L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La metà oscura

di Isabella Ferrara

Al Teatro Bellini di Napoli Il caso Jekyll con Sergio Rubini e Daniele Russo. Regia di Sergio Rubini sonda gli abissi della natura umana nell'adattamento di Carla Cavalluzzi e Sergio Rubini dal romanzo di Stevenson.

NAPOLI, 17 maggio 2024 - Una scenografia curata nei dettagli di luci, costumi, arredi, suoni, finanche dei riflessi di specchi e vetri, riesce nell’intento di spostarsi indietro nel tempo, in quel XIX secolo del romanzo gotico Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr Hyde di Stevenson. L’atmosfera e l’ambiente sono quelle di un noir, di un thriller psicologico, di un horror. Il racconto si svolge minuzioso, la narrazione non vuole lasciare nulla di inespresso o poco comprensibile, di misterioso c’è già la mente umana con le sue ombre e i suoi ‘guasti’.

«Mostratemi un uomo sano di mente e mi darò al giardinaggio», ironizza sul palco l’attore, e narratore e regista, Sergio Rubini.

Ed è proprio in quella frase che risiede la chiave di lettura: ogni essere umano ha un lato oscuro, un doppio sé, che lo attrae, lo spaventa, lo seduce e lo ripugna, che resta sconosciuto o che può prendere il sopravvento all’assalto del conscio. Ed è su quel limite tra la consapevolezza e il controllo che si gioca l’equilibrio con la follia. Può essere un’inclinazione nella grafia che svela una personalità modificata, oppure uno specchio che, come un ritratto alla Dorian Gray di Oscar Wilde, ci mostra una persona trasformata dalla seduzione del male.

Per ognuno di noi ci sono lunghe corde, come quelle che sul palco appaiono per poi scomparire nel buio, che ci tengono legati, da cui vorremmo liberarci, piene di nodi da sciogliere, nelle quali tentiamo di non restare imbrigliati, ma alle quali spesso ci aggrappiamo per ritrovare la strada.

Il Signor Hyde, impersonato da un poliedrico Daniele Russo, è padrone della scena, neppure il Dottor Jekyll riesce a farsi sufficiente spazio. È la parte più istintiva di noi, a volte malvagia, spesso creativa, senza regole, che risulta quella più interessante, diabolicamente intrigante, e che lasciata libera può condurre a scelte estreme. Nella recitazione sussurrata dell’avvocato Utterson, Geno Diana, e nei suoi incontri e scambi di opinioni con colleghi e amici si caratterizza la società che fa da sfondo ai personaggi. Attenta alla forma, in modo ricercato, pudìca, ben educata, riservata; e si sostanzia anche l’atteggiamento pacato, discreto, riflessivo e razionale dell’uomo non preda di istinti, equilibrato e affidabile. Questa è l’apparenza di una società e degli uomini che la compongono, lo strato esteriore che nasconde vizi, desideri, piaceri e fantasie, che se troppo e troppo a lungo inappagati e inespressi rischiano di avvelenare un animo inconsapevole. La scelta oggi di questo romanzo, affrontato nella sua dimensione più psicologica e psicoanalitica, sviluppando una drammaturgia alla scoperta dell’inconscio, risulta di grande contemporaneità, pur trasportando lo spettatore sulle scene di un altro secolo. Senza urlare sentenze, con un bell’equlibrio tra il gusto per la ragione, la curiosità dell’indagare nella mente come negli accadimenti umani, il piacere dell’amicizia e l’orrore per le degenerazioni dell’essere umano, siamo spinti a riflettere su cosa siamo e su cosa rischiamo di diventare. Siamo affascinati e spaventati, catturati, intimoriti e ripugnati dall’ombra che non possiamo smettere di alimentare con la nostra stessa luce. La riflessione si spinge fino alle notizie di cronaca ascoltando le quali ci troviamo a pronunciare con occhi sbarrati che sono follia, che sono opera di menti malate che hanno oltrepassato gli argini. Da Jekyll ad Hyde, da Freud a Jung, dal conscio all’inconscio, dalla psicanalisi alla cronaca, così come l’avvocato Utterson conclude con il proprio io, dobbiamo restare vigili, memori e consapevoli.

Isabella Ferrara


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