L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’apoteosi del balletto

 di Michele Olivieri

La versione di Nureyev ricrea un clima e un’atmosfera assolutamente pertinente e ispirata al realismo nelle sue varie accezioni, suscitando sentimenti ricollocati di continuo in quelle antiche sequenze di significato.

“La Bella addormentata nel bosco” nell’allestimento firmato da Rudolf Nureyev raggiunge il perfetto e nobile ideale di fiaba. Una fiaba corale e sicuramente una delle creazioni più affascinanti e ricche di spunti, nonché di simbolismi, per leggere l’evoluzione del balletto nel tempo.

Il tema della ricerca e dell’innovazione scompare e muore nella tradizione per rinascere e riapparire in una tradizione più viva che a sua volta si ritrova nella leggenda. La versione ammirata nuovamente alla Scala, dopo dodici anni, può essere considerata una trasposizione del mito del ballerino e coreografo russo il quale ci ha abituato ad orizzonti coreografici eccelsi.

Il Corpo di ballo scaligero, diretto con mano sicura dal Maestro Frédéric Olivieri, denota l’ottima scuola e la netta predisposizione, dotato di un attraente equilibrio e di un’esecuzione ricca e soave senza alcun demerito. Nureyev, autentico figlio della sua epoca e ancora oggi modello inarrivabile, ha operato in un clima culturale che lo ha portato a ragguagliare il concetto coreutico e di ruolo. I ballerini sono condotti ad esibirsi in un gioco di squadra e tutti vi riescono con una disinvoltura ammirevole.

La coreografia esige varietà di colori, di intenti e di virtuosismi, ciò che conta è la precisione, il ritmo, l’eleganza, la accuratezza delle linee, la spontaneità interpretativa e la continuità della narrazione in oltre tre ore e mezzo di spettacolo, compresi gli intervalli. Mai forse, Nureyev è riuscito, come nella sua Bella a raggiungere un bilanciamento danza-orchestra così calibrato nei reciproci scambi, nella persistenza di sostegno e di chiarezza di ciò che appartiene al corpo e di ciò che appartiene alla musica. La partitura di Čajkovskij è talmente brillante che ben si sposa all’arco dinamico, anche se la direzione di Felix Korobov non analizza a fondo.

L’Aurora di Martina Arduino è essenziale sotto due aspetti: la scorrevolezza nell’interiorizzare il ruolo e un ballato che coincide con il linguaggio degli altri personaggi grazie a momenti di freschezza e di volontà d’approfondimento, eccellente e non di rado fantasiosa, un impasto di estrema morbidezza e sicurezza con una danza vellutata supportata da distinta e pregevole tecnica.

Esemplare la cornice dell’allestimento, tra scene e costumi di Franca Squarciapino, grazie anche alla coerenza coreografica, al ritmo serrato e all’omogeneità del linguaggio gestuale.

Il Désiré di Nicola Del Freo controlla una tale musicalità e una tale gamma di colori da rivelare la piena maturità artistica e l’efficienza fisica, in special modo nel secondo atto con tre splendide variazioni le quali richiedono notevole sforzo, abilità, attenzione.

Rudolf Nureyev ricrea un clima e un’atmosfera pertinente e ispirata al realismo nelle sue varie accezioni, suscitando sentimenti ricollocati di continuo in quelle antiche sequenze di significato, mantenendo un forte ancoraggio alla propria superficie espressiva con la profondità cognitiva e memoriale che in ogni passo si rinnovano e si arricchiscono di continuo.

Un successo ben consolidato, che si ripete nel tempo, il quale dona agli astanti lo stupore e la misura del balletto in tutta la sua magnificenza creativa.


Michele Olivieri

 


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