L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nuovi passi per il domani

di Michele Olivieri

L’emergenza sanitaria ancora in atto ci ha imposto un nuovo comportamento. Non si può andare a teatro ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, bisogna solo fruirne in maniera differente. Grazie al web e alla televisione importanti proposte arrivano direttamente a casa dando una mano alla cultura e a ciascuno di noi. Sul canale della Opernhaus Zürich è stata trasmessa la prima assoluta di Impulse con lo Junior Ballett Zürich.

ZURIGO – Aristotele sosteneva che la mano è lo strumento degli strumenti, mentre Siracide affermava che la mano non dev’essere tesa per prendere e chiusa invece nel restituire; proprio per questo una lode è indirizzata a Christian Spuck, il quale non manca mai di proporre spettacoli innovativi di qualità, anche se si parla delle giovani leve del domani. Ottime visualizzazioni ha avuto la serata di gala in video e ciò lascia spazio ad una conferma di quanto la danza, intesa come voce inedita per i talenti in erba, appassioni sempre e comunque, di qualunque disciplina e stile si tratti. Malgrado il periodo non facile per i motivi ovvi che tutti conosciamo l’interesse non è mai venuto meno, l’arte coreutica viene supportata dal pubblico (sicuramente meno dalle istituzioni), il quale anche da casa sa muoversi tra registrazioni, live, streaming e proposte televisive, soprattutto quando si tratta di seri professionisti come quelli di Zurigo, riuscendo così a crearsi un cono di luce all’interno delle quattro mura.

La performance neoclassica con accenti contemporanei sulle punte e non, di interessante livello, offerta dallo svizzero Theater Winterthur ha regalato tre creazioni che non è dato spesso vedere se non viaggiando in tempi di normalità, come il primo pezzo dal titolo Entropy sulla coreografia dell’australiano Craig Davidson, musica di Nicholas Robert Thayer, scenografie di Craig Davidson (assistente Daniel Otevrel), costumi di Alana Sargent, design luci di Martin Gebhardt, drammaturgia di Michael Küster con in scena Marta Andreitsiv, Isabelle Bratt, Greta Calzuola, Lauren Draper, Désirée Guler, Daniela Thorne Matthew Bates, Luca D’Amato, Achille De Groeve, Grégoire Duchevet, Wolf Hoeyberghs, Théo Just, Lukas Simonetto, George Susman. Una sciccheria ballata con senso della misura e vivida interpretazione, tecnicamente apprezzabile per la pulizia delle linee che già da sole creano un disegno euritmico di spessore. Il secondo pezzo Coincidence - forse quello più debole a livello di danza, ma maggiormente suggestivo a livello di teatralità - porta la firma di Bryan Arias (nato a Porto Rico, cresciuto a New York), su musica di Wolf Hoeyberghs, Carlos Cipa, The Invincibles, Taylor Deupree, His Name is Alive, scenografie di Bryan Arias, costumi di Bregje van Balen, design luci di Martin Gebhardt, drammaturgia di Michael Küster con interpreti Marta Andreitsiv, Greta Calzuola, Martina Renau Achille De Groeve, Wolf Hoeyberghs, George Susman. Per concludere con “Union in Poetry”, coreografia di Juliano Nunes (nato a Rio de Janeiro), musiche del compianto Ezio Bosso, Arvo Pärt, Frédéric Chopin, scenografie di Juliano Nunes, costumi di Juliano Nunes, design luci di Martin Gebhardt, drammaturgia di Michael Küster con protagonisti Marta Andreitsiv, Greta Calzuola, Désirée Guler Luca D’Amato, Théo Just, Lukas Simonetto, George Susman Isabelle Bratt, Lauren Draper, Daniela Thorne; Matthew Bates, Achille De Groeve, Grégoire Duchevet, Wolf Hoeyberghs.

