L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vedere l'invisibile

di Roberta Pedrotti

H. Berlioz

La damnation de Faust

Antonacci, Vidal, Courjal

direttore François-Xavier Roth

Les Siècles

Choeur Marguerite Louise

Chateau de Versailles, 6 novembre 2018

DVD Chateau de Versailles spectacles - Oxymore, 2019, CVS010

La damnation de Faust, la légende dramatique in cui Berlioz riscrive Goethe per condurre il dottore all'abisso e lasciare che l'eterno femminino salvi solo se stesso, in un doppio finale di delirante pandemonium (in una lingua infernale inventata a bella posta) e sublime estasi celeste, è oggi una sfida ghiotta per i registi. Cobelli a Bologna nei primi anni '80 aveva voluto in scena Eva Robin's come ermafrodito Lucifero, una decina d'anni dopo Luca Ronconi aveva giocato sulle prospettive fantasmagoriche delle scene di Margherita Palli alla Scala e a Torino, Hugo de Ana a Parma l'aveva immersa in luci e proiezioni di sapore esoterico, negli ultimi anni Damiano Michieletto e Terry Gilliam hanno, a loro volta, riletto da par loro un'opera che non è opera, "opèra sans costumes ni décors". Non la negazione della fusione fra musica e teatro che dà origine al melodramma, ma la sublimazione della dimensione visiva in un'altra dimensione, quella di quadri, scene autonome evocate dal mito della speculazione intellettuale tentata dall'esperienza fisica. 

Di fronte a un'esecuzione in forma oratoriale ci si potrebbe chiedere quale sia la necessità di un DVD, quand'anche realizzato in uno spazio di per sé spettacolare come il teatro di corte di Versailles. Il DVD, però, ha proprio il valore di mostrare il non visibile, di esibire l'orchestra, il direttore, i cantanti nella loro sfacciata evidenza di interpreti e strumenti senza alcun mascheramento teatrale; si mostra l'opéra sans costumes ni décor quale esordì nel 1846 sotto gli occhi di Berlioz, un buon mezzo secolo prima che ci si decidesse a vestire la légende su un palcoscenico convenzionale. Ci si muove, insomma, sul crinale fra melodramma propriamente detto e le forme di ode symphonie, symphonie dramatique, oratorio sacro e profano e altri terreni di sperimentazione in fermento nella Francia della prima metà dell'Ottocento. La stessa collocazione a Versailles non è semplicemente una cornice scintillante, ma si pone in dialogo con l'opera, luogo di celebrazione e illusione suprema che associa il trompe-l'oeil del fondale dipinto al virtuosismo fantasmagorico del teatro-non-teatro di Berlioz, l'invenzione scenica d'ascendenza barocca al suo visionario rinnovamento romantico.

François-Xavier Roth è abituato ad attraversare i secoli con il suo complesso battezzato, appunto, Les siècles, ma ha una predilezione indiscutibile per Berlioz. Ci ricorda che era un giovane irruente e rivoluzionario, ma anche che la sua generazione è quella di Bellini, fra classicismo, belcanto, romanticismo, tragédie lyrique grand-opéra. L'elaborazione strumentale è in bell'evidenza, ben intellegibile in tutti  dettagli, così come l'articolazione di pannelli fra l'oratorio e il poema sinfonico, il canto sempre chiaramente sulla parola, contando sulla padronanza idiomatica di un cast che possiamo definire madrelingua. Non sarà, infatti, francese di nascita e passaporto Anna Caterina Antonacci, ma è difficile immaginare una maggiore affinità elettiva fra il suo timbro screziato, la sua musicalità e il suono della parola, il ritmo del verso, la prosodia, il senso profondo del capolavoro di Berlioz. Mathias Vidal affronta la parte di Faust con un'ammirevole souplesse, sempre naturale e limpido nell'emissione quanto chiaro nella pronuncia, ispirato da un afflato poetico e amoroso tanto delicato quanto inevitabilmente condannato al fallimento e alla dannazione. Nicolas Courjal si mostra nel suo terreno d'elezione e tratteggia a sua volta un Méphistophélès dalla misura tagliente e sapida più che titanica e istrionica, delineando la misura di un'interpretazione che non cerca le tinte forti, ma trova le tinte giuste perché lavora nella leggerezza, nell'essenzialità, nel peso della parola, del gioco del teatro invisibile ed evanescente, in un peso calibrato giustamente alla prima e non alla seconda metà dell'Ottocento. 

 


 

 

 
 
 

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