Intorno al Quintetto perduto
di Roberta Pedrotti
G. Rossini
La gazzetta
Forte, Marabelli, Rocha, Kubla
direttore Jan Schultsz
regia Stefano Mazzonis di Pralafera
Orchestra e coro dell'Opéra Royal de Wallonie
Liegi, 20-28 giugno 2014
DVD Dynamic 37742, 2016
Strano davvero che non si metta in evidenza in copertina la ragione che iscrive di diritto questo Dvd nella storia della discografia rossiniana: la prima testimonianza ufficiale e la prima esecuzione professionale in tempi moderni della Gazzetta comprendente il Quintetto “Già nel capo un giramento… Mi par d'esser con la testa” (sì, la stretta rielabora esattamente il tema, a sei voci, del Barbiere).
L'assieme centrale del primo atto, fondamentale nodo drammatico, non è stato, infatti, custodito nel pur accuratissimo autografo, costringendo i responsabili di ogni allestimento a inventare nuove soluzioni per giustificare l'evolversi della vicenda (celebre la Tammuriata ideata da Dario Fo per la produzione pesarese del 2001). Nel 2012 un manoscritto conservato al Conservatorio di Palermo è stato riconosciuto da Philip Gossett come il tesoro smarrito, presto riproposto in un'esecuzione dimostrativa (disponibile anche su youtube) con gli allievi del Conservatorio del New England. Liegi colse l'occasione del debutto professionale anticipando, così, di un anno la prima Gazzetta completa al Rossini Opera Festival [leggi la recensione].
Certo, stupisce non poco che l'occasione non sia stata onorata da un'esecuzione integrale dell'opera, variamente sforbiciata nei recitativi e privata delle arie di Doralice e Madama La Rose, pezzi simpatici e d'impegno vocale limitato: nel primo avremmo volentieri saggiato le qualità della giovane Julie Bailly, altrimenti udibile sono in recitativi o in disparte negli assiemi; viceversa, Monica Minarelli, piuttosto affaticata e poco aggraziata, non fa troppo rimpiangere il taglio di “Sempre in amore io son così”
Non secondaria è, poi, la questione dei recitativi, che va dall'inconsistenza di minime omissioni (ma, a un orecchio madrelingua avvezzo alle forme librettistiche i pochi secondi risparmiati non valgono il sacrificio della rima baciata quando, per esempio, si mozza a metà il distico “Accordi la sua figlia a un locandiere | essendo anch'esso stato un cameriere.”) a quella più penosa di intere scene. Così, per esempio, se Pomponio non annuncia alla figlia il matrimonio con il ricco quakero presentato da Filippo, come può ella dal nulla intonare nel duetto con il padre “Fra la matta notte e giorno | e mai quakeri sposar” e partecipare come se nulla fosse all'incontro con l'esotico pretendente? Son questioni che non sembrano toccare molto gli spettatori belgi, cui, anche per questioni linguistiche, possono sfuggire le sottigliezze del soggetto desunto da Goldoni (e per nulla spregevole è il libretto di Giuseppe Palomba, benché forzato nell'accogliere situazioni atte all'inserimento di numeri dal Turco in Italia e dalla Pietra del paragone), prediligendo l'eccesso cromatico, il paradosso anacronistico e le gag con cui il regista e direttore artistico Stefano Mazzonis di Pralafera suscita le risate del suo pubblico. A ulteriore conferma della relatività dell'umorismo, le mossettine infantili, Lisetta che piange con voce di neonato, i concertati coreografati hanno un sapore stantìo e troppo speziato per palati avvezzi al gusto genuino e raffinato del teatro rossiniano e dei suoi libretti modernamente intesi.
Del giusto spirito sono testimoni i tre più esperti rossiniani della compagnia. Cinzia Forte (già Lisetta a Pesaro e Barcellona) ribadisce la sua confidenza ideale con questo repertorio e se la freschezza scintillante del soprano leggero non sarà al suo culmine, il gusto, la musicalità, il senso della parola cantata sono sempre un modello della gloriosa scuola del belcanto italiano. Nondimeno Enrico Marabellicompisce per l'intelligenza e la misura del suo Pomponio, e, anche in questo caso, pazienza se non tutti i fiati nella sua sortita paiono impeccabili, quando lo spirito e lo stile son colti così bene. Edgardo Rocha, poi, è un Alberto ottimo senza se e senza ma: timbro fresco, dizione chiara, intenzioni appropriate, eleganza e duttilità vocale.
Con tutta l'ammirevole buona volontà che contraddistingue il suo Filippo (ruolo che ha visto sfilare, negli ultimi anni, Pietro Spagnoli, Lorenzo Regazzo e Vito Priante quali ingombranti precedenti), Laurent Kubla si pone un gradino più in basso, meno sciolto dei colleghi nel dar sapore al testo come nel rispondere con assoluta naturalezza alle esigenze della scrittura rossiniana. Certo, la bacchetta di Jan Schultsz non è il sostegno più grato per lui né per i colleghi, giacché alla verve non unisce una condegna precisione nei pezzi d'assieme.
Con Jacques Calatayud e Roger Joakim nei panni di Anselmo e Monsù Traversen citiamo Lilo Ferrauto, tenore del coro dell'Opéra National de Wallonie qui impegnato come Tommasino, servo di Don Pomponio assente in locandina ma sempre fondamentale come spalla del buffo in tutti gli allestimenti dell'opera.
I sottotitoli sono in italiano, inglese, francese, tedesco, giapponese e coreano, nelle prime due lingue il soggetto e le note di Danilo Prefumo, al solito chiare e scorrevoli, sintetiche ed esaurienti. Giusto un paio di precisazioni: l'opera non è solo “la prima di genere buffo che [Rossini] avrebbe scritto per Napoli” ma anche l'unica; il “riciclo” di musiche in diversi contesti è prassi abituale per Rossini come per la maggior parte dei suoi colleghi in diverse epoche (ne fecero ampio uso Haendel come Puccini) e sarebbe fuorviante intenderlo come espediente pratico più che come sofisticato meccanismo retorico.