L’eccellenza argentina
di Pietro Gandetto
Grande apertura della trentacinquesima stagione della Filarmonica della Scala. La diarchìa argentina Argerich-Barenboim infiamma la platea con il concerto n. 1 di Beethoven e la Settima Sinfonia di Bruckner.
Milano, 7 novembre 2016 - La Filarmonica della Scala apre la stagione con un grande successo. Dopo 20 anni di assenza, ritorna al Piermarini la regina del pianoforte, Marta Argerich, in coreggenza con un altro re della tastiera e della direzione, Daniel Barenboim, a due anni dalla cessazione del suo mandato come direttore musicale della Scala. Il programma prevede il primo Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven e la settima Sinfonia di Bruckner.
Inutile dirlo, un grande trionfo per la compagine milanese fondata nel 1982 da Claudio Abbado, con l’importante ruolo di ambasciatrice di Milano nel mondo all’insegna della divulgazione culturale e dell’attenzione al sociale. Oltre seicento i concerti e i numerosissimi impegni all’estero, intensificatisi dopo la nomina del Maestro Chailly quale direttore principale. Altrettanto numerosi gli impegni nel sociale come le Prove Aperte destinate al no profit, le Borse di Studio per i giovani talenti, e il concerto gratuito che ogni anno si svolge in Piazza Duomo, dove proprio Martha Argerich ha incantato il pubblico milanese lo scorso 12 giugno (leggi la recensione).
L’attesa è forte, l’aria è elettrica, da 7 dicembre. E ovviamente le attenzioni sono tutte per Martha Argerich e Daniel Barenboim. Quasi coetanei, argentini entrambi di Buenos Aires, i due grandi artisti entrano sul palco accompagnati da scrocianti applausi.
Martha Argerich fa il suo ingresso in scena da anti-diva qual è, con un incedere che tradisce la sua proverbiale ansia da prestazione e quella semplicità che è prerogativa dei veri grandi. Ma, come sempre, quando Martha è in scena, gli altri non esistono più. Non esiste alcun sentimentalismo, ma una naturale emotività che si esprime attraverso la musica e che nella musica trova la sua massima realizzazione. Sorprendenti il controllo della tecnica, la fluidità dell'articolazione e quella capacità inimitabile di caratterizzare ogni nota, frase o passaggio con un’accentuazione e un senso ritmico che non hanno eguali.
La serata si apre con il Concerto n. 1 in do maggiore di Beethoven, quello stesso concerto con cui la pianista argentina debuttò, a 8 anni, nel lontano 1950. Sul palco, la sintesi di circa settanta anni di carriera condensata in un’ora di musica. I due temi principali del primo movimento passano dall’orchestra al pianoforte senza soluzione di continuità e con una perfetta sintonia d’intenti. Il meglio però arriva nel largo in la bemolle maggiore. Le ampie frasi melodiche sono affrescate dalla pianista argentina con il consueto e commuovente lirismo. Un dialogo costante con l’orchestra, uno scambio di piccole frasi, di dolci accenni (anche visivi), per rinforzarsi qua e là in