L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lezione di danza

 di Andrea R. G. Pedrotti

Il nuovo polittico tersicoreo proposto dal Wiener Staatsballett convince solo in parte: ottima l'esecuzione tecnica, ma latitante, se non nel finale, la ricerca di contenuto ed espressione.

VIENNA, 30 aprile 2019 - Première di danza che convince parzialmente per le nuove coreografie presentate dal Wiener Staatsballett. Un primo grande dubbio viene dalla scelta, obbligata considerando le musiche in programma, di utilizzare una base registrata per buona parte della serata, con l'unica eccezione del pianoforte di Laurene Lisovich per la seconda parte. Le perplessità maggiori sorgono nella coreografia Artifact Suite, realizzata da William Forsythe, su musiche di Johann Sebastian Bach. Il carattere rituale, talvolta tribale è senz'altro reso, ma senza una continuità che avvinca. L'attenzione non manca, perché i passi sono interessanti, fluidi e ben eseguiti, ma scarsamente inquadrati in uno schema drammaturgico compiuto. La partecipazione risulta maggiore nell'ossessivo ripetersi degli accordi di alcuni passaggi della partitura, che, riverberandosi nell'ampiezza coreografica, rendeva senz'altro idea d'un misticismo dal sapore angosciante, decadente, quasi perturbante. Tuttavia si tratta di istanti che, se meglio legati fra loro, avrebbero senz'altro restituito con maggior efficacia il senso d'un rito dell'intelletto.

In locandina è riportato come autore delle scene e delle luci lo stesso coreografo. L'idea di proporre una visione nuda, statica, con quinte a vista, completamente nere, non regala molto, né per originalità, né per effettiva efficacia. Parimenti le luci sono sostanzialmente fisse e non sostengono l'esoterismo che sarebbe necessario trasmettere, almeno secondo l'idea generale. Il tutto appare come una grande lezione di danza, non particolarmente coinvolgente nel contenuto comunicativo.

Meglio la coreografia successiva con Trois gnossiennes, quando sulla scena appare il pianoforte, trasportato su una pedana, a danzare con i ballerini. Propone un senso di dinamicità, oltre al movimento coreutico dei protagonisti, e, sebbene permanga una certa perplessità, le cose migliorano sensibilmente. Le musiche ora sono di Erik Satie, i costumi di Oliver Haller e le luci di Jan Hofsra. Coreografia e scene sono di Hans van Manen.

Dopo l'intervallo, in Solo troviamo esclusivamente ballerini di sesso maschile che, su musiche di Johann Sebastian Bach, ancora con van Manen coreografo, ma Keso Dekker per scene e costumi, oltre a Joop Caboort alle luci. Qui la coreografia impegna sul piano tecnico, ma meno su quello intellettuale. Talvolta il movimento su luci (finalmente) meno fissamente cupe è fin ubriacante: si avverte il divertimento in sala, anche se, come nel caso precedente, è poco chiaro quale unità drammaturgica venga conferita al balletto. Per unità drammaturgica non si intende una trama vera e propria, ma almeno una semantica unitaria, consequenziale, capace di attrarre l'attenzione, indipendentemente da quella esercitata dall'abilità tersicorea, che risulta comunque incompleta se privata di forma espressiva, che, così, resta inquadrata nel mero esercizio ginnico.

Decisamente meglio l'ultima parte della serata, Psalmensymphonie, quando il coreografo impegnato è Jiří Kylián, autore anche del concetto luci.

Non si tratta di una coreografia originale, ma sicuramente appare più costruita e coinvolgente nel suo insieme. Di per sé aiuta la musica di Igor Stravinskij, che, in registrazione, risulta meno artefatta, trattandosi dell'incisione di un organico ampio, più simile a quello che, a parità di volume, si sentirebbe in una grande sala come quella della Wiener Staatsoper. I brani cameristici utilizzati precedentemente, invece, avevano un'alterazione tanto necessaria quanto evidente.

Otto diverse coppie si posizionano innanzi a grande fondale fatto di tappeti rossi, con pochissimi elementi scenici, utili allo sviluppo della coreografia. È ora che notiamo maggior logica nella sequenzialità di movimenti, che non perdono la fluidità a cui avevamo assistito anche prima. La musica è seguita negli accordi più minuti, parimenti alle parole degli interventi corali. I costumi di Joop Stokvis sono semplici ed eleganti, rendendo, nell'insieme, quest'ultima parte la migliore dell'intera serata, l'unica a dare quella soddisfazione completa che, fino a quel momento, era mancata.

Tutti gli interpreti del Wiener Staatsballett sono stati accolti calorosamente dal folto pubblico presente in sala.

© Wiener Staatsballett / Ashley Taylor


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