Bach nella tempesta
di Roberta Pedrotti
I tesori artistici e le insidie acustiche della chiesa di Sant'Agostino, insieme con una furiosa tempesta, fanno da cornice a una serata dedicata a Johann Sebastian Bach fra cantate e concerti, per il debutto italiano dell'Ensemble Café Zimmermann, che trae il nome del locale che ospitò il debutto di molti capolavori bachiani. Con loro il soprano Lenneke Ruiten.
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SIENA, 24 luglio 2016 - Quale che sia la via che s'imbocca per raggiungere la chiesa di Sant'Agostino a Siena, sarà una meraviglia, tanto più se vi sarà il tempo di passeggiare per gli Orti dei Tolomei e di ammirare un panorama mozzafiato sul Terzo di Città, uno dei tre rami in cui è suddiviso il centro.
La chiesa, rinnovata radicalmente dal Vanvitelli nel Settecento, ospita opere del Perugino, del Sodoma, di Ambrogio Lorenzetti e, sebbene in occasione dei concerti solo la Crocifissione del primo sia accessibile al pubblico, la visita è già di per sé gratificante e predispone all'indulgenza per l'altra faccia della medaglia, un'acustica particolarmente infida.
Nonostante le vele, indubbiamente suggestive, a sovrastare il pubblico nella navata e a far da corona agli artisti fra i transetti, le sacre mura continuano, golose e imperterrite, a far banchetto di armonici vari, rendendone in cambio altri ridondanti e riverberanti.
Così, per la serata del debutto italiano dell'Ensemble Café Zimmermann, insieme con il soprano Lenneke Ruiten, s'impone la tara di un ascolto non ottimale né per noi né per gli stessi esecutori, che con tutta probabilità hanno dovuto misurarsi con un ritorno del suono imperfetto.
Fors'anche per questo, del Concerto in re minore BWV 1052, in apertura di questo programma tutto bachiano, non si opta per la versione organistica indicata in locandina, bensì per quella con clavicembalo solista. Céline Fritsch scorre sui tasti con grazia e rapidità inseguendo l'ideale, più che di un tintinnìo argentino di corde pizzicate, di una cantabilità brillante capace perfino d'insospettabili gradazioni dinamiche. È davvero un peccato che non tutte le intenzioni di fraseggio giungano nette al pubblico e che i contorni del suono degli archi risultino un po' sfocati in quest'acustica dispettosa, ché il disegno luminoso di un Bach meno rigoroso e severo, meno denso del consueto risveglia un immediato interesse.
Per quel che concerne la parte strumentale, si trova avvantaggiato per penetrazione di suono, seppur costituzionalmente morbido e avvolgente, l'oboe d'amore solista di Emmanuel Laporte nel Concerto in la maggiore BWV 1055, che si presenta come perfettamente speculare al BWV 1052 nel presentare in un caso l'ultima trascrizione (cembalistica) di un originale violinistico perduto, nell'altro la ricostruzione di una prima stesura per lo strumento ad ancia smarrita e resa nota nella successiva versione per tastiera. Un gioco e uno scambio di timbri, astrazioni musicali e concretissime idiomaticità strumentali in cui riposa la doppia natura, speculativa e patetico sensuale, della musica di Bach; lo stesso principio in base al quale il kantor di Lipsia s'inserisce così naturalmente nel percorso chigiano dal Novecento storico ai giorni nostri, e può farlo anche in questa veste più leggiadra e meno intellettuale, la veste di concerti la cui attribuzione è stata contesa da autori italiani (e un po' di vero, comunque, c'è, ché Bach amava tenersi aggiornato sulle opere di Vivaldi e compatrioti come dei francesi, e ha lasciato cospicue trascrizioni).
Discorso simile per le due cantate sacre – entrambe di destinazione variabile – proposte con la voce sopranile di Lenneke Ruiten: la giubilante Jauchzet Gott in allen Landen! (Lodate Dio in ogni luogo!) e l'introspettiva Ich habe genug (Ho quanto mi basta), concepita inizialmente per basso come meditazione di Simeone, pronto a morire sereno dopo aver tenuto fra le braccia Gesù bambino. La prima, con le sue sezioni anche di Corale e di Recitativo di ariosa plasticità, si distingue nettamente dal più reciso, quasi operistico, incedere di Arie e Recitativo. Testi versatili, passibili di diverse riletture in occasioni differenti, così come universale è il senso del sacro che traspare da questo pathos umanissimo, una scrittura di alto virtuosismo dottrinale con il volto suadente di un canto d'intenso lirismo e luminosa espressività.
È evidente che Lenneke Ruiten s'impegni moltissimo per rendere al meglio il dettame bachiano nel suo intreccio polifonico e nella sua linea melodica e virtuosistica, è altresì indubbia la sua confidenza con questo linguaggio e questo repertorio, sicché, destreggiandosi con generosità fra le volute osannanti e il cullante procedere della berceuse, non possiamo che avere per lei parole di elogio, riservando a un ascolto più confortevole la valutazione di qualche suono che poteva essere penalizzato dall'acustica. Allo stesso modo, della tromba di Gabriele Cassone potremo lodare la precisione, benché il timbro non giungesse sempre sfavillante come ci si sarebbe aspettati per il tipo di scrittura e di affetto di Jauchzet Gott in allen Landen!. Ancora una volta avvantaggiato, in questo senso, l'oboe di Laporte, che ha buon gioco nel fondersi con la voce nel lirismo di Ich habe genug. Questa seconda parte della serata viene, peraltro, anche sferzata da un furioso temporale che abbatte su Siena tuoni, lampi e saette. Tremano, letteralmente, anche le luci artificiali nella chiesa, come intimorite dalla violenza dei bagliori che si scatenano fra le nubi fin dentro a Sant'Agostino: uno scenario suggestivo, un solenne Dies irae cui risponde senza scomporsi il conforto nell'abbandono al sonno (eterno) dell'ultima cantata bachiana. Lo scatenarsi degli elementi, a più riprese, sembrava mettere in dubbio la solidità delle stesse mura, la possibilità di portare a termine il concerto senza una sosta. Invece, impavidi, concentrati e imperterriti, Lenneke Ruiten e gli strumentisti di Café Zimmermann hanno fronteggiato la tempesta ben stretti al loro Bach, rispondendo anche ai copiosi applausi del pubblico con un bis dell'Alleluja finale da Jauchzet Gott in allen Landen!
E così, sotto una pioggia ancora sferzante, abbiamo salutato Siena dopo due giorni con contemporaneità insieme storica e attuale, remota e prossima: Stockhausen e Bach.
foto Roberto Testi