetto significa allora puntare all'essenziale e farne il nerbo di una visione nuova. Accattivante, in apparenza rassicurante, ma radicalmente proiettata in avanti, come in quell'orchestra che sembra quasi discreta, che non si espande in ampie introduzioni, stringendosi invece in un dialogo stretto e intenso con il solista. Un dialogo che assume un aspetto perfino giocoso nel Presto conclusivo. Non differente è il principio che domina l'articolazione del secondo concerto, pur concepito con una gestazione più tormentata, né del Rondò Brillante op. 29, che pure sfrutta una forma tradizionale, classico banco di prova per solisti brillanti, e ne fa manifesto di una diversa concezione del virtuosismo come articolazione del pensiero.
Roberto Prosseda ha quell'intelligente sensibilità cameristica per le piccole cose perfetta per soppesare il respiro di melodie che paiono romanze senza parole, nel dipanare con la giusta misura d'introversione e incisività, di grazia e contegno la scrittura di Mendelssohn. Nel Rondò ha modo di ribadire l'energia di cui è capace scandendo il carattere marziale della prima esposizione del tema e tutte le sue successive declinazioni. Dei concerti possiede l'arcata dialettica, che dipana con naturalezza persuasiva, piacevole levigatezza timbrica (che ci ricorda il retrogusto classico di Mendelssohn e il calore ligneo della sua orchestra del Gewandhaus) coniugata al giusto incalzare dello spirito romantico. Dialoga con la Residentie Orkest The Hague in perfetto equilibrio, sia quando si fonde con essa, sia quando si pone al centro dell'attenzione, ne coglie gli inviti e li trasforma in stimoli pungenti, ma sempre elegantissimi.
Il complesso diretto da Jan Willem De Vriend, oltre a collaborare alla riuscita dei tre pezzi con pianoforte, si produce nell'Ouverture Die Hebriden, che con il suo afflato evocativo, fra suggestioni nordiche e senso leopardiano del vago, si sposa perfettamente con la poetica dei brani precedenti, con il gioco di sottrazione e sperimentazione sotteso all'apparente serenità di Mendelssohn.
Sarà un caso – ne dubitiamo – ma in tutto il CD solo il Rondò Brillant ha una tonalità d'impianto in modo maggiore: il genio sereno ama giocare con le ombre, per chi le sappia cogliere.