L’armonia della danza
di Stefano Ceccarelli
L’Opera di Roma riporta in scena, per la terza volta, l’allestimento coreografato da Jean-Guillaume Bart de La bella addormentata di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Solisti d’eccezione sono Maia Makatheli nel ruolo di Aurora e Young Gyu Choi in quello del principe Désiré; gli altri ruoli sono magistralmente interpretati dal prestigioso corpo di ballo capitolino. Anche grazie ad una buona direzione di Kevin Rhodes, la serata può dirsi un successo, coronato da uno scroscio di applausi.
ROMA, 19 settembre 2024 – La bella addormentata, fiaba amatissima e capolavoro ballettistico di Pëtr Il’ič Čajkovskij, torna sul palcoscenico del Costanzi nell’allestimento che ha avuto battesimo nel 2017 ed è firmato da Jean-Guillaume Bart (leggi la recensione). Dato che il mio giudizio non è affatto cambiato rispetto alla freschezza primaverile del lavoro di Bart, citerò ampiamente da quella recensione. Infatti, forse è ancora vero che l’allestimento de La bella addormentata è il più fresco e spettacolare degli allestimenti di repertorio del balletto dell’Opera, rinnovato sempre da diverse interpretazioni della storica coreografia di Marius Petipa, punto di partenza imprescindibile, che per primo rese danza le splendide musiche čajkovskijane.
Molto del merito del successo è certamente da ascriversi al coreografo. La bella intervista contenuta nelle note di sala (di S. Poletti) esplicita gli intenti artistici di Bart, che si lascia apprezzare per una vasta cultura e una sensibilità notevole per diversi aspetti della danza: la ricostruzione filologica, il respiro dei movimenti, l’armonia generale, l’esecuzione di taluni passi. Il risultato finale è assai apprezzabile: si è notata soprattutto l’attenzione, squisitamente drammaturgica, all’elemento pantomimico, al respiro, all’«intonazione» dei «‘recitativi’» che compongono gli elementi di collante fra i numeri del balletto: in tal senso, ricorderei l’introduction del prologo, con la narrazione dei soprusi del Re Florestan ai danni della fata Carabosse (una spiegazione della sua natura maligna); e l’ingresso della Fata dei lillà e di Desiré nel castello di Aurora (2.19, Scène du château de sommeil), che scacciano i pipistrelli sgherri e Carabosse disvelando la corte di Aurora. Del resto, Stravinskij non scriveva forse che La bella addormentata è «un’opera di comunicatività così diretta»?
Il ruolo di Aurora è danzato dalla georgiana Maia Makatheli. Interprete più emotiva che meramente fisica, la Makatheli regala un’Aurora pregna del suo carattere infantile, tenace e delicatamente amoroso. Lo dimostra, infatti, sia nella sua Entrée che nel successivo Grand adage à la rose (I), dove inanella eleganti arabesque; nella sua variazione, risulta sì precisa a livello tecnico, ma piace più nell’interpretazione complessiva che nella pura geometria delle linee. Assai ben eseguito è il Pas d’action con Désiré (II), dove si lascia apprezzare per un’interpretazione intensa, ancora più emotiva che fisica. Nel finale Grand pas de deux la Makatheli riafferma le sue doti straordinarie di danzatrice, eseguendo un’impeccabile variazione e terminando in reale apoteosi la serata. Il principe Désiré è danzato dal sudcoreano Young Gyu Choi. Danzatore di notevole fisicità, potenza e precisione tecnica, Choi piace nel ruolo del principe, cui dona uno spessore molto fisico. Basti nuovamente citare il Pas d’action e l’esplosività di Choi, che riesce a dosare precisione, potenza e un equilibrio notevole, tanto da non apparire mai pesante. Benché non sia un ballerino particolarmente attento all’emotività del personaggio, ciononostante la sua performance si lascia apprezzare proprio per questa prorompente fisicità, geometrica e atletica, come dimostra la sua variazione nel finale Grand pas de deux (III). Proprio come per la Makatheli, anche per Choi gli applausi del pubblico sono fragorosi. L’eccellente stato di forma del corpo di ballo del Costanzi è testimoniato, indubbiamente, dalla qualità dei comprimari, che abbondano ne La bella addormentata. Innanzitutto, piace l’aggraziata Fata dei Lillà di Elena Bidini, non solo nella sua variazione, ma anche nell’azione pantomimica. Benché non siano state tutte perfette nell’esecuzione delle loro variazioni, le varie fate/pietre preziose regalano in ogni caso la magia fiabesca necessaria: Sara Loro (Fata della Grazia), Eugenia Brezzi (Fata della Vivacità), Flavia Stocchi (Fata della Generosità), Giorgia Calenda (Fata della Bella Voce e Zaffiro) e Giulia Festinese (Fata del Temperamento e Diamante), Arianna Tiberi (Oro), Antonella Marcocchio (Argento). Deliziosi, al solito, i pas de caractère dell’atto III: Flavia Morgante e Walter Maimone danzano i due gatti, Valeria Scalisi e Bryan Ramirez Cappuccetto Rosso e il Lupo; le due variazioni sono affidate a Virginia Giovanetti e Giacomo Castellana, nel ruolo di Cenerentola e Fortunato, e ad Alessio Rezza e Flavia Stucchi nei ruoli dell’Uccello blu e di Florina. Rezza incanta ancora (come nel 2014 e nel 2017) per le sue doti aeree, muscolari ma delicate al contempo, inanellando splendidi brisé volé, di una straordinaria naturalezza. Tutto il corpo di ballo merita i complimenti per la precisione delle danze e la bellezza dell’esecuzione coreutica.
Lodi a parte – ancora una volta – meritano le scene e i costumi di Aldo Buti: scene ricche e ricercate, con particolari arcadici di sfondo (giardino all’italiana), sempre lievemente modificate da un atto all’altro, sulle cromature dell’oro e del blu, con uso di pannelli di velatino a decorazioni naturalistiche (belle le rose incornicianti la scena nell’ultimo quadro). I costumi sono assai ricchi e ben confezionati. Vero coup de théâtre è la scena dell’entrata di Désiré nel castello addormentato di Aurora: il gioco di luci traverso il velatino e con il retropalco crea un gradevole effetto ottico di profondità e indefinito, con la corte magicamente addormentata e aurora.
La direzione di Kevin Rhodes lascia cantare le celeberrime melodie čajkovskijane, di cui la partitura abbonda, testimoniando un estro quantomai florido che accompagnò l’immaginazione favolistica del russo. L’orchestra esegue abbastanza bene. La serata si chiude fra gli applausi fragorosi del molto pubblico accorso, testimonianza dell’ottimo lavoro del reparto coreutico del Costanzi, capace di creare un rapporto di fiducia e stima con il suo pubblico. Fra gli applausi mi sovvengono, ancora, le parole di Bart sulla proporzione e l’armonia delle forme nella danza paragonate alle bellezze romane: «quella armonia di proporzioni che domina nelle architetture di una città come Roma è la stessa che nutre l’ideale della danza classica». Ci si augura che questa proporzione, estetico piacere, possa sempre sfolgorare sui palcoscenici del mondo.