Fuoco, fumo e maleducazione
di Irina Sorokina
Preceduto da una ridda di polemiche e da un clamore mediatico legato forse più agli aspetti controversi del personaggio Sergej Polunin che alla sua caratura d'artista, Romeo e Giulietta è finalmente approdato all'Arena di Verona. Sul palco il carismatico Polunin-Romeo, Alina Cojocaru-Giulietta e tutti gli interpreti offrono una prova eccellente, anche se lo spettacolo nel suo complesso, così come l'atteggiamento di buona parte del pubblico, presta il fianco a considerazioni critiche.
Verona, 26 agosto 2019 - Folle immense e osannanti all'Arena di Verona, code interminabili ai controlli di sicurezza, comizi in Piazza Bra. Niente di cui stupirsi: era uno spettacolo tanto atteso e con un'unica data dentro le mura che videro le battaglie di gladiatori dell’antica Roma, bestie feroci, opere ottocentesche ed eventi speciali. Lo spettacolo offerto era Romeo e Giulietta, il balletto più celebre di Sergej Prokof’ev e tuttora il più rappresentato dell’intero Novecento. “For never was a story of more woe that this of Juliet and her Romeo”: queste parole, dette dal Principe shakesperiano, furono tradotte in russo dalla famosa traduttrice Tatiana Ščepkina-Kupernik e all’epoca delle prove del balletto di Prokof’ev in patria maliziosamente trasformate in “non esiste storia più triste nel mondo della musica di Prokof’ev per il balletto”. Nonostante le difficoltà che creò la musica di Prokof’ev ai ballerini d’epoca, la prima versione di Romeo e Giulietta coreografata da Leonid Lavrovsky al Teatro Statale Accademico dell’Opera e Balletto “S. M. Kirov” di Leningrado nel 1940, sei anni dopo la composizione della partitura, ebbe un grande successo. Il coreografo, in conformità ai canoni approvati dal potere sovietico, creò un colorato dramma danzato, con scene di massa vivaci e dinamiche e le caratteristiche psicologiche dei personaggi ben dettagliate. A Lavrovsky toccò un’immensa fortuna: avere Galina Ulanova nella parte di Giulietta, un’attrice e ballerina raffinatissima, la cui interpretazione rimase insuperabile e segnò la storia del balletto.
Dal quel momento tanta acqua passò sotto i ponti. La musica di Prokof’ev, apparsa tanto difficile e non adatta alla danza ai primi interpreti, piano piano smise di graffiare l’orecchio. In Occidente fu apprezzata quasi immediatamente, una versione successe all’altra; ricordiamo Romeo e Giulietta di Birgit Cullberg (Stoccolma, 1944), Margarita Froman (Zagabria, 1949), Frederick Ashton (Copenaghen, 1955), Serge Lifar (Parigi, 1955), John Cranko (Milano, 1958), Kenneth MacMillan (Londra, 1965), John Neumeier (Francoforte, 1971, Amburgo, 1973), Rudolf Nureyev (Londra, 1977). Non si contano le versioni del balletto di Prokof’ev in patria, tra i teatri di Mosca e San Pietroburgo (all’epoca sovietica Leningrado) e quei sul sconfinato territorio della Federazione Russa, citiamo soltanto alcune di loro: Oleg Vinogradov (Novosibirsk, 1965), Mai Murdmaa (Tallinn, 1971), Yury Grigorovich (Mosca, 1979).
Questa escursione nella storia del celebre titolo ci serve per sottolineare che stavolta, cioè all'Arena di Verona nel 2019, tutto prometteva di essere diverso. Romeo e Giulietta è una produzione di una compagnia privata, Polunin Ink, e, certo, non esiste un appassionato di balletto che non sogni di vedere dal vivo il celebre “bad boy”, russo nato in Ucraina, formatosi alla Royal Ballet School, noto non soltanto per le sue qualità artistiche, ma anche e soprattutto per i comportamenti ribelli, tatuaggi tra cui il ritratto del presidente russo Vladimir Putin sul petto, dichiarazioni contro i gay che gli sono valse l’espulsione dall’Opéra di Parigi e l’annullamento del Lago dei cigni. Il web fornisce le informazioni abbondanti su Sergei Polunin, tuttavia quasi tutte raccontano il personaggio e pochissime l’artista.
