Uccelli di un'unica specie
di Giuliana Dal Piaz
Interessante nel progetto, ma non ben a fuoco nella realizzazione teatrale, il dramma Wajdi Mouawad dedicato al conflitto israelo-palestinese, che, già premiato nella versione francese, debutta a Stratford in una nuova traduzione inglese.
Stratford, 20 agosto 2019 - È una delle pièce contemporanee in cartellone a Stratford nel mese di agosto. L’opera di Wajdi Mouawad sul conflitto israeliano-palestinese, già vincitrice di un premio, è in scena per la prima volta in lingua inglese, per la regia del direttore artistico del Festival Antoni Cimolino, che dichiara: “Questa produzione di Birds of a Kind rappresenta la culminazione d’un complesso viaggio migratorio”.
Come ricordato in precedenti occasioni, Cimolino ha impostato la Stagione 2019 sul tema del “rompere le barriere”, con lo sguardo puntato sulle limitazioni che ci definiscono, e su quanto accade quando le superiamo. Più di dieci anni sono passati da quando segnalò Trickster Travels - della scrittrice e storiografa Natalie Zemon Davis, vincitrice del Premio Holberg - all’attenzione del noto drammaturgo libano-canadese Mouawad come un possibile progetto per il Festival. La storia di un diplomatico ottomano del XVI secolo ha indirettamente ispirato a Mouawad una pièce su una moderna famiglia ebrea. L’opera risultatane, Birds of a Kind, è stata presentata per la prima volta a Parigi con il titolo Tous les oiseaux nell’autunno 2018, ottenendo il Grand Prix de la Critique. La produzione in francese è stata poi presentata in Nordamerica al Festival TransAmériques di Montreal nella primavera 2019, e in breve al “Carrefour international de théâtre” di Quebec City in giugno. Lo Stratford Festival presenta adesso in prima mondiale la versione inglese di Linda Gaboriau. Intrecciando, grazie ai sopratitoli, varie lingue e le contrastanti esperienze di mondi diversi, il dramma contemporaneo vuole suscitare interrogativi sul ruolo del destino nelle nostre vite, e sulla natura ambivalente dell’identità.
“Wajdi parla spesso in quest’opera di lingua madre dell’individuo,” scrive Cimolino. “Per tutte le creature, è forse questa la singola, più forte, fonte di identità: la voce della madre. Rispettando l’importanza vitale della lingua madre, questa produzione dello Stratford Festival – come l’originale presentato a Parigi – è recitata in varie lingue: tedesco, ebraico, arabo e inglese. Alla scrittura del dramma hanno contribuito artisti di tutto il mondo, specialmente palestinesi e israeliani. Le varie lingue, ognuna di per sé unica, apportano alla pièce sfumature e ricchezza. Eppure – in modo forse paradossale – questa diversità apporta anche chiarezza. Così come lo faceva la prospettiva storica che Natalie Zemon dava alla storia di Trickster, felice di vivere tra culture, religioni e mondi differenti.”
Ambientata nella New York e nella Gerusalemme di oggi, la pièce segue una famiglia tedesco/israeliana che entra in fibrillazione quando Eitan si innamora dell’arabo-americana Wahida: i suoi genitori, soprattutto l’ortodosso David, reagiscono negativamente al loro fidanzamento. I giovani innamorati si recano insieme in Israele per conoscere la nonna di Eitan, depositaria di un segreto familiare a lungo nascosto. All’arrivo, Eitan è vittima di un attacco terroristico, lasciando Wahida a scoprire la verità: questa sconvolge David al di là di ogni previsione, e i suoi effetti profondi cambieranno drammaticamente il corso della sua vita e quella di Wahida.
