Uno di noi
di Isabella Ferrara
Gli studenti del triennio di formazione artistico teatrale alla nuova scuola del Bellini, la Factory, propongono un emozionante aperitivo alla stagione con LA CLASSE - Ritratto di Uno di noi, di Francesco Ferrara, per la regia di Gabriele Russo.
NAPOLI, 15 ottobre 2019 - Uno spettacolo della Bellini Teatro Factory, con i quattordici giovani che si sono formati nel triennio: Luigi Alessio Adimari, Chiara Celotto, Rosita Chiodero, Salvatore Cutrì, Claudia D’avanzo, Maria Francesca Duilio, Michele Ferrantino, Francesco Ferrara, Luigi Leone, Andreina Liotti, Eleonora Longobardi, Simone Mazzella, Salvatore Nicolella, Manuel Severino, Arianna Sorrentino. Aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia.
Fatta eccezione per la regia di Gabriele Russo, LA CLASSE - Ritratto di Uno di noi è uno spettacolo interamente curato dagli studenti che hanno frequentato il triennio di formazione artistico teatrale alla nuova scuola del Bellini, la Factory, rivisitazione contemporanea dell’Accademia di Recitazione del Teatro Bellini fondata nel 1988 per volontà di Tato Russo. In questa fucina di artisti si formano attori, registi, drammaturghi del futuro; si confrontano ingegni, talenti, esperienze; si scontrano, per poi incontrarsi, idee, opinioni, tradizione e modernità. Un testo scritto, un copione, corpi e voci; ma anche internet, Wikipedia la nostra moderna enciclopedia virtuale; luci, suoni ed effetti sonori da palcoscenico, accanto all’illuminazione degli schermi e delle torce di smartphone connessi con l’esterno di una sala prove; esterno da cui provengono notizie, stimoli, informazioni e disinformazione. L’esterno che è quel mondo in cui viviamo e che ci stiamo costruendo, o forse meglio sarebbe dire, che stiamo lentamente decostruendo, scardinando valori ed ideali.
Lo spettacolo rappresenta stralci di giornate di prove di questi giovani studenti che si preparano a mettere in scena un dramma contemporaneo, l’attentato del 22 luglio 2011 in cui Anders Behring Breivik, estremista di destra, piazzò un’autobomba sotto il palazzo del Governo di Oslo, uccidendo così otto persone, per poi spostarsi sull’isola di Utøya e sparare a sessantanove giovani socialisti e laburisti europei, riuniti per il campeggio estivo. Una strage politica per le motivazioni addotte dallo stesso Breivik, ma una strage di adolescenti, una strage efferata di un uomo, “Uno di noi”, che in modo premeditato, organizzato, senza esitazione rincorse dei ragazzi terrorizzati da qualcosa di inspiegabile e li uccise a sangue freddo. Il sorriso che Breivik ostentò al processo davanti alla corte norvegese, che lo condannò ad una pena carceraria di ventuno anni, resta la sfida e la beffa che firma il suo gesto e che, forse, lo definisce come nessuna parola o descrizione potrebbe fare.
Questa strage è stata oggetto di almeno un paio di libri, One of Us, scritto dalla giornalista norvegese Asne Seierstad; Il silenzio sugli innocenti del giornalista e parlamentare Luca Mariani, da cui fu tratta l'opera teatrale La strage di Utøya. Il regista Paul Greengrass, colui che ha firmato The Bourne Supremacy, ne fece un film nel 2018 22 luglio. Si è, dunque, tentato di interpretare quest’uomo Breivik, il suo punto di vista e il suo gesto; di raccontarlo e, facendolo, trarne una spiegazione, per provare a capire, a decifrare, a commentare. Nel suo film il regista Greengrass ha cercato una prospettiva diversa, quella delle vittime sopravvissute e delle loro famiglie.
