Quando il jazz e la classica sono inseparabili
di Carla Monni
Tra i pochissimi duetti formati da pianoforte e violino che facciano da ponte fra la cultura della musica classica e il jazz, quello formato da Sylvie Courvoisier e Mark Feldman è stato ospite del Teatro Comunale bolognese per la X edizione del Bologna Jazz Festival.
Bologna, 14 novembre 2015 – Il Bologna Jazz Festival non poteva scegliere luogo più adatto per il concerto di Sylvie Courvoisier al pianoforte e da Mark Feldman al violino: il raccolto foyer del Teatro Comunale bolognese, dimora della cultura classica per eccellenza. Il duo, nato più di 15 anni fa, esplora un delicato mondo sonoro a metà tra la musica colta contemporanea, la musica da camera, la libera improvvisazione e il jazz. Un connubio avvincente e decisamente poliedrico, i cui protagonisti, provenienti da luoghi e da musiche differenti – Feldman americano, di stampo classico con continue incursioni nel jazz e nell'avanguardia, la Courvoisier svizzera, di stampo free jazz, con particolare riguardo alle sperimentazioni sonore – sono musicisti d'avanguardia e ottimi virtuosi nel loro strumento.
Sonorità insolite e allo stesso familiari vengono mescolate sapientemente nei raffinati duetti, in cui Feldman evoca una musica intima, cristallina e fluida, mentre la Courvoisier passa da lussureggianti progressioni accordali a cluster palpitanti, che man mano si sviluppano sempre maggiormente a seconda dell'atmosfera del brano, come in Sous un Rêve Huileux–ultima traccia dell'album Oblivian (Tzadik Records, 2009) – in cui il suono del violinista evoca una certa classicità mentre i timbri e le trame sonore intonate dal pianoforte appaiono piuttosto sferzanti.
Alla base del duo c'è una perfetta interazione tra musica colta e improvvisazione jazzistica. A tal proposito non manca un approccio anticonvenzionale dell'emissione sonora, in cui le corde degli strumenti vengono percosse e sfregate – il violino con l'archetto e il pianoforte con svariati oggetti – creando in questo modo un bordone aperto a ogni possibilità. L'utilizzo sapiente degli effetti si alterna a momenti contemplativi e taciturni, e genera una musica ricca di impasti timbrici, sonorità brillanti, sfumature accorte e dinamiche sottili. Pindar, tratto dal disco Live at Theatre Vidy-Lausanne (Intakt Records, 2013) – dalla struttura apparentemente casuale – è un brano propulsivo, una sorta di poema sinfonico in miniatura impregnato di espedienti tensivi – per esempio gli accordi spezzati del pianoforte o nell'intro gli oggetti che rimandano allo scricchiolio di un vecchio portone – in cui si genera un senso di ciclicità inquieta e sempre più furente, che sembra non chiudersi mai.
Sono musiche in cui influiscono non solo la tradizione classica europea e il jazz, ma anche l'impressionismo francese e la Jewish music. Di base le forme sono tipiche della musica classica – si pensi al tema e variazioni – e l'aspetto jazzistico risiede soprattutto nell'improvvisazione, mentre i ritmi appartengono di norma alle tradizioni popolari. Azriel tratto dal disco Malphas: Book of Angels, Vol. 3 – commissionato al duo da John Zorn – è costruito su due linee melodiche, in cui pianoforte e violino giocano tra di loro l'uno sull'altro generando grandinate di ritmi dervisci e colpi di scena. Appartenente allo stesso album anche Lathariel in cui è chiara la citazione della Serenata in sol maggiore K 525 mozartiana, parte della composizione stessa.
Il suono rimane sempre proporzionato: si pesano le sfumature, si delineano le architetture e le prospettive, e accuratamente si porge alle orecchie degli ascoltatori. Una musica confidenziale, che suggerisce un senso di fiducia, che ha colpito non solo il pubblico del Teatro Comunale, ma anche qualche passante che buttava l'occhio dentro la vetrata del foyer, perché «together, the two creat personalized musical abstractions that, at their sharpest, somehow – like a Giacometti sculpture or a Pollock painting, say – transport the listener to a space where the rules may not be apparent, but the emotional response to their seductive ebb and flow sure is».