Il secolo della sinfonia classica
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia di Santa Cecilia apre la stagione cameristica con l’esecuzione di alcuni gioielli del secolo (XVIII) della sinfonia classica: tre sinfonie di Franz Joseph Haydn (19, 80 e 81) e una del poco conosciuto Joseph Martin Kraus (VB 142). Ad eseguirle il direttore Giovanni Antonini alla guida della Kammerorchester Basel, importante complesso cameristico impegnato nel Progetto “Haydn 2023”, consistente nell’esecuzione integrale delle 107 sinfonie dell’austriaco in omaggio al trecentesimo anno dalla nascita (1723). Il concerto, che ha conosciuto anche momenti di panico (siamo capitati nel bel mezzo di una scossa di terremoto, che non ha comunque minimamente deconcentrato i maestri concertatori, stoicamente devoti a Haydn), è stato un autentico successo per la qualità e il livello assoluto delle esecuzioni.
ROMA, 26 ottobre 2016 – Le sinfonie di Franz Joseph Haydn – il papà della sinfonia – sono un patrimonio inestimabile che attende ancora di essere scoperto (dal grande pubblico) nella sua interezza, anche per comprenderne l’incredibile valore storico e formale: Haydn, lontano da una circolazione di massa, è stato di capillare importanza nella storia della musica proprio per la canonizzazione strutturale della sinfonia. L’apertura della stagione cameristica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia non poteva che avvenire sotto il segno del più brillante classicismo.
Il presente concerto è un momento del Progetto “Haydn 2032” che si prefigge di mandare a incisione, con strumenti d’epoca e orchestre cameristiche per cui Haydn stesso aveva composto la sua musica, l’integrale ciclo delle sinfonie, affinché si disponga di un nuovo ciclo coerente e filologicamente curato – la più celebre delle incisioni complessive delle sinfonie haydniane è quella DECCA, anni ’70, dell’Orchestra filarmonica ungherese sotto la bacchetta di Antal Doráti; importanti sono anche le incisioni di un’antologia di sinfonie da parte di Bernstein. Il progetto, iniziato nel 2014, prende il nome dall’anno in cui si celebrerà il trecentesimo anniversario della nascita di Haydn: nel 2023 gli sforzi congiunti della Kammerorchester Basel e del Giardino Armonico avranno fine, completando l’incisione delle 107 sinfonie del ‘papà’ della sinfonia. Direttore e promotore del progetto è Giovanni Antonini, sotto la cui direzione la Kammerorchester Basel s’è esibita nel concerto romano.
La serata ha previsto l’esecuzione di tre sinfonie di Haydn (nn. 19, 80 e 81) e di una di Joseph Martin Kraus, il ‘Mozart di Odenwald’, stimato dallo stesso Haydn come un genio della musica e ingiustamente obliato dalla storia. La più giovane delle tre sinfonie, la Sinfonia in re maggiore Hob. I n. 19, palesa tutta la brillantezza assieme a germi della ricerca sofisticata che Haydn stava portando avanti nel rivoluzionare l’impianto della sinfonia. La Kammerorchester si lascia ampiamente apprezzare per la pulizia dell’esecuzione, lo smalto brillante del suono di tutti gli strumenti, la chirurgica precisione delle entrate delle compagini strumentali e l’estrema tornitura e pulizia sonora. L’amalgama sonoro sgorga felice: Antonini ne è il garante. Le altre due sinfonie (tra le ultime opere per la corte della casata Eszterházy) rispecchiano una maturazione più profonda: del resto Haydn stava operando «un appassionato lavoro per allargare gli orizzonti della forma, attraverso l’uso dei ritmi più incisivi, di condotte armoniche più audaci, di maggiori contrasti espressivi» (G. Cerasoli, dal programma di sala). La Sinfonia in re minore Hob. I n. 80 stupisce per la ricchezza dei contrasti: l’incastro di coreutiche gemme nell’insolitamente drammatico Allegro spiritoso (I), la levigatezza, pur non esente da contrasti, dell’Adagio (II), l’accentuazione vispa del Minuetto (III) e, infine, i guizzi del Finale (IV) sono caratteristiche inconfondibili della scrittura dell’austriaco. La Kammerorchester dà il meglio di sé: i musicisti – quasi tutti in piedi – sono protesi nell’esecuzione più esatta e al contempo naturale possibile della partitura, regalandoci un’esperienza che ha del viaggio nel tempo, in luoghi che non esistono più e di cui può ricostruirsi, invero plasticamente, solo la musica. Del pari seducente, smagliante è l’esecuzione della Sinfonia in sol maggiore Hob. I n. 81: se il Vivace (I) ci fa gustare lo svolgersi di volumi sonori di differente intensità, l’Andante (II) è rasserenante, il Minuetto: Allegretto (III) di classica compostezza e il Finale (IV) di lucente vivacità. Fra il primo e il secondo tempo Antonini ha previsto l’inserto della Sinfonia in do minore VB 142 di Kraus – poco conosciuto, «immeritatamente relegato nell’ombra» (Cerasoli), benché ragguardevole e importante nell’evoluzione storica dello stile sinfonico – che fu Kappelmeister di Gustavo III di Svezia, affascinante sovrano illuminato e mecenate (sì quel Gustavo: che si alterna con Renato ne Un ballo in maschera verdiano), che gli permise di viaggiare e formarsi in tutta Europa. La composizione, di cui si apprezzano soprattutto le bruniture e le mezze tinte (insolito l’uso esteso di tonalità minori, certamente preromantiche), è magnificamente eseguita dalla Kammerorchester Basel: stupisce ancor oggi l’inconsueta drammaticità dell’incipit, fatta di notevoli contrasti a campiture nette. Persino l’Andante (II) ha movimenti decisi e per nulla scontati; né questa tensione serpeggiante s’attenua nell’Allegro assai (III).
Proprio durante il primo tempo del concerto, la sala Sinopoli dell’Auditorium ha cominciato a tremare, mettendo in allarme tutti i presenti: stoicamente, i musicisti hanno continuato a suonare la sinfonia 81 di Haydn senza perdere aderenza nell’agogica o scomporsi minimamente. Chissà se ora, riandandoci con la mente, gli si bagna ancora la fronte di sudore; o se, forse, dalla grande concentrazione non se ne sono nemmeno accorti. I sedili, le mura, i lampadari hanno tremato: la magia della musica è stata quella di far rimanere comunque composti tutti, nel rispetto degli esecutori e della palpabile emozione del concerto.