Ispirato, come dicevo, al ricordo della vita del diplomatico marocchino Muhammad al-Wazzan, il colto Leo Africanus la cui opera fiorì alla corte di Papa Leone X de’ Medici tra il 1518 e il 1550, il dramma offre effettivamente numerosi spunti di riflessione e dibattito. Peccato che essi non siano stati presentati in una forma adeguatamente teatrale. Malgrado l’interessante messa in scena si sforzi di combinare in maniera coerente una serie di elementi – sullo sfondo, la vicenda solo adombrata di al-Wazzan, prototipo della possibilità di vivere e prosperare in culture e religioni diverse; la Shoa nella prima metà del XX secolo (il nonno Etgar è sopravvissuto ad un campo di concentramento); il conflitto degli anni ’80 in Medio Oriente; e infine l’attuale conflitto israeliano-palestinese –, la sceneggiatura è pesante, carica di monologhi, con un andamento da trattato filosofico più che da spettacolo teatrale. L’idea di portare avanti la narrazione in varie lingue, dal tedesco della famiglia di Eitan all’ebraico moderno dei personaggi israeliani, e all’arabo ritrovato di Wahida e David quando questi è in punto di morte, può sembrare geniale, ma non risulta tale nella pratica. In primo luogo, quando usano l’inglese, tutti gli attori hanno l’indicazione di parlarlo con un pesante accento legato alla lingua madre. L’attenzione dello spettatore deve “balzare” dall’ascolto diretto, con una comprensione che tarda alcuni secondi a scattare a causa dell’accento, alla lettura dei sopratitoli inglesi quando in scena viene usata un’altra lingua (tra l’altro, il tedesco di David ed Etgar non è certo nitido). L’uso del più piccolo dei teatri di Stratford (Studio Theatre), giustificato dalla peculiarità dell’esperimento, implica inoltre un continuo andirivieni – molto abile e silenzioso, ma il pubblico ne è pur sempre consapevole – di attori che spostano mobili e suppellettili a ogni frequente cambio di scena. Sono numerosi, in conclusione, i fattori che disturbano l’apprezzamento di questo dramma da parte dello spettatore.
Tra l’altro, non ho trovato spiegabile, nell’economia della storia, l’episodio della poliziotta israeliana che si innamora di Wahida.
Sarah Orenstein (Norah), Ron Kennell (il rabbino) ed Alon Nashman (David) sono in maggiore o minor misura dei veterani di Stratford; gli altri interpreti sono alla loro prima stagione con il Festival, il che nulla toglie alla generale bravura di cui danno prova. La più convincente mi è parsa Deb Filler, nel ruolo della nonna Leah. Un po’ debole Baraka Rahmani (Wahida) che, soprattutto al principio dello spettacolo, ha avuto qualche difficoltà di proiezione della voce.
Dopo tre ore e quaranta minuti totali di spettacolo, il pubblico è apparso stanco e svogliato, l’applauso finale decisamente tiepido. Peccato, perché il lavoro di tutta la troupe è stato certamente enorme. Ma l’opera non è piaciuta.
Foto di scena: David Hou
BIRDS OF A KIND (Tutti uccelli di un’unica specie), di Wajdi Mouawad, versione inglese di Linda Gaboriau. Studio Theatre, Stratford, dal 14 agosto al 13 ottobre. Regia: Antoni Cimolino. Scene e costumi: Francesca Callow. Luci: Jamie Nesbitt. Effetti video: Jamie Nesbitt. Musiche: Levon Ichkhanian. Direzione del suono: Adam Herendorf. Drammaturgia: Bob White. Istruttori di Lingua: Jewels Krauss, Hannah Miller, Aladeen Tawfeek. Traduzioni: Jalal Altawil (arabo), Eli Bijaoul (ebraico), Uli Menke (tedesco). Consulente per la parte storica: Natalie Zemon Davis.
Personaggi e interpreti
Eitan – Jakob Ehman
Sua nonna Leah – Deb Filler
Eden, poliziotta israeliana – Hannah Miller
David, padre di Eitan – Alon Nashman
Etgar, nonno di Eitan – Harry Nelken
Norah, madre di Eitan – Sarah Orenstein
Wahida - Baraka Rahmani
Wazzan - Aladeen Tawfeek