Una connessione d’intenti
di Michele Olivieri
La mirabile evoluzione di pensiero dei due grandi maestri ha assunto un elevato valore simbolico ed iconografico, trasformando la Scala in un luogo privilegiato dall’atmosfera raccolta.
MILANO, 7 febbraio 2020 - Il pregio in questa nuova tappa dedicata ai progetti dei balletti su musica da camera – un filone tradizionale nel quale rientrano quelle composizioni in cui il ruolo del singolo risulta determinante – è quello di aver omaggiato due figure simbolo della coreografia mondiale, ognuno con una propria autenticità e un complesso degli espedienti formali utilizzati con taglio intimo e personale, che si estende nei cinque pezzi portati in scena dal sempre più duttile Corpo di Ballo, diretto da Frédéric Olivieri.
L’atteso ritorno al Piermarini di Hans van Manen ha fatto risaltare alcune sue creazioni iconiche, tra cui l’Adagio Hammerklavier (creato nel 1973 per l’Het Nationale Ballet), e due brani mai eseguiti prima dalla compagnia scaligera, Sarcasmen (creato per l’Het Nationale Ballet nel 1981) e Kammerballette (creato nel 1995 per il Nederlands Dans Theatre) dando prova di una fecondità inventiva votata all’uso dello spazio e della struttura, con la capacità di pensare la musica in maniera non convenzionale.
Altresì il genio di Roland Petit è stato omaggiato con una sua coreografia tra le più intense, Le Jeune homme et la Mort; e con l’evocativo duetto maschile Proust, ou les intermittences du coeur carico di sentimento intimo e penetrante.
Van Manen gode della capacità del costruire, fabbricare movimenti, innalzando dalle fondamenta il gesto. La sua visione estetica ha come scopo l’organizzazione dello spazio in qualsiasi scala, lasciando concorrere aspetti tecnici e artistici atti a soddisfare le necessità del danzatore in simbiosi all’aspetto visivo. Il maestro è dotato di caratteristiche peculiari con definizioni, funzioni, aspetti spaziali e costruttivi spesso differenti e contrastanti ma proprio per questo sapientemente accorti. Inutile sottolineare l’importanza del valore estetico nel suo lavoro, in quanto una buona architettura coreografica è già di per sé frutto di un grande studio.
Uniti, Van Manen e Petit, rappresentano un processo creativo di percezione sensoriale e motoria ottenuto dalla connessione nitida della loro danza. Pur essendo dissimili appaiono complementari, forse l’ottantasettenne Van Manen stupisce maggiormente per la modernità e il linguaggio interdipendente dei passi a due, mentre in quelli di Petit si respira un po’ lo passare del tempo.
I danzatori della Scala poggiano la loro arte su funzioni conformi e identificabili nelle nervature e nei contrafforti, l’ordine rigoroso esecutivo di ogni singolo elemento affresca al meglio l’operato. Da sottolineare nuovamente per Le Jeune homme et la Mort i costumi di Karinska percorritrice di quell’inedito modo di sperimentare tecniche e materiali mai usati prima in teatro ad inizio Novecento. Inoltre, meritano una menzione i personali assistenti coreografi, Larisa Lezhnina, Nancy Euverink, Rachel Beaujean (per Van Manen) e il supervisore Luigi Bonino (per Petit).
Nello specifico, la scaletta ha contemplato di Van Manen, Adagio Hammerklavier sull’Adagio della Sonata n. 29 per pianoforte opera 106 di Ludwig Van Beethoven. Agnese Di Clemente e Gioacchino Starace, Alessandra Vassallo ed Emanuele Cazzato, Martina Arduino e Marco Agostino hanno saputo rappresentare lo stato di purezza e i nobili sentimenti dell’arte ballettistica, evocando un simbolo di eternità, esprimendo l’immaginazione del coreografo come continuo desiderio di cambiamento e stimolo alla novità.
A seguire il duetto maschile Le combat des anges su musica di Gabriel Fauré, ispirato alla Recherche di Marcel Proust e interpretato con luce e trasporto da Domenico Di Cristo e Gabriele Corrado (coadiuvati da Alfredo Persichilli al violoncello e da James Vaughan al pianoforte). Un pezzo sull’introspezione che si trasforma in un esercizio dove l’immagine riflessa rivela e contiene l’anima della persona, una coreografia concepita come un qualcosa che cattura l’anima, capace di imprigionare l’energia spirituale degli interpreti.
Procedendo con le due nuove entrate per la compagine scaligera, la prima Kammerballett su musiche di Kara Karayev, Domenico Scarlatti, John Cage (James Vaughan al pianoforte). Interpreti Alessandra Vassallo (forte personalità), Giulia Lunardi, Andrea Risso (risoluto ed efficace), Endi Bahaj, Chiara Fiandra, Stefania Ballone, Emanuele Cazzato, Edoardo Caporaletti. Il pezzo si presenta colorato vivacemente nei costumi, con una quadratura cromatica individuata nel nero, nel giallo, nel marrone e nell’arancione in otto parti proporzionali, un insieme fluido sul quale segnare confini precisi.
La seconda, Sarcasmen, con la musica di Sergej Prokof’ev, ha presentato al meglio i due ammirevoli primi ballerini Nicoletta Manni e Claudio Coviello, in un pezzo difficilissimo e velocissimo, giocato in maniera canzonatoria con la presenza del pianista in scena, James Vaughan, lasciando interagire la musica e la danza in un effetto ambivalente di ferrea presa e accorpamento.
A chiudere Petit con Jeune homme et la Mort sulla Passacaglia in do minore di Johann Sebastian Bach (interpretato da Marta Romagna e Nicola Del Freo) affiancati da Lorenzo Bonoldi all’organo. Interrogarsi, attraverso la danza, sul senso della vita ci fa porre domande che sicuramente aiutano a riflettere.
La serata ha saputo racchiudere tutta l’evoluzione di pensiero dei due maestri, lasciando in eredità al pubblico alcune loro gemme di diversa estrazione, che grazie ad una specifica lucentezza, a un proprio colore, a una singolare trasparenza e spesso brillantezza, hanno assunto nella storia della danza un elevato valore simbolico ed iconografico, trasformando la Scala in un luogo privato dall’atmosfera raccolta. L’approvazione del pubblico si è fatta partecipe ed entusiasta con i ripetuti applausi finali.
foto Brescia Amisano