Labirinto speculare tra sogno e realtà
di Michele Olivieri
Con la coreografia originale di Rudolf Nureyev, ripresa da Aleth Franchillon e dal direttore del corpo di ballo della Scala Manuel Legris, è tornata a Milano la versione del tartaro volante che mancava da sedici anni sul palcoscenico del Piermarini. La storia è ben nota, ma qui ci viene raccontata con particolare profondità sull’ambivalenza dei risvolti umani, insiti nella narrazione come nell’ordito musicale di Čajkovskij. L’intersecarsi di doppi significati e del senso di turbamento della protagonista si palesano nitidi anche sotto le apparenze più serene e gioiose, accantonando l’abituale mondo edulcorato fatto di dolciumi, soldatini e balocchi, a favore di un sentore maggiormente introspettivo.
MILANO 18 dicembre 2022 – Sono sempre stato affascinato da questo balletto ed è sempre stato uno dei miei preferiti in assoluto. Adoro la storia magica e soprattutto la splendida musica di Čajkovskij. Diverse produzioni mi hanno rapito, ma su tutte primeggia la versione di Rudolf Nureyev. C’è molto da amare in questo Schiaccianoci, a parte le scenografie e le luci che a tratti risultano piuttosto cupe, per una storia così festosa. Sicuramente ciò è dovuto a una maggiore rilevanza introspettiva del coreografo nel voler sottolineare l’aspetto psicologico. Lo Schiaccianoci per Nureyev rappresentava un salto nell’anima, in quella dimensione più infantile in cui la peculiarità è quella di riportare alla luce i fantasmi della fanciullezza. Da semplice favola così come appare a una prima lettura, numerosi sono invece i temi a cui si presta. Proprio per questo, numerosi coreografi nel tempo hanno messo in scena il loro allestimento. Ma è nei valori musicali e nell’abilità coreutica che l’esibizione scaligera eccelle a differenza di altre produzioni. L’esecuzione orchestrale brilla di ricchezza e la direzione di Valery Ovsyanikov appare rispettosa della più pura tradizione. La coreografia è impeccabile, soprattutto la tecnica nel Grand Pas de Deux risulta efficace, lasciando intravvedere appieno la cifra stilistica di Rudolf Nureyev. Esemplare inoltre l’idea di far ballare i divertissements da alcuni personaggi che appartengono alla sfera affettiva di Clara, ciò per mettere ancor più in risalto la sua visione, risultando esteticamente interessante. La danza è abile e ballata con emozione. Nicoletta Manni gestisce la difficile coreografia con disinvoltura senza alcuna imprecisione, è sicuramente più convincente come prima ballerina che come bambina, ma in realtà è apparsa costantemente autentica e sicura nel suo incedere. Timofej Andrijashenko è risultato in ottima forma, a proprio agio, questi sono i suoi anni migliori, e infatti il suo principe è bello, virile, e la preparazione è intrisa di linee perfette ed eleganti. Forse è meno a suo agio in Drosselmeyer (così aveva voluto Nureyev danzando personalmente il doppio ruolo), sicuramente avrebbe funzionato meglio con qualcuno più grande e maturo di aspetto, malgrado il trucco.
Questa produzione è spettacolare, espressa in uno stampo classico accademico ma al contempo altamente personale, ricca di passaggi e combinazioni difficili. Resiste bene alla prova del tempo grazie a una sempre verde vitalità teatrale. Con il suo Schiaccianoci Nureyev ha continuato la tradizione sovietica che concentrava la trama su un singolo personaggio (Clara), eliminando la Fata Confetto (impersonata sempre da Nicoletta Manni), immaginando così un nuovo percorso per la protagonista, un labirinto speculare fra mondo onirico e realtà, con una progressiva maturazione scoperta passo dopo passo. Inoltre Nureyev aggiunge uno dei suoi argomenti preferiti – il sogno – presentando la drammaturgia dopo la festa come un riflesso del subconscio, scavando nella psiche della ragazza ignara ancora di sé. Come la maggior parte delle riletture dei balletti classici ripensate da Nureyev, è presente ben appunto un netto rimando alla dimensione onirica, maggiormente sottolineata dal tema centrale del libretto originario. Ad un certo punto Clara vede i membri della famiglia e gli ospiti come fossero topi e pipistrelli (inusuali quest’ultimi nelle altre versioni) e il bellissimo principe di cui si innamora altro non è che il suo padrino Drosselmeyer. Dimentichiamoci in primo piano dolci, pupazzi e luci colorate, l’ambiente come già detto è più oscuro, anche se non mancano la festa natalizia, i bambini che saltellano vivacemente (interpretati con attitudine ed impiegati in gran misura di presenza e di tempo in scena dagli allievi della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala diretta da Frédéric Olivieri), abbondanti fiocchi di neve, il bosco invernale, l’albero di Natale che cresce a vista d’occhio, la pantomima, e le coinvolgenti danze di carattere del secondo atto (molto apprezzata la Pastorale nell’esecuzione di Linda Giubelli, Agnese Di Clemente, Nicola Del Freo). Il Corpo di Ballo della Scala ha dimostrato che gli artisti apprezzano le variegate opportunità offerte loro dal teatro e dalla direzione, affrontando ogni sfida con lodevole entusiasmo e trasporto. Senza ombra di dubbio la complessità tecnico-coreografica di Nureyev fa sì che non tutti i corpi di ballo possono presentare questo Schiaccianoci. Infatti non va mai dimenticato che Nureyev è stato il “maestro” nella radicale trasformazione della danza classica, risultando un innovatore dell’arte della coreografia (anche se non amato da tutti in queste vesti) ed in particolare dell’accrescimento del ruolo maschile del ballerino, esaltandolo come solo Nijinsky e Lifar in passato avevano fatto. Prima di lui nel balletto classico, il ruolo maschile assumeva un rilievo secondario nei confronti di quello femminile, la funzione dell’uomo era di esaltare la bravura della donna, elevandola il più possibile e aiutandola ad eseguire il maggior numero di pirouettes. La danza maschile aveva così il primario ruolo di esaltare l’armonia femminile. Nureyev non accettò mai questa discrepanza e si adoperò perché la tecnica maschile guadagnasse un inedito spazio, rappresentandola con rilevanti destrezze, slanci, e virtuosismi. Applausi prolungati e festanti nel finale, indirizzati a tutti. Nureyev lascia in eredità con il suo Schiaccianoci il senso del divenire verso la dimensione adulta, verso i timori che possono manifestarsi di fronte alla scoperta della pubertà, e l’immancabile presentarsi (ancora così di forte attualità ai giorni nostri) della lotta tra il bene e il male.
Michele Olivieri