La festa nel sepolcro
di Francesco Lora
Al Kammeroper rispunta la rara Antigona di Traetta: con la direzione dell’esperto Cremonesi e la regìa del disinibito Barkhatov, la compagnia di giovani è tutta formata da giovani e dominata dalla primadonna Bakan e dal controtenore Arditti
VIENNA, 19 dicembre 2015 – Si fa presto a liquidare, sotto l’etichetta della riforma gluckiana, un ben più complesso fenomeno di metamorfosi del melodramma, facente capo né a un solo compositore né alla sola Vienna. Le origini del processo potrebbero rimontare alla Londra di Händel e della sua estrema maturità drammaturgica, espressa ormai più nel genere dell’oratorio che in quello dell’opera. E un modello ancora più assoluto rimane quello dell’opera francese: nel 1759 la corte borbonica di Parma ebbe dal compositore Tommaso Traetta un Ippolito ed Aricia di favoloso successo, ove le musiche suonavano – diremmo oggi – gluckiane quanto Gluck ma prima di Gluck, ove il libretto era traduzione di quello di Pellegrin per Rameau e ove le danze erano recuperate di sana pianta dal medesimo Hippolyte et Aricie di Rameau stesso; l’Armida traettiana, data nel 1763 in una Vienna tutt’altro che francofila, derivava a sua volta dal libretto francese di Quinault per Lully.
Gli esempi dimostrano che Traetta è un punto d’osservazione privilegiato. Né il compositore pugliese è oggi negletto quanto prima: Ippolito ed Aricia e Armida [leggi la recensione] sono di recente stati ripresi al Festival della Valle d’Itria, e le esecuzioni e l’incisione di Antigona rimangono non solo tra le migliori realizzazioni di Christophe Rousset e dei suoi Talens Lyriques, ma tra le migliori in assoluto di un’opera seria del secondo Settecento. Nel repertorio, questo terzo titolo ha ruolo notevole: creato nel 1772 alla corte pietroburghese di Caterina II, è un raro caso di intonazione del mito della figlia di Edipo e Giocasta, e sorella di Eteocle e Polinice uccisi a vicenda, la quale dà degna sepoltura al secondo fratello, sfidando il divieto dello zio Creonte nuove re di Tebe, e affronta la condanna a essere murata viva. Soggetto non storico e forme musicali partecipano al programma riformistico, con concessioni al virtuosismo della prima interprete Caterina Gabrielli.
Per una nuova messinscena dell’Antigona è uscito in agone il Kammeroper, raffinata sala sotterranea di piccole dimensioni, istituzionalmente legata al Theater an der Wien, frequentata dal pubblico più dotto, curioso ed esigente della capitale austriaca. Dieci recite dal 30 novembre al 21 dicembre, con il concorso di un concertatore esperto, di una compagnia di giovani e di un regista capace di tanta analisi quanta ironia e tanto realismo quanto straniamento. Nei pochi metri quadrati di palcoscenico, l’azione è portata ai nostri giorni tra i sepolcri dei Labdacidi, nella sovreccitazione di una famiglia di potenti lì riunita per la tumulazione di Eteocle. Le ripetizioni testuali nelle arie sono còlte per dare istantanee diverse di uno stesso momento, secondo il punto di vista di differenti personaggi o secondo opposte possibilità di agire da parte di uno stesso. E il lieto fine d’obbligo è risolto alla rovescia: i personaggi incontrano uno dopo l’altro una morte precoce – come il mito stesso contempla – per mezzo di controscene che smentiscono i versi senza ridicolizzarli; alla liberazione della protagonista si sostituisce così un afflusso, macabro e festoso in uno stesso tempo, di tutti i parenti negli stessi condivisi luoghi di tomba e oltretomba. Grande è il merito del regista Vasily Barkhatov, che mostra capacità di esaminare un testo scabroso e di lavorare a fondo con gli attori, nonché dello scenografo e costumista Zinovy Margolin e del datore luci Franz Tscheck, i quali allestiscono in minimo spazio uno spettacolo economico ma accattivante, completo, sempre pronto a servire con la tecnica le più ardite soluzioni del drammaturgo.
Eccellente la concertazione di Attilio Cremonesi, specialista di alte referenze: alla testa del Bach Consort Wien ridotto a pochi strumenti, egli garantisce intonazione impeccabile, amorevole sostegno al canto, brillantezza timbrica e vivacità agogica, riconoscimento e restituzione dei contrasti in una partitura che accoglie sia il rococò edenico sia i primi morsi dello Sturm und Drang, infine prontezza a collaborare con un regista disinibito senza per questo smettere di tutelare l’integrità del testo musicale. Primadonna è il soprano Viktorija Bakan, figura nobile e canto sia duttile nel cantabile sia impavido nelle semicrome; le difetta il solo scorrevole possesso della giusta fonetica italiana, sollecitata soprattutto nei lunghi recitativi.
Un discorso affine vale per il mezzosoprano Natalia Kawalek, pregevole voce mediosopranile, accalorata come Ismene, abile nel cogliere gli affetti più dall’intera situazione teatrale che dal gioco delle singole parole o frasi. E il discorso vale ancora per Thomas David Birch, tenore di spessore lirico-leggero nella parte eroica e baritenorile di Creonte, a disagio però non tanto nel canto quanto nella pronunzia e nell’accento. Chi tra tutti ha il miglior agio nell’omogeneità timbrica, nella varietà di porgere e nell’esattezza linguistica è il controtenore Jake Arditti come amoroso Emone. Incomprensibilmente affidata al rude basso Christoph Seidl è la parte invece tenorile di Adrasto, a costo di trasposizioni e puntature poco naturali nonché del generale contravvenire alle convenzioni dell’epoca.
foto Herwig Prammer