L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Attenti a quelle due

 di Alberto Spano

Katia e Marielle Labèque tornano a Bologna in un fantasmagorico concerto nel quale dimostrano tutta la loro versatilità, la loro energia e la loro musicalità sempre affilatissima e raffinata.

Bologna, 8 febbraio 2016 - Scandale è l'indovinato titolo di un recente disco Deutsche Grammophon del duo pianistico Ott-Tristano dentro al quale oltre a musiche di Rimsky-Korsakov (Scheherazade), Ravel (Valse) e Francesco Tristano (A soft shell groove) campeggia maestosa la versione pianistica a quattro mani del Sacre du printemps di Igor Stravinskij, brano che fu “scandaloso” nel 1913 e che, dopo cento anni, a quanto pare suscita ancora scandalo. Sarà stato certamente a causa del centenario, ma questa trascrizione pianistica d'autore è divenuta di gran moda, tanto da indurre nientemeno Martha Argerich e Daniel Barenboim a suonarla e inciderla al Festival di Salisburgo nell'aprile del 2014, ancora per Deutsche Grammophon. Fra i tanti possibili interpreti del capolavoro ora ultracentenario non potevano certamente mancare all'appello Katia e Marielle Labèque, le due sorelle pianiste francesi più famose al mondo, che proprio sulle note dello scandaloso Sacre son tornate nella stagione di Musica Insieme al Teatro Manzoni per un concerto da tutto esaurito. Sessantacinque anni Katia, sessantatre Marielle, le Labèque giocano ancora con commovente convinzione nel look all'effetto “sorelline scatenate” che le ha rese famose e amate. Katia sempre esplosiva nella sua incontenibile musicalità, Marielle leggermente più riflessiva e morbida, ma assieme formando un connubio di gioiosità sonora e di perfezione tecnica che non ha praticamente rivali al mondo. E nell'affrontare da appena un anno il capolavoro  che conobbe la sua prima leggendaria esecuzione con Igor Stravinskij e Claude Debussy a una sola tastiera, le Labèque scelgono giustamente di suonarla a due pianoforti e di caricare la partitura pianistica, all'origine scarna e quasi priva di segni, di fondamentali indicazioni agogiche e dinamiche desunte dalla definitiva partitura orchestrale. Una lettura esattamente all'opposto a quella quasi in bianco e nero che il duo Canino-Ballista portò in giro pionieristicamente fin dalla prima metà degli anni '70. Là colori lividi, suoni come spenti, quasi solo struttura e disegno al carboncino, qua colori e fantasmagorie para-orchestrali, nonché ritmo sfrenato e grandi differenziazioni dinamiche, dal più impercettibile pianissimo fino al fortissimo più spudorato. Non poteva essere altrimenti con le sorelle Labèque, che da molti decenni hanno letteralmente riacceso con la loro verve la fortuna del duo pianistico, spogliandolo completamente dall'originale funzione di esecuzione casalinga, sfogando in un pianismo quanto mai virtuosistico e spumeggiante, con un particolare riguardo verso il ritmo, la velocità, la perfetta sincronizzazione e le grandi accelerazioni.

Ma attenzione: dietro a questa solo apparentemente funambolica esplosività interpretativa che le contraddistingue da sempre, capace di dare nuova luce a qualsiasi partitura, anche la più conosciuta (irresistibile la loro versione della Rhapsody in blue di George Gershwin), c'è in realtà un eccezionale lavoro di bulino, uno studio sulla sonorità e sulla trasmissione del suono che richiede certamente uno studio “matto e disperatissimo”. Espletati dunque i doveri del sorriso e di tutto quel ricco armamentario di mosse e mossettine, di atteggiamenti e di ammiccamenti da dive del rock che le ha rese così diverse da qualsiasi altro duo pianistico oggi in circolazione, le sorelle Labèque si siedono alla tastiera e si immergono in una concentrazione assoluta che letteralmente ipnotizza il pubblico sulla poltrona fin quasi a commuovere. La loro è una totale immersione (anche posturale) in un mondo onirico, con i due grandi pianoforti Steinway di Fabbrini che paiono quasi smaterializzarsi sotto le loro dita in una tavolozza di colori e di suoni realmente fantasmagorica. Nel caso del Sacre ne hanno giovato principalmente le parti più sospese della seconda parte (Il sacrificio) in cui si sono ascoltate stupefacenti sonorità astratte, realizzate con un virtuosismo del tocco di inusitata levatura.

Bravissime e simpatiche le Labèque poi sono a inanellare nella seconda parte del concerto, idealmente dedicata alla propria infanzia e ai genitori, concedendosi pure a brevi ed efficaci spiegazioni in italiano. Ecco dunque la Danza Russa dal Lago dei Cigni di Čajkovskij nella geniale trascrizione di Claude Debussy, a ricordo del fatto che la bimba Marielle era indecisa fra la carriera di ballerina e quella musicale. Ecco i poco ascoltati (in Italia) Pezzi per bambini piccoli e grandi op. 85 di Robert Schumann, dalle sorelle suonatissimi nella prima infanzia anche per via dei titoli accattivanti (Danza dell'orso, Melodia del giardino, Storia di fantasmi). Seguiva, a ricordo di un'esibizione durante un lontano e freddissimo Concerto di Capodanno a Vienna davanti a più di 50 milioni di telespettatori, la delicata Pizzicato Polka di Johann e Josef Strauss, vertiginosamente dominata sopra un tappeto sonoro come soffocato nell'aria, e il valzer A Caccia op. 373 di Johann Strauss figlio. Infine due Danze Slave di Antonin Dvorak (Dumka e Furiant) e tre Danze Ungheresi di Brahms (numero 1, 20 e 5), dove Katia e Marielle superavano se stesse con alcuni indicibili rubati.

Bis altrettanto strepitosi: le ardite ma spettacolari Variazioni su un Tema di Paganini del polacco Witold Lutsoslawski e l'ultimo pezzo super minimalista dei 4 Movements di Philip Glass per due pianoforti, del 2008.


 

 

 
 
 

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