Le recenti (ma già affermate) firme della vetrina coreografica internazionale nell’accelerazione del tempo moderno ci portano ad una visione globale sull’essere artisti, seguendo gli istinti o ancor meglio (parafrasando il titolo della serata) gli impulsi. In questo stato di cose, la serata di gala è diventata una ricchezza nella solitudine della sua unicità, invece di essere festosamente applaudito con i rituali del teatro è viceversa pregevole per semplicità ed approccio, i danzatori danno prova di gran lavoro e di umiltà nel porgersi in scena, i loro corpi si abbandonano alla ricerca delle proporzioni, all’ineffabile grazia, ispirandosi al senso di ideale da ricercarsi nella perfezione. Le loro braccia, indistintamente dall’interprete, hanno un ruolo fondamentale in quanto infondono l’espressività del movimento ed una completezza estetica alle differenti pose, aiutando il corpo e le gambe nell’eseguire i movimenti, come i giri a terra, in aria e i salti, facendone tesoro altrimenti “le mani incapaci di dono si trasformano in artigli”. E loro il dono ce l’hanno, la scuola alle spalle appare ben solida, necessitano di affinarsi, di trovare la regolare modulazione ma il solco è ben impresso e lascia sperare cose belle. Un gala creato sulle singole capacità degli esecutori (forse anche in correlazione diretta tra coreografo e ballerino), non per facilitare ma moderatamente per trovare le fisicità e le doti tecniche più consone alla produzione: una preziosa lezione di democrazia, nel senso migliore del termine che convince la mente con onestà ed entusiasma il cuore, pur non rischiando mai lo sdolcinato, puntando diritto alla meta nel rispetto delle artigianalità sceniche, e nella necessità di tenere costante la soglia di attenzione del pubblico. I protagonisti, diversi di nazionalità, di estrazione, di formazione se non nella meta finale, plurimi in tutti i sensi, infondono a turno dimostrazione di educazione coreutica accostandosi al medesimo gesto. I coreografi a loro volta, dissimili per stile sono ben chiari nelle loro dinamiche su cosa valga esaltare, e cosa invece sia possibile scartare.

Analizzando nello specifico i tre lavori, si parte da quello di Craig Davidson, una sorta di banco di prova nell’offrire ai talenti la più ampia esperienza possibile, insegnando loro gli strumenti e le nozioni in materia di tecnica, così da trovarsi un domani professionisti a tutto tondo articolati da un bagaglio realmente utile. Davidson mette in discussione il dizionario classico per reinventarlo con spirito contemporaneo; la trama racconta una sorta di tribale conversazione sul presente, sulla sperimentazione nella percezione del tempo mutevole, offrendo emozioni e confronti, cercando di rispondere alla domanda su come ci adattiamo al cambiamento che di giorno in giorno la vita ci presenta, sia in negativo sia in positivo, nessun movimento rimane senza conseguenze e porta al passaggio successivo tra sfumature e contrasti. Bryan Arias, coreografo americano che vive a Basilea, invece pone al centro della creazione l’incessante evoluzione dell’arte del balletto, lasciando la narrazione costantemente aperta ai ballerini e al pubblico affinché ognuno trovi le risposte secondo la propria sensibilità, senza mai forzare la mano, in totale libertà nel chiedere e nell’ascoltare le emozioni: la coreografia risulta umana, vulnerabile, espressiva con elementi astratti e narrativi. La danza non è la principale protagonista, lo sguardo si volge espressamente sulla teatralità, sul trucco, sugli effetti scenici, sulla mimica, sugli oggetti (una boccia per i pesci rossi, una mongolfiera, una luna giocattolo) con il pianoforte suonato in scena, i colori accesi ricordano l’arte circense, mentre un video scorre sul fondale restituendo immagini della natura; un pezzo di matrice meditativa. Nell’androgino brano conclusivo di Juliano Nunes riscopriamo quella libertà di movimento che si ricollega al concetto già espresso nel saper riconoscere le differenti tipologie dei ballerini collocandoli a loro agio in palcoscenico. La narrazione è un chiaro messaggio di unione in un momento oscuro per noi tutti, l’emergenza sanitaria porta ad un bisogno collettivo per oltrepassare gli steccati e guardare al futuro, aprendo i sensi nell’ascolto di tutte le voci, senza distinzioni e senza pregiudizi, forse è una coreografia utopistica ma pur sempre di speranza in una “connessione” ben lontana da quella dei Social. Il pittore tedesco Caspar David Friedrich anche se in altro ambito ha formulato un concetto che ben si adatta al gala: “L’unica vera sorgente dell’arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un’opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio. Ogni autentica opera d’arte viene concepita in un’ora santa e partorita in un’ora felice, spesso senza che lo stesso artista ne sia consapevole, per l’impulso interiore del cuore.”

Michele Olivieri


 

 

 
 
 

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