Polunin fa parlare di sé e, sicuramente, farà ancora molto parlare di sé. È una persona che non ha paura di esistere, in un movimento e sviluppo personale continuo; non sappiamo ancora dove lo porteranno le sue strade, che sembrano tante: dal 12 agosto di quest'anno è anche il rettore della neonata Accademia Coreografica a Sebastopoli, in Crimea. Tappa di una di queste strade è Romeo e Giulietta dentro le mura dell’anfiteatro antico sito proprio a Verona, la città degli amanti infelici per eccellenza immortalati da Shakespeare. In questa impresa (produzione Show Bees, in collaborazione con Ater e Festival della Bellezza) lo accompagnano Johan Kobborg, un eccellente ballerino e coreografo danese, Alina Cojocaru, già principal dancer del Royal Ballet attualmente all’English National Ballet, un corpo di ballo di venti danzatori provenienti da molti paesi, il famoso designer David Umemoto, e il risultato è contraddittorio.
Prima di tutto, gli artisti. E qui non ci piove: Sergei Polunin – Romeo, Alina Cojocaru - Giulietta, Nikolas Gaifullin – Tybalt, Valentino Zucchetti – Mercutio. Che Polunin creasse un Romeo in tutto simile a lui, c’era da aspettarselo. Tutti gli occhi sono puntati su di lui, e il ballerino ribelle non delude. Possiede un fisico spettacolare, è alto e armonioso, le sue gambe lunghe e ben tornite hanno il dono di parlare. Ebbene, è un vantaggio per il teatro all’aperto come l’Arena, dove solo pochi fortunati possono vedere i volti degli artisti e dettagli della loro interpretazione; dalla maggior parte dei posti si vedono figure minuscole, se non ombre. Il talento di Polunin è capace di abbattere questa condizione infelice degli spettatori: balla con impeto e passione rari, rende Romeo piuttosto maturo, già outsider collaudato, senza paura alcuna, capace di proteggere quell’essere dolce che è Giulietta. Gioca sulle sue indiscusse doti fisiche felicemente accompagnate da un’energia fuori dal comune, autenticamente virile, appare instancabile in corse pazzesche, piroette molteplici, salti vigorosi, scene di battaglia.
Accanto a lui, la Giulietta di Alina Cojocaru, un’adolescente ideale del balletto, piccola e fragile, dal volto semplice e le espressioni disarmanti di una bambina. Gioca sull’incredibile leggerezza e le linee sottili che sembrano tracciate con una matita, cresce man mano che la storia iniziata coll’irruzione di Romeo e i suoi amici ad una festa si trasforma in una tragedia, acquista forza, coraggio, resistenza ed è pronta per morire accanto all’amato.
Sono formidabili i due giovani uomini, Nikolas Gaifullin dell’Atlanta Ballet, nella parte di Tybalt e Valentino Zucchetti, primo solista del Royal Ballet in quella di Mercutio; quest’ultimo riscuote un successo personale. Bravissimi tutti gli artisti in cosiddetti piccoli ruoli che tali non sono: Jann Esterhulzen - signora Capuleti, Ross Freddie Ray – signor Capuleti, Giorgio Garret – Benvolio, Kilian Smith - Paris, padre Lorenzo (nella locandina nominato “Priest”) – Dejan Kolarov.
Meno elogi per lo show per sé. ll palcoscenico areniano risulta troppo grande per le scene originali del celebre designer canadese David Umemoto. In centro vediamo un’installazione astratta ed elegante, un gioco sapiente di spazi e linee dove le scale assumono un ruolo principale. Una rievocazione perfetta di Verona o un’altra città medievale, che accoglie benevolmente i balli dei nobili, con rassegnazione i litigi in piazza delle “squadre” rivali e serve da nascondiglio perfetto agli incontri dei giovanissimi amanti. È minacciosa la gamma dei colori scelti, il nero e il grigio plumbeo, in perfetta armonia con le irrequiete luci di Konstantin Binkin. Per colmare nel limite del possibile lo spazio troppo vasto, vediamo su entrambi i lati installazioni per luci; certamente, danno un tocco di modernità alla produzione il cui scopo, apertamente dichiarato, è creare una versione moderna del balletto classico, facile da comprendere dal pubblico giovane, quasi sicuramente non preparato all’incontro con questa forma d’arte.
