Splendore nelle tenebre
di Roberta Pedrotti
G. Verdi
Don Carlo (versione italiana 1884)
Vargas, Tézier, Abdrazakov, Spotti, Kasyan, Barcellona
direttore Gianandrea Noseda
regia, scene e costumi Hugo De Ana
Torino, Teatro Regio, 19 aprile 2013
2DVD Opus Arte OA 1128 D, 2015
Era uno degli spettacoli più attesi dell'anno verdiano, non meno atteso giunge il DVD, che permette di gustare ancora una volta la produzione torinese, lussureggiante e tenebrosa in primis per il magnifico allestimento di Hugo De Ana, il Don Carlo di riferimento dei nostri giorni per quel che concerne la ricostruzione storica.
Il barocco spagnolo è l'ambiente naturale del regista argentino, più ancora nel principio che nell'iconografia, tanto è rigoglioso, opprimente, perfin ridondante e surreale, palpitante e funebre il suo tratto, preciso nella ricostruzione quanto libero nella ricreazione artistica e nell'adesione alle peculiarità del dramma verdiano. Fra queste colonne e statue immani, nella gabbia di questi costumi splendenti e ricchissimi, la recitazione non suscita sorprese ma è nondimeno curatissima perfino nell'uso degli stereotipi, che hanno sempre una studiata valenza pittorica. Qui, nei cupi meandri delle curve barocche, si insinua la concertazione, tesa, tenebrosa, affilatissima di Gianandrea Noseda. Potrebbe sembrare in contraddizione con l'opulenza visiva, questo asciutta essenzialità, questo precipitare del dramma che tutto travolge e non lascia spazio all'abbandono (che meraviglia, però, quando si fa largo il canto del violoncello in "Ella giammai m'amò"!), ma De Ana e Noseda si incontrano nell'ombra, nella claustrofobia espressa in maniere differenti ma complementari e, infine, fra loro coerenti.
In tale contesto, i cardini naturali del dramma non possono che essere i tre poli politici costituiti dall'idealista Rodrigo di Posa, dal potere temporale di Filippo II e da quello religioso del Grande Inquisitore. I cardini musicali sono, così, tre voci gravi, tre timbri scuri come le labirintiche tenebre di questo Don Carlo.
Lussuosa era già la scelta della voce di basso che apre e chiude l'opera, il Frate di Roberto Tagliavini, eccellente è il terzetto delle voci grave protagoniste a tutti gli effetti: Ludovic Tézier, Ildar Abdrazakov e Marco Spotti.
La presenza carismatica, la fisicità intensa come la vocalità splendidamente tornita e piegata nella parola scenica di Tézier e Abdrazakov fa del loro duetto del primo atto un momento di teatro musicale straordinario, scolpito e cesellato con una forza e un'ampiezza di sfumature che non ci fanno rimpiangere nessun grande del passato, con i quali questi nostri contemporanei possono confrontarsi da pari a pari, vantando per di più una disinvolta confidenza con i passaggi d'ascendenza più belcantistica.
Al contrasto virile fra due diverse posizioni politiche che si scontrano con rispetto, stima e lealtà, alla franchezza di due vocalità vellutate e affascinanti, risponderà poi l'intervento di un Grande Inquisitore che in Spotti trova accenti e modi particolarmente affilati, spettrali, perentori e inquietanti. Non una tromba del giudizio, ma un prete gelido e subdolo è il peggior avversario di Filippo II.
Inutile ribadire che, se Spotti concentra con pari efficacia la sua prova in un duetto e in pochi altri interventi, Abdrazakov e Tézier ribadiscono anche nelle rispettive arie e in tutti i pezzi d'assieme la loro arte verdiana, che in canto, azione, parola e musicalità assieme esprime con moderna sensibilità quanto di meglio si può desiderare per questo repertorio. Se si dovesse citare qualche passo a mo' di esempio per entrambi si rischierebbe di dover ripercorrere l'intera partitura.
Ramon Vargas, Carlo, non può competere con tanto splendore: la parte non è impossibile per un tenore lirico d'ascendenze leggere, ma è certo onerosa e il cantante messicano non è colto nel pieno fulgore dei suoi mezzi. Qualche forzatura e durezza, qualche opacità di troppo non lascia libero il campo a un fraseggio più interessante, pur nell'ambito di una prestazione corretta e senza cedimenti vistosi.
Daniela Barcellona ha, in questi ultimi anni, cominciato a rivolgere la sua attenzione a Verdi e al repertorio romantico (arrivando di recente perfino a Santuzza). L'ampiezza della voce glielo consente, la disciplina rossiniana acquisita la favorisce nel gusto e nell'attenzione al dettaglio, la caratteristica passionalità dell'accento è un suo punto di forza, così come l'autorevolezza scenica. Le pagine più liriche ed energiche sono quelle in cui emerge con maggior sicurezza; ce la si potrebbe aspettare più spavalda nelle cadenze della "Canzone del velo" o nelle puntature acute, ma la coloratura verdiana ha esigenze diverse da quella rossiniana e Noseda sembra più interessato all'impellenza drammatica che al sostegno belcantista. Sarebbe interessante ascoltarla magari nella versione francese e ad esplorare alcune delle numerose (e trascurate dalla prassi esecutiva) soluzioni alternative che Verdi previde per i vocalizzi di Eboli.
Svetlana Kasyan si trova titolare del ruolo di Elisabetta dopo essere stata scritturata per una o due recite soltanto in alternanza con Barbara Frittoli, indisposta. Fra tanti grandi nomi inevitabilmente appare un po' spaesata e, forse, intimorita. I mezzi non sono certo disprezzabili, ma la dizione oscura – menda ancor più in evidenza in un cast dove tutti, madrelingua o meno, cantano in un italiano chiarissimo – e la tecnica passibile di rifinitura, soprattutto per quanto concerne la morbidezza e l'omogeneità dell'emissione e la posizione del suono, che si vorrebbe più libera e alta.
Bene tutti i ruoli minori: il Tebaldo di Sonia Ciani, la voce dal cielo di Erika Grimaldi, il Conte di Lerna di Dario Prola, l'Araldo di Luca Casalin, i deputati fiamminghi di Federico Sacchi, Fabrizio Beggi, Scott Johnson, Riccardo Mattiotto, Franco Rizzo e Marco Sportelli. Il coro del Regio diretto da Claudio Fenoglio dà il meglio di sé, e non è poco.
Bella la grafica del cofanetto e la resa tecnica del video (da notare che si dichiara la ripresa di una sola recita, quindi senza assemblamenti e miglioramenti in postproduzione). Solo una notazione: è davvero curioso che per un video coprodotto con Rai Trade siano disponibili i sottotitoli in cinque lingue, fra cui il coreano, ma non in italiano, presente invece quando lo stesso filmato fu trasmesso da Rai5. L'opera è nota e la dizione di quasi tutti chiarissima, ma il mercato italiano è considerato così irrilevante da non prevedere per il neofita, o per chi, anche straniero, possa gradirlo, la possibilità di seguire il testo cantato originale?