L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fra classico e rock

 di Stefano Ceccarelli

Piacevolissima serata di danza al Teatro dell’Opera di Roma e, ancora, protagonista la danza contemporanea. Soirée Française, dittico che affianca due quadri diversissimi fra loro, Suite en blanc (1943) del neoclassicista coreografo Serge Lifare Pink Floyd Ballet (1972)dello sperimentalista, fluido e poliedrico Petit, trionfa al Costanzi, testimoniando l’ottimo stato di forma del corpo di ballo capitolino: la serata è un successo.

ROMA, 1 febbraio 2018 – La sempre maggiore attenzione dell’Opera di Roma al panorama contemporaneo della danza classica si rende palpabile nelle scelte di cartellone, che assicurano almeno uno spettacolo contemporaneo a stagione. L’idea della presente serata, Soirée Française, è appunto quella di creare un dittico tutto francese nel senso che i due coreografi coinvolti sono, appunto, della gloriosa scuola francese: Serge Lifar e Roland Petit, legati anche dai rapporti artistici e umani con la celebre danseuse Yvette Chauviré. Ma il titolo, ancorché accattivante, crea assai sorpresa per il secondo quadro del dittico: Pink Floyd Ballet, infatti, ha poco a che fare con la danza francese, se non, appunto, il coreografo che l’ha creato, Petit.

Favorito di Djagilev, il re dei Ballets Russes, Serge Lifar fece il bello e il cattivo tempo per diversi decenni all’Opéra parigina. Scappato da una Russia in tumulto, lui che era figlio di un aristocratico terriero, Lifar fece della Francia la sua seconda casa: qui creò balletti rimasti in repertorio, come Suite en blanc (1943), sulle musiche dello sfortunato Namouna di Lalo. Impregnato di quella ventata neoclassicistica che aveva informato anche buona parte della produzione di Stravinskij, Lifar creò una teoria (nel senso di successione) di ‘studi’ di danza su diverse difficoltà tecniche: «una successione di veri e propri studi tecnici, brevi coreografie indipendenti l’una dall’altra, connesse tra loro esclusivamente dallo stile neoclassico», com’ebbe a scrivere lo stesso coreografo. Il corpo di ballo capitolino dimostra la sua perizia e preparazione regalandoci una piacevolissima esecuzione, non scevra di qualche imprecisione tecnica qua e là, ma nel complesso assai apprezzabile, attestando l’ottimo stato di forma: l’orchestra dell’Opera esegue con brillantezza i pezzi di Namouna sotto la bacchetta di Carlo Donadio, accompagnando degnamente i danzatori. Grande è la grazia delle tre soliste di La Sieste: Claudia Bailetti, Roberta Paparella e Annalisa Cianci. Muscolare, energica l’esecuzione delle difficoltà (salti, entrechats ecc.) dei danzatori maschi in Thème Varié da parte di Alessio Rezza e Walter Maimone; egualmente brava Flavia Stocchi, elegante sulle punte, precisa nei tempi e salda tecnicamente, in un singolare pas de trois che allude al triangolo amoroso alla base del balletto Namouna. Susanna Salvi danza una convincente Sérénade, una variazione elegante e retrò dove non possono mancare svariate pirouettes e i classici fouettes. Il successivo Pas de Cinq è un tripudio di energia: Federica Maine, Mike Derrua, Simone Agrò, Giuseppe Depalo e Massimiliano Rizzo sciolgono con eleganza una serie di difficoltà classiche nel balletto, come i brisés volés. Bella anche l’esecuzione della variazione de La Cigarette da parte di Marianna Suriano, che con braccia sinuose e passi felpati evoca il fumo di una sigaretta. Alla Mazurka danzata da Claudio Cocino segue l’Adage intensamente eseguito da Alessandra Amato e Giuseppe Schiavone. Ecco, poi, La Flûte interpretata da Sara Loro: si termina con un assieme del corpo di ballo. Le luci, il fondale nero e i costumi rigorosamente bianchi creano un’atmosfera fantastica: sono molti gli applausi per questa coreografia che ci parla ancora dopo così tanti anni e che torna dopo quasi settant’anni al Costanzi.

La seconda parte è tutta all’insegna del rock dei Pink Floyd e dell’arte coreografica di Roland Petit. Dobbiamo ringraziare la figlia di Petit se oggi possiamo gustare questa splendida e trascinante coreografia: fu la figlia che fece ascoltare al papà un disco dei Pink Floyd, suscitando in Petit il desiderio di coreografarne alcune canzoni. L’allestimento fu memorabile: i Pink Floyd suonarono dal vivo a Marsiglia il 13 gennaio del 1972. Oggi, naturalmente, si balla su musiche registrate. La coreografia, che lascia intravedere molti dei germi dei futuri stili di danza, è un susseguirsi di figure e posizioni di gruppo, dove il minimo errore è fatale per l’intera armonia dei quadri. Il corpo di ballo ha danzato con un’energia incredibile, affrontando salti, prese, movimenti coreografici con tempi acceleratissimi. Affrontando – bisogna dirlo – uno stile di danza fortemente ibridato e muscolare (soprattutto nella parte maschile), che richiede una versatilità non comune e un gusto che fa onore ai danzatori. Il tutto con effetti di luce psichedelici stupendi, che ci riportano alla temperie degli anni ‘70. Alla fine il pubblico ha applaudito energicamente e il corpo di ballo ha regalato il bis di One of these days, molto noto per la posizione ‘a rana’ che i ballerini assumono all’inizio. La serata è stata un successo!


 

 

 
 
 

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