Ma la dichiarazione di modernità di questo Romeo e Giulietta non riesce a mascherare le origini classiche ben riconoscibili della coreografia di Johan Kobborg, un formidabile artista danese, unico del suo genere, anche lui ex principal dancer del Royal Ballet. Non certo alto e tanto meno bello, formatosi alla scuola di danza classica danese che, se confrontata a quella russa che punta al superamento dei limiti, preferisce la leggerezza, ha creato una galleria dei personaggi indimenticabili nel repertorio classico rimanendo insuperabile per quanto riguarda velocità e pulizia, autentico spirito cavalleresco verso le ballerine e grandissime doti attoriali. Si è distinto anche come coreografo e direttore artistico; di indiscutibile valore il suo lavoro all’Opera di Bucarest. Ma essere un geniale danzatore e un buon direttore di compagnia e creare qualcosa di veramente nuovo sono due cose ben diverse. Romeo e Giulietta coreografato da Kobborg cerca la modernità attraverso la creazione di uno spettacolo decisamente coinciso, toglie gli intervalli, punta a una specie di caleidoscopio di scene, tra quelle di massa, episodi pantomimici e duetti, che ricorda un album fotografico sfogliato velocemente senza che tra le immagini vi sia un filo conduttore. Molte sequenze di passi a due sono riconoscibili e ripetitive, e il disegno coreografico delle danze del corpo di ballo risulta poco chiaro e caotico. Così, lo spettacolo dai ritmi febbrili appare stagnante. Il corpo di ballo manca di omogeneità, fatto dovuto probabilmente alla provenienza diversa dei danzatori e al tempo insufficiente delle prove. Il nuovo Romeo e Giulietta, certo, può considerarsi un evento, ma non una creazione davvero innovativa. C’è da lavorare, insomma, se si vogliono percorrere le strade di modernizzazione del balletto.
Per concludere, spezziamo una lancia a favore della musica di Prokof’ev che in questa produzione non è certo regina. Non vogliamo discutere l’uso della musica registrata; l’ingaggio di un’orchestra avrebbe sicuramente gonfiato i costi della produzione e, secondo il nostro parere, non si sarebbe fatto apprezzare più di tanto, visto il contesto in cui si è svolto lo spettacolo. Non vogliamo discutere nemmeno i tagli nella partitura effettuati allo scopo di rendere lo spettacolo più dinamico e avvicinarlo al pubblico più vasto. Quel che ha dato veramente non poco fastidio era il volume della musica registrata, decisamente esagerato che ha tolto allo spettatore la possibilità di gustare colori brillanti e armonie raffinate di questo capolavoro.
Un’altra lancia sarebbe giusto spezzarla a favore di una buona educazione. L’Arena gremita di gente, prevalentemente di sesso femminile, si illumina non soltanto grazie ai proiettori ma anche e soprattutto per i cellulari che in molti casi vengono tenuti accesi per tutta la durata lo spettacolo. Si fotografa in continuazione, si filmano dei pezzi interi del balletto. Qual è lo scopo? Ma certo, poter dire a sé stessi e agli amiche/amici che “io c’ero”, “ho visto Polunin”. Ad alcune richieste di spegnere il cellulare si risponde “ma perché?”. Nelle teste di alcune persone non passa nemmeno per un attimo la considerazione che si assiste a un’opera d’arte che richiede attenzione, meditazione, rispetto. Il balletto che pretende di essere innovativo, più vicino al pubblico giovane, è soltanto un fenomeno mediatico. E viene onorato da una standing ovation che gli artisti meritano in pieno. Ma quelli che la fanno, la standing ovation, non capiscono a che cosa sia capitato loro di presenziare.
foto Morgan Norman
Foto di Luca Vantusso e Angela Bartolo