La carica innovativa dello spettacolo della Factory del Bellini risiede nella energia creativa che gli studenti hanno saputo dimostrare mettendola in scena; nella loro giovane età che li rende privilegiati, per una vicinanza di stato e di esperienze, nella ricerca delle emozioni che possiamo solo immaginare abbiano provato i ragazzi uccisi nella strage e quelli sopravvissuti. Risiede nel tentativo di capire per immedesimarsi, per sentire, per recitare, per essere interpreti e protagonisti in un andirivieni di ruoli; di comprendere qualcosa che è accaduto lontano nel tempo e nello spazio. Ma se in effetti siamo lontani, noi come quei giovani attori, dai fatti, dai luoghi e dal 2011, non possiamo dirci lontani dal significato di quello che accadde, dalla realtà che generò quell’evento e che continua a ispirarne di simili in tutto il mondo: il terrorismo di un bianco estremista, quello di un combattente dell’Isis, o di un islamico occidentale; quello di un cittadino come noi che fa strage in una metro, o in una strada della sua stessa città.
Hanno ragione questi giovani attori che improvvisano sul palcoscenico quando, trascinati dalle loro personali esperienze di vita, dalle loro attuali conoscenze, bombardati da notizie, fatti, opinioni, mostrano come la violenza, anche quella omicida, si ritrova facilmente ovunque. Nel tifo contrario per una squadra di calcio, in una sparatoria per la gestione di una piazza di spaccio della droga, in una minaccia fisica e psichica per un pagamento ritardato nelle mire dell’usura, in uno scontro di idee, come il semplice rispetto di un orario di lavoro. Il dramma è a ogni passo; dietro ogni angolo della mente di “uno di noi”, può armarsi un pugno o una mano. Sembriamo quindi privi di qualsiasi strumento per evitarlo, per difendere noi stessi e chi amiamo; per punire i colpevoli le nostre stessi leggi sembrano insufficienti, il nostro sistema sociale si sgretola sotto le scosse, sempre più frequenti, del terremoto di incomprensibili, ingiustificabili, inaccettabili gesti di uomini e donne presenti a se stessi, esaltati da odio, spinti da probabili insoddisfazioni o sofferenze inadatte a spiegare o giustificare gesti di morte.
Siamo probabilmente impreparati ad affrontare tutto questo, non possiamo sostenerlo a lungo, acquista spessore allora il suggerimento che la Factory ci trasmette attraverso la prova attoriale dei suoi ragazzi, una prova di esseri umani soprattutto, di fronte a emozioni destabilizzanti ed estreme. “Quanto può essere importante oggi il lavoro di un gruppo (intendendo con gruppo ciò che in effetti dovrebbe essere: più teste che operano insieme, in piena sintonia e in totale libertà creativa)? Non vale forse la pena di provare, almeno provare, a riscoprire la dimensione collettiva del teatro? Non sarebbe questo un atto profondamente politico?” le parole dell’autore, Francesco Ferrara, e il suo lavoro insieme agli altri studenti, ci aprono una prospettiva che mostra una soluzione che, paradossalmente, a volte è causa dei più grandi sconvolgimenti che viviamo: la diversità è ricchezza. Multiculturalismo, convivenza di religioni, generi differenti ed etnie dissimili, abilità, conoscenze, invalidità che diventano lotte per vite all’ingegnosa ribalta.
Abbiamo gli strumenti.
Qualche risata, momenti di autentico sgomento, commozione, buio e luce, frasi urlate e paure sussurrate; corpi inermi e corpi in preda a forza inaspettata, violenza soffocata e empatiche espressioni, tutto concorre alla scena, al messaggio di ragazzi che si cimentano con fatti di attualità enormi, e con il teatro, con una passione che stanno imparando a coltivare e costruire. Guizzi di buona recitazione e tanto lavoro ancora da fare in continua crescita. Il risultato fa davvero sperare che fra tecnologie digitali, intelligenze artificiali, crisi economiche e climatiche, ci sia una strada da percorrere costruendola. Il teatro, l’arte tutta, nella diversità che la contraddistingue arricchendola, può essere una simbolica arca di Noè, che almeno offra riparo dall’inondazione.
Dal 12 al 24 novembre al Piccolo Bellini sarà in scena “Take four”, uno spettacolo di quattro titoli ad opera dei giovani attori della Factory, creazioni nate in seno alla scuola che definiranno gli ex allievi come una esordiente compagnia di professionisti. Meritano fiducia gli studenti e merita lustro una scuola che ha saputo e sa rinnovarsi non perdendo professionalità e competenza.
Foto realizzate dagli allievi di Fotografia per il Teatro / corso a cura di Mario Spada / CFI Centro di Fotografia Indipendente, in collaborazione con il Teatro Bellini. Il nome di ogni file corrisponde all'allievo fotografo che ha scattato la foto.