L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Šostakovič sotto assedio

  di Alberto Ponti

Oleg Caetani dirige la Sinfonia di Leningrado in una serata aperta con due rare perle di von Weber per orchestra e fagotto, solista Andrea Corsi

TORINO, 26 febbraio 2016 - Il grande pianista Sviatoslav Richter non aveva dubbi: dopo Beethoven, il massimo sinfonista della storia era il connazionale Dmitrij Šostakovič (1906-1975).

Senza avventurarsi in classifiche rischiose, non si può comunque negare al compositore russo la palma di uno tra i più geniali musicisti del Novecento. La colossale settima sinfonia in do maggiore op. 60 Leningrado (1941), che si è potuta ascoltare dall’Orchestra Sinfonica Nazionale all’Auditorium Rai di Torino giovedì 25 e venerdì 26 gennaio sotto la bacchetta di Oleg Caetani, conferma tutta la forza visionaria del suo autore.

Le circostanze in cui nacque il lavoro sono molto note. Nell’estate del 1941 l’esercito tedesco invase l’Unione Sovietica, stringendo Leningrado in un drammatico assedio che durerà fino all’inizio del 1943. Šostakovič compose in quei mesi la sinfonia per celebrare l’eroica resistenza degli abitanti della sua città natale. Diffusa mediante microfilm all’estero, la partitura ebbe un enorme e immediato successo in tutto il mondo (diretta tra gli altri da Toscanini, Kussevitzki e Mitropoulos), da leggersi soprattutto in chiave politica e antinazista, tanto da far guadagnare al compositore la copertina della rivista statunitense Time nel luglio 1942.

Caetani dirige l’opera con grande raffinatezza timbrica, perseguita a partire dalla disposizione degli strumenti, collocando nel primo movimento parte degli ottoni sul fondo del palcoscenico ad enfatizzare l’effetto stereofonico durante il celebre crescendo che irrompe dopo l’esposizione a simboleggiare l’avanzata dell’esercito nemico, secondo alcuni, o la tenacia degli assediati, secondo altri. In un lavoro che più di altri dello stesso Šostakovič presenta una struttura di stampo mahleriano, l’intera orchestra è messa a dura prova da ottanta minuti di lavoro ininterrotto. Tutti i componenti del complesso della Rai assolvono egregiamente il proprio compito, suscitando scroscianti applausi del pubblico, alla fine dell’esecuzione, alle chiamate personali del direttore.

Altro merito di Caetani consiste nel dare il dovuto risalto all’ironia a volte amara del compositore sovietico, evidente soprattutto nei passi in cui ostenta un trionfalismo di pura facciata, senza tuttavia farne l’unica chiave di lettura del suo universo musicale, come è invece accaduto spesso in passato. Questa sinfonia è infatti opera sommamente ispirata, in cui i valori musicali sovrastano ogni altra considerazione ideologica o programmatica. Ecco allora emergere con chiarezza tutte le preziosità ritmiche racchiuse nello scherzo e nell’adagio centrali, oasi tra i due roboanti tempi estremi, anche se egualmente ricchi di contrasti che la sapienza direttoriale compone in una visione unitaria, suggellata dalle analogie tematiche presenti in tutta la partitura.

Una sala non numerosa ma entusiasta ha decretato il successo dell’esecuzione da parte di un’orchestra ormai di rilievo internazionale, come dimostrano le crescenti tournée all’estero e le collaborazioni con direttori di primissimo piano.

La serata si era aperta con due gradevolissime pagine per fagotto e orchestra di Carl Maria von Weber (1786-1826): l’Andante e Rondò all’ongarese op. 35 (1813) e il concerto in fa maggiore op. 75 (1811). Composizioni sospese tra classicismo e primo romanticismo biedermeier, magistralmente interpretate da Andrea Corsi, prima parte dell’orchestra, per una sera in veste di solista.  


 

 

 
 
 

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