Una scintilla che parte dal cuore
di Michele Olivieri
L’immagine così generosa ed istrionica, avvalorata dagli ampi spazi, dalle suggestioni della location, è risultata chiara e facile nella sua lettura drammaturgica, ideale per studiare ed approfondire una pietra miliare nella letteratura musicale del XX secolo, che nell’arrangiamento della Beltrami si caratterizza per avanguardia ed ingegnosa realizzazione.
MILANO 15 settembre 2020 - Luciana Savignano ha offerto nuovamente al suo festante pubblico una personalità artistica straordinaria, riuscendo ad affrescare intensi stati d’animo; la leggiadria delle sue braccia condensano la storia della danza, ogni accenno, ogni intenzione, ogni sfumatura sono un chiaro insegnamento di cosa debba essere l’interpretazione scenica (la danza umana), unitamente alla tecnica che mai viene meno. Originariamente creata nel 1913 da Igor Stravinsky e da Vaslav Nijinsky per i Ballets Russes di Serge Diaghilev, Le sacre du printemps, qui intitolata Le Sacre, è oggi proposta con suggestione dalla coreografa Susanna Beltrami, come fosse una couturière capace di cucire perfettamente sugli interpreti centimetri di stoffa coreutica regalando una seconda pelle artistica in grado di rivelare al meglio le reali possibilità degli esecutori, con rimandi al teatro di Pina Bausch che si ritrovano nei colori, nelle gestualità, nelle camminate di antica memoria, il tutto avvalorato da un intento abile nel non ricalcare ma bensì nel rinnovare l’estetica, e a un déjà vu dedicato al cinema di Esther Williams, grazie alle spettacolari e potenti sequenze coreografiche acquatiche, eseguite nelle piscine dei Bagni Misteriosi al Teatro Franco Parenti dai giovani talenti di DanceHaus.
La prima rappresentazione originale avvenuta a Parigi generò pareri contrastanti negli spettatori al contrario di oggi i quali hanno tributato a bordo vasca lunghi e convinti applausi agli interpreti, ed in particolare all’ammaliante Luciana Savignano e al persuasivo primo ballerino Matteo Bittante. I ritmi ossessivi, i movimenti dei ballerini decisamente inusuali, l’immagine teatrale e scenografica della Savignano nelle ampie vesti della divinità dell’universo, il gioco d’ali di Matteo e Luciana a significare la protezione del cielo, la fuga dalla vita terrena verso una libertà illimitata dello spirito come possibilità di pace, elevazione e leggerezza, hanno incentivato l’attenzione del pubblico trascinandolo in un tutt’uno, indicando un qualcosa che evidentemente viene trasmesso dai predecessori ma senz’altro carico di odierno chiaroscuro di primitiva istintività. L’Eletta viene scelta dai coetanei e simbolicamente immolata mediante un complesso di norme che regolano le cerimonie del culto: un rito primaverile metropolitano con abiti urbani per caratterizzare il tempo che scorre e l’avvicendarsi delle differenti generazioni, contrastando i pregiudizi e colmando quel senso di conquista, diritto e volontà nei confronti della donna diagonalmente conscia all’amore per sé stessa. L’immagine generosa ed istrionica, avvalorata dagli ampi spazi (come si suol dire a tutto campo), dalle suggestioni della location, è risultata chiara e facile nella sua lettura drammaturgica, ideale per studiare e approfondire una pietra miliare nella letteratura musicale del XX secolo, che nell’arrangiamento della Beltrami si caratterizza per avanguardia ed ingegnosa realizzazione. In altre parole, Stravinsky sapeva esattamente cosa cercava quando compose Il rito della primavera e la partitura lo dimostra completamente nella sua potente gloria. In una forma o nell’altra tutte le culture hanno presentato e sperimentato questa continua progressione delle stagioni che passa dal morire al rinnovamento al morire e poi ancora al rinnovamento. La combinazione di musica e azione invia onde d’urto viscerali attraverso il corpo, mentre le fisicità dei danzatori così diverse e contrastanti tra loro determinano l’armonia. La musica (nella versione della Beltrami con parziali aggiunte) raffigura la rinascita annuale del corpo e dello spirito senza la quale non ci sarebbe futuro o risurrezione, in questo momento più che mai di attuale comprensione sanitaria nel suo ciclo sacrificale, che si rivela a fine spettacolo una prospettiva a tratti inquietante ma fondamentale per l’intera umanità. Ciò che maggiormente si apprezza è la netta evoluzione - a distanza di tempo - di uno sguardo nuovo “e necessario” al vocabolario della danza: Le Sacre copre l’ascesa del modernismo adattandosi saldamente al suo tempo, mostrando quanto fosse rivoluzionario allora come oggi. I membri del corpo di ballo fanno tutto ciò che è richiesto loro e lo fanno al meglio, appaiono coreografati separatamente come se fossero singoli solisti o primi ballerini, con l’eterna étoile al centro della scena, creando così una inaspettata dimensione aggiuntiva. L’allestimento riesce a rileggere l’intento violento della musica offrendo un contributo fisico al nostro presente, che ci condurrà al futuro. Un attestato prezioso, quindi!
(Foto Salvatore Lazzaro)