La consapevolezza dell'eros
di Roberta Pedrotti
R. Wagner
Tristan und Isolde
Gould, Herlitzius, Zeppenfeld, Mayer, Paterson
Christian Thielemann, direttore
Katharina Wagner, regista
Orchestra e Coro del Festival di Bayreuth
2 DVD Deutsche Grammophon, 00440 073 5251 GH2, 2016
Christian Thielemann e Katharina Wagner, direttore e regista, un lavoro comune concertato nel contrasto costruttivo. Ecco in definitiva la cifra della celebrazione, a Bayreuth, del centocinquantesimo dal debutto di Tristan und Isolde: il massimo alfiere della grande tradizione wagneriana tedesca e l'ultima erede della dinastia, affine più a papà Wolfgang che a nonna Winifred e bisnonna Cosima. Il fraseggio lussureggiante, lo splendore della narrazione sonora di Thielemann da una parte, la visione minimalista e psicologica, dura, senza fronzoli e speranza di Katharina, lungi dal farsi guerra, si esaltano a vicenda.
L'opera si apre su una nave che, nel suo labirinto mobile di scale, rampe, ponteggi, piattaforme e impalcature è prima di tutto uno spazio dell'anima ispirato alle incisioni di Escher. Qui, ostinatamente ma invano trattenuti da Kurwenal e Brangäne, Tristan e Isolde si inseguono senza sosta, come bestie selvatiche, feroci, che dall'odio e dalla diffidenza, dal gioco sfuggente di negazione, ricerca, violenza, cadono infine l'uno nelle braccia dell'altra, un epilogo che, in fondo, era già nei loro primi sguardi. Quasi catatonica lei, conscia di essere stata ceduta come una merce e ingannata dopo l'omicidio di Morold, s'accende pian piano di una passione di libertà che prende prima le forme della vendetta, poi si trasforma di amore ardente, un amore che si rispecchia in lui, dapprima costretto a sfuggirvi per fedeltà all'onore, alla parola data. Il filtro è superfluo, non è che un pretesto di cui i due non hanno bisogno o, meglio, non vogliono avere bisogno, assumendosi la responsabilità dei loro sentimenti e delle loro azioni, anche a costo di conseguenze fatali. Il momento in cui le mani si toccano e il liquido è versato a terra segna un punto senza ritorno in un'opera che è come un duetto d'amore di quattro ore, in un duetto che è come un unico amplesso, dilatato, sospeso, negato, oppure vissuto, concretamente, nel gesto deliberato dei due amanti, nella sensualità prepotente, ancorché malata e presaga della musica. Quell'accordo che si rompe nel preludio e si ricompone nell'estremo epilogo rappresenta allora la rottura dell'ordine costituito ricomposta solo con la punizione estrema, con la morte del traditore Tristan e il ritorno di Isolde nella piena proprietà di Marke, il quale, molto meno benevolo e rassegnato del consueto, trascina via l'attonita consorte, spenta nell'animo ma non nel corpo.
Scesi dalla nave-labirinto, ci si aggira in uno spazio sempre più spoglio e claustrofobico, su cui si librano proiezioni di pensieri, sogni, desideri nelle luci e nell'astrazione geometrica di prismi, poligoni e, soprattutto, triangoli (emblemi di perfezione divina, ma anche di tradimento coniugali). La stessa geometria, specularmente, domina la freddezza imperturbabile del mondo di Marke, gli atteggiamenti dei suoi uomini, la strage di Kurwenal e dei suoi in un terzo atto che sembra sovrapporsi perfettamente alla conclusione del secondo, quasi l'istante della morte di Tristan trafitto da Melot, mentre Isolde è trascinata via da Marke, si amplificasse e scomponesse in una visione nell'arco di tutto l'ultimo atto, quasi il compianto sull'eroe defunto si ritorcesse continuamente su sé stesso.
Dal canto suo, nella bacchetta di Thielemann, geometria significa assoluto nitore nel ritmo, nel metro, nelle armonie, nello sviluppo dei temi, nel trasecolorare dei timbri. Tutto è preciso, definito, turgido o sottilissimo, traslucido, sempre plastico, teatrale, narrativo. Il Wagner di Thielemann si rifà al mito nel senso etimologico di racconto: racconto archetipico, assoluto, ma che deve vivere incarnato in una narrazione, non nella cristallizzazione.
L'orchestra e il coro del Festival di Bayreuth si esprimono al meglio che si possa sperare e il cast, nondimeno, risponde perfettamente alle sollecitazioni di direzione e regia.
Evelyn Herlitzius è l'artista carismatica che conosciamo, capace di far scivolare la sua Isolde dall'apatia disperata all'impulso ferino, all'estasi consapevole dell'amore e del peccato, all'astrazione trasognata, alla rassegnazione ferita fino, ancora, all'autoannullamento di ogni emozione. Stephen Gould, per contro, è un Tristan vigoroso, che si autoimpone un codice d'onore al quale trasgredisce senza venir meno a un eroico orgoglio, a costo d'apparir monolitico là dove la Herlitzius è cangiante e febbrile; non tutti i suoni, specie nel secondo atto, saranno sempre perfettamente a fuoco, ma l'energia con cui arriva, comunque, intatto all'impegno del terzo è senz'altro encomiabile.
Eccellente, sotto ogni punto di vista, la Brangäne di Christa Meyer, né le è da meno il Kurwenal di Iain Paterson. Georg Zeppenfeld è il Marke duro e sfuggente, capace di pronunciare parole formali di cordoglio e delusione di fronte a un Tristan legato e bendato sotto la minaccia del coltello di Melot, un Raimund Nolte più che mai efficace. La regia video valorizza tutti i cantanti attori, in grado di sostenere perfettamente e intensamente il primo piano.
Ottima la cura editoriale del DVD, arricchito dalle note di regia di Katharina Wagner e dalle video interviste a Thielemann e Gould. Al solito, un'unica annotazione negativa: nessuna traccia di sottotitoli in italiano, segno della scarsa considerazione del mercato nostrano nel panorama discografico internazionale. E sì che a Wagner il suono della lingua di Dante piaceva eccome.