Sua maestà Carmen
di Andrea R. G. Pedrotti
Il festoso Galà dedicato alla Spagna e alla Carmen di Bizet infiamma l'Arena di Verona grazie alla presenza della straordinaria di Anita Rachvelishvili, la migliore interprete attuale della bella sigaraia, con l'apporto non meno straordinario della Micaela di Irina Lungu, della bacchetta di Omer Meir Wellber e delle coreografie di Renato Zanella.
VERONA 24 luglio 2015 - Grande Spagna per la grande Arena il 24 luglio 2015. Stretti dal caldo abbraccio del folto pubblico presente, abbiamo gioito d'un Gala di festa e spettacolo degno dei centodue anni di storia che hanno reso l'imponente anfiteatro veronese protagonista del festival estivo probabilmente più celebre del mondo. Programma intelligente e sapientemente costruito, con un continuum narrativo sensato, splendide coreografie, resa orchestrale di livello assoluto e artisti all'altezza. Unica pecca è stata un'amplificazione calibrata solo dalla perfetta direzione del Maestro Wellber, poiché avrebbe messo in risalto la più piccola sbavatura o incertezza. Peccato non aver fatto ricorso a una sorta di boccascena, costruito sul palco, come accadde in occasione della bella serata Placido Domingo canta Verdi dello scorso anno [leggi la recensione]. A differenza di allora, tuttavia, nessun fortunale a minare la buona riuscita della serata, baciata da un bel cielo stellato, le tradizionali candeline dalle gallerie e, finalmente, una pallida luna, uscita dal suo letargo, pronta ad assistere e rendersi partecipe protagonista della magia del marmoreo tempio che ci ospitava.
Era molto difficile, vista la struttura dell'Opéra-comique di Georges Bizet, dare un senso a tutto l'insieme, essendo costretti a epurare numerosi numeri musicali, ognuno indispensabile alla completa drammaturgia del lavoro. Per meglio calarsi nelle calde atmosfere ispaniche si è perciò deciso di integrare la selezione del capolavoro francese con la Carmen Fantasy di Pablo de Sarasate, per violino e orchestra e con la splendida Asturias di Isaac Albeniz per mandolino e orchestra.
Bella l'idea iniziale di far entrare l'adeguatamente numeroso corpo di ballo dalla platea: danzatori e danzatrici ci passato accanto, cinti dai costumi della Carmen di Franco Zeffirelli, pronti a conferire l'indispensabile tocco di mobilità cromatica necessario a rendere un concerto che sarebbe stato già di per sé notevole una serata da ricordare in futuro.
Ovviamente altro principio non si poteva dare che non fosse il preludio di Carmen, eseguito con passionalità dall'orchestra areniana e danzato con maestria dal corpo di ballo in perfetto sincrono fra espressione e rigore interpretativo, così come sempre dovrebbe essere.
Ballerini, purtroppo, a riposo all'incedere dell'insuperabile gitana, preceduto dall'esecuzione di “La cloche a sonné”, di Anita Rachvelishvili, assolutamente memorabile sotto ogni punto di vista nella sua interpretazione di “L'amour est un oiseau rebelle”, totalmente imperfettibile per fraseggio, interpretazione e passionalità. La voce del mezzosoprano georgiano è ideale per lo spazio areniano. L'omogeneità dei registri è notevole e la proiezione di effetto tanto coinvolgente quanto stupefacente. All'uscita della più grande Carmen dei nostri tempi, è stato il momento del duetto fra Don José e Micaela “Parle-moi de ma mère!”. Accanto a una sempre meravigliosa Irina Lungu, come già accadde lo scorso anno in recita, Carlo Ventre, risulta soffocato dalla personalità dell'artista, pur ponendo in luce miglioramenti rispetto allo scorso anno, forse anche grazie a una direzione d'orchestra particolarmente adatta ai dettagli e dalla mancanza dell'impiccio della inconcludente regia di Franco Zeffirelli, almeno per quanto riguarda il primo atto.
Immediatamente dopo torna sul palco dell'Arena Sua Maestà Anita Rachvelishvili, a deliziare ognuno dei presenti con una magistrale esecuzione di “Près des remparts de Séville”. Per quanto riguarda gli interventi di Ventre, ci sentiamo di confermare quanto detto per il duetto con la Lungu, ritenendo il tenore di Montevideo discreta spalla alle totemiche compagne femmili.
