Solo due uomini
di Isabella Ferrara
Coinvolge e fa riflettere al Piccolo Bellini La resa dei conti di Michele Santeramo, con Daniele Russo e Andrea Di Casa per la regia di Peppino Mazzotta
NAPOLI, 21 gennaio 2020 - Nello spazio e nell’atmosfera intima del Piccolo Bellini due uomini sono chiusi fra due pareti. Quando il pubblico entra in sala sono già lì, parte integrante di una scenografia in attesa, ferma ad ascoltare ed osservare l’umanità che si muove. È questo che lo spettacolo vuole accompagnarci a fare: osservare e osservarci, ascoltare ed ascoltarci, indurci a riflettere per quei sessanta minuti durante i quali due uomini come noi affrontano le domande e i dubbi più comuni eppure più insondabili dell’umanità.
Sul palco una sediolina, una panca, una coperta, un nastro rosso. Due pareti invalicabili, senza aperture, come quelle che ci costringono dentro noi stessi, da cui pensiamo non esista alcuna via d’uscita; forse neppure con la morte, la propria o l’altrui.
I due uomini condividono in uno spazio ristretto una intimità di pensieri, confessioni inconfessabili, debolezze, dubbi, domande che restano senza risposte; sono chiusi in un limbo dell’animo, e cercano di uscirne.
Un’ora di attenzione, di silenziosa riflessione mentre gli attori in scena parlano, soffrono, urlano, ricordano e anelano alla salvezza. Daniele Russo e Andrea Di Casa recitano il disagio della vita, la colpa, la fede, la debolezza e la meschinità, la vergogna e il desiderio di redenzione. E ci convincono. Sì, le loro tesi opposte, o forse simmetriche, o simili, o convergenti ci trascinano verso le loro idee; intanto cerchiamo di concretizzare la nostra idea su quell’argomento, la nostra risposta a quella domanda, la nostra soluzione a quell’errore. Ma non è possibile. Non in quel momento. Forse neppure dopo o domani. Sono bravi perché sono credibili. Il pubblico crede a quel che sente, e anche al suo contrario immediatamente dopo. In fondo il teatro a volte sembra la soluzione ad una realtà poco felice. Si può essere altri da se stessi, anche fra il pubblico ci si può dimenticare di se stessi per il tempo di uno spettacolo e abdicare agli attori la responsabilità di soffrire in scena anche per noi, e di trovare quelle risposte che noi non abbiamo.
Sono proprio come noi quei due sul palco, pieni di dubbi ma con la disperazione di chi vuole venirne fuori. Le domande vengono esplose con la rabbia di chi si sente impotente e infelice. La fede in un Dio, la libertà, il libero arbitrio, il bene, il male, la colpa, la salvezza, il dolore, il senso di inadeguatezza di una umanità presuntuosa ma fragile e inconsapevole. Ecco cosa si trovano a discutere, mentre entrambi sono lì perché non sopportano più la propria vita, e gli altri, e le cose intorno, e le ingiustizie, e se stessi. E dove si trovano la via d’uscita, e la salvezza, e la redenzione? Chi siamo e perché siamo così e non diversi; cosa fare per cambiare, per farsi riconoscere o per sparire e riapparire in un’altra vita? E funzionerebbe davvero una nuova vita, con un nuovo codice fiscale ma con noi come protagonisti che sulla pelle abbiamo le tracce e la memoria delle nostre scelte, delle nostre azioni?
Alla resa dei conti quindi siamo soli davanti ad una scelta, nessuno ci salverà, tocca a noi aprire alla luce e inventarci la vita.
Un testo carico di serie e drammatiche argomentazioni, che non stanca perchè ben dosato, e ben elargito al pubblico attraverso una interpretazione incisiva e spontanea. Nessun artificio, solo uomini.
Isabella Ferrara