Traviata tradita
di Giuliana Dal Piaz
A Toronto non soddisfa La traviata con una protagonista, Ekaterina Siurina, insufficiente sia musicalmente sia interpretativamente, e un allestimento tradizionale senza emozioni. Buono, tuttavia, il resto del cast, così come la concertazione di Marco Guidarini
TORONTO, 13 ottobre 2015 - L’opera statisticamente più rappresentata nei teatri di tutto il mondo, La traviata, ha aperto a Toronto la stagione 2015-16 della Canadian Opera Company, in coproduzione con la Lyric Opera of Chicago e la Houston Grand Opera.
In cartellone con undici repliche fino al 6 novembre, l’opera conta sulla partecipazione di numerosi artisti statunitensi, dalla regista Arin Arbus, lo scenografo Riccardo Hernández, la creatrice dei pupazzi Cait O’Connor e la costumista Terese Wadden, e il responsabile luci Marcus Doshi, agli interpreti protagonici delle prime repliche, Ekaterina Siurina (Violetta), Charles Castronovo (Alfredo) e Quinn Kelsey (Giorgio Germont). Dirige l’italiano Marco Guidarini, già noto a Toronto per aver concertato, nel 2009, il Simon Boccanegra di Verdi sempre con l’orchestra della Canadian Opera Company.
Abbiamo visto tante differenti versioni di quest’opera, d’epoca o in chiave moderna, alcune di esse particolarmente belle o impattanti. Guidarini ha dichiarato apertamente la propria preferenza per un’ambientazione tradizionale e anche la regista Arbus ha optato per la tradizione con uno scenario d’epoca, moderatamente lussuoso e modestamente illuminato, contenuto in una “conchiglia” su cui si proiettano in trasparenza le ombre ingrandite dei personaggi in scena nel primo atto e dei passanti che festeggiano il Carnevale nelle vie di Parigi nel terzo atto, come in un gioco di ombre cinesi.
È questo l’unico tocco di originalità in una messa in scena che definirei piatta e poco memorabile, mentre la scenografia scade nel cattivo gusto nel secondo atto, dove l’ambientazione della casa di Flora e il colore degli abiti sembrano voler suggerire apertamente la professione di questa e della sua amica Violetta.
Deludente la prestazione della protagonista, la cui voce – sempre sotto sforzo negli acuti – non riesce a trasmettere né la bellezza della musica verdiana né il profondo travaglio psicologico del personaggio: non desta, per dirla verdianamente, “alcun palpito”. La traviata si regge tutta su Violetta: se questa non è all’altezza, né per qualità di voce né per “physique du rôle”, tutta l’opera ne soffre di conseguenza, malgrado – come in questo caso – l’altissimo livello qualitativo dell’orchestra e del coro (e della direzione di entrambi), l’ottimo balletto del secondo atto, e le eccellenti voci degli altri cantanti. In questa messa in scena il soprano non è stato nemmeno favorito dai costumi: l’abito da ballo del primo atto è talmente pesante e voluminoso da togliere scioltezza di movimento sia a lei che al tenore durante il duetto amoroso. L’abito da casa del secondo atto è goffo e sgraziato, e la mise del terzo atto è quanto di più antiestetico si possa immaginare. Perfino l’indulgente pubblico canadese è stato scarsamente conquistato dall’interpretazione del soprano, mostrandosi riluttante ad applaudire nel primo atto e scaldandosi maggiormente solo con l’avanzare del dramma.
Non si sottolinearà mai abbastanza l’importanza che riveste per l’interpretazione operistica la conoscenza della lingua italiana (o almeno la sua ottima pronuncia): un handicap non da poco per i cantanti d’opera anglofoni.
Si è notata qualche svista nella traduzione in inglese dei sopratitoli, che ha portato in un paio di casi al totale travisamento del testo originale.