L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Patricia Kopatchinskaja in concerto a Bologna

La tromba e il folletto

 di Roberta Pedrotti

Nonostante la defezione di Vladimir Jurowski, sostituito da Thierry Fischer, non manca d'interessare l'appuntamento con la Chamber Orchestra of Europe per il Bologna Festival, con la presenza mercuriale di Patricia Kopatchinskaja, più affine a percorsi inconsueti che al grande concertismo sinfonico, e le suggestioni timbriche di un repertorio che procedeva a ritroso da Weinberg a Prokof'ev a Beethoven.

BOLOGNA, 8 maggio 2016 - Il nome di Vladimir Jurowski costituiva, impossibile negarlo, di per sé un'irresistibile attrattiva. Se l'attesa per l'illustre bacchetta russa è andata delusa a causa di un'indisposizione, non si può dire che il concerto della Chamber Orchestra of Europe non si sia rivelato intrigante sotto diversi punti di vista.

Il programma è variegato, nel suo viaggio a ritroso nel tempo dalla sinfonia n.10 op. 98 Trascendenza di Mieczysław Weinberg al secondo Concerto per violino e orchestra di Prokof'ev fino alla Settima Sinfonia di Beethoven, e Thierri Fischer, chiamato a sostituire Jurowski, dimostra buona tecnica, seria preparazione e duttilità stilistica all'altezza della situazione. Si apprezza così l'aroma ancora inconfondibilmente abbadiano che la Chamber Orchestra of Europe mantiene nel proprio retaggio genetico (e notizia della chiusura per mancanza di fondi della European Union Youth Orchestra, dalla cui costola la COE è nata, lascia ancor più attoniti e affranti). Si apprezza la costruzione della sinfonia di Weinberg, modernissima nel riecheggiare forme classiche e antiche (i movimenti hanno i nomi di Concerto grosso: Grave, Pastorale: Lento, Canzona: Andantino, Burlesque: Allegro molto, Inversion: L'istesso tempo) e dunque particolarmente adatta ad aprire la strada a Prokof'ev e Beethoven.

Per il capolavoro del russo troviamo come solista Patricia Kopatchinskaja, l'istrionica moldava che si rivela nel corso della serata con esiti sorprendenti. Dapprima lascia un po' perplessi, la sua personalità e la sua tecnica non sembrano trovare un'affinità elettiva con il grande repertorio concertistico sinfonico: manca la cavata, la penetrazione e l'ampiezza del suono, l'articolazione non giunge spesso incisiva come dovrebbe, l'energia si esprime in posture ed espressioni che potrebbero apparire scomposte. Poi arrivano i bis, e quell'energia si convoglia nella comunicativa di una personalità indubbiamente singolare, vivace, intrigante. Il duetto di Ravel fuori programma con l'ottimo primo violoncello della COE è gustosissimo, segue un estratto dai magnifici Kafka Fragmente di Kurtag in cui la violinista si sobbarca anche la parte vocale, versandola, è vero, più sull'ironia che sull'inquietudine, ma conquistando inesorabilmente l'uditorio con indubbio talento, spirito, intelligenza. Come certi cantanti, soprattutto sorti dal repertorio barocco, sui generis, impossibili da classificare in termini di ortodossia tecnica e rigore espressivo, la Kopatchinskaja trova la sua perfetta collocazione in percorsi originali, inconsueti, borderline, nella sperimentazione fra diversi linguaggi. Non ci si innamora della violinista immaginandola alle prese con Beethoven o Čajkovskij, ma si resta intrigati dall'artista e si attende curiosi di risentirla in un concerto ad hoc, certi di non rimanere delusi.

In una serata in cui epoche diverse s'incontrano proprio nell'esprimere un proprio suono “giusto” e peculiare, ecco che la Settima di Beethoven, magari non fraseggiata con intuizioni indimenticabili ma comunque assai ben diretta, si fa ricordare proprio per quel recupero di rapporti timbrici e acustici originali, se mai si può inseguire la chimera di una verità artistica. Di certo non la si insegue ora con strumenti in tutto e per tutto antichi, con prassi in tutto e per tutto storicamente informate, ma con l'innata, e non priva d'energia, chiarezza neoclassica degli archi a incontrare una pasta rara dei fiati, in cui spiccano le trombe naturali, che con il loro metallo particolarissimo valgono qui la perdita della superiore agilità data dai pistoni: ecco un'esuberanza antica, una brillantezza irruente, una presenza degli ottoni (ma anche la ricerca timbrica sui legni non è da meno, né sul timpano, di caratura più ridotta rispetto al modello tardoromantico) che ci propone l'impeto ritmico della Sinfonia sotto un'altra, affascinante prospettiva, rievocando equilibri e contrasti a cavallo fra i due secoli “l'un con l'altro armato”.

Riscoprire un Beethoven antico e autentico in un'esecuzione non aureolata di particolari crismi e proclami filologici è una grata sorpresa che si specchia alla perfezione con i richiami al passato della sinfonia di Weinberg. Al centro il curioso folletto del violino Patricia Kopatchinskaja, un po' sperduto nelle proporzioni di Prokof'ev, agilissimo e curioso nel suo ambiente naturale.


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