Chiusura della prima parte con una fantasia riassuntiva di tutta l'opera, ossia la Carmen Fantasy di Pablo de Sarasate, ben eseguita dal giovane violinista veneto Giovanni Andrea Zanon, il quale, nonostante la verde età, si dimostra artista disinvolto di fronte a oltre diecimila presenti. Il violinista si fa preferire nei momenti più smaccatamente virtuosistici che nelle risonanze gravi e centrali, soprattutto a causa dell'amplificazioni, portando al termine una prova in sicuro crescendo. Da notare l'abito dello strumentista, completamente nero, con una fascia scura in vita, perfettamente in linea on lo stile iberico del Gala.
Seconda parte all'insegna di uno dei pezzi più belli di Bizet, ossia la Chanson Bohème.
In “Les tringles des sistres tintainent”, alla sempre stupefacente Anita Rachvelishvili, vanno ad aggiungersi le ottime ed esuberanti Alice Marini (Mercedes) e Francesca Micarelli (Frasquita). Non un attimo di pausa all'Arena di Verona, con l'incedere del bravo Dalibor Jenis come Escamillo, nel suo “Votre toast, je peux vous le rendre”. Nelle parti dei comprimari Zuniga e Morales, Victor Garcia Sierra e Nicolò Ceriani.
Intermezzo per mandolino e orchestra con una bellissima esecuzione della composizione di Isaac Albeniz, Austurias. Passionale e virtuosistico, oltre che preciso e coinvolgente, lo strumento di Jacob Reuven, incanta l'Arena, anche se la nostra speranza rimane quella di poterlo riascoltare in un teatro di minor dimensioni e apprezzare maggiormente le sonorità che ci sono state mirabilmente regalate, in gusto esotico, etero e di gran trasporto.
Chiusura con l'esecuzione di “La fleur que tu m'avais jetée” (forse il momento migliore di Ventre), l'aria di Micaela “Je dis que rien ne m'épouvante” di una strepitosa Irina Lungu, anche migliorata rispetto agli anni scorsi, e quella quasi integrale del IV atto di Carmen. Bella l'idea di inserire due primi ballerini nello spazio normalmente adibito a golfo mistico e intenti ad affrontare una sensuale danza gitana, seguita dalla eccezionale esecuzione di “A deux cuartos!” e “Le voici! Le voici!”, con la grandiosità dell'Arena, di Bizet, di Omer Meir Wellber e del coreografo Renato Zanella a dominare gli animi del pubblico con mirabile crescendo e amalgama cromatico di suoni e passioni.
Chiusura e festanti saluti, con il reale finale dell'opera, ossia il duetto “C'est toi, c'est moi”. Altra idea che abbiamo apprezzato è stata quella di far rendere l'anello a Don José, non con la rabbia consona, ma con un freddo distacco, denotante l'indifferenza di Carmen per l'uomo che aveva rovinato, ferendone l'ego virile, ancor più del peggiore degli insulti.
Per ultimo non vorremmo ripeterci, riguardo le nostre considerazioni sul Maestro Omer Meir Wellber, ma il dovere di cronaca ci impone l'ennesima lode del maestro israeliano, la cui concertazione è caratterizzata da un unico scavo filosofico e linguistico nella musicalità dei brani eseguiti. Nulla è casuale e tutto è profondamente studiato e compreso in mirabile atto narrativo, denso di unica comunicativa. I brani orchestrali di maggior effetto sono eseguito con tale crescendo d'effetti, capace di stimolare entusiastiche reazioni; spesso parte soffuso, per arrivare a esplosive chiusure, salutate dal gioioso pubblico dell'Arena. Uno dei pochi ancora voglioso di divertimento.
Medesimo discorso vale quando sia il fraseggio espressivo a farla da padrone, rendendo Wellber uno dei pochissimi, e non l'unico, fra i maestri capace di rendere sfumature e passioni intimistiche in una forma che sia conforme all'anfiteatro.
Bene anche il coro, diretto dal Salvo Sgrò, in bella amalgama vocale e interpretativa.
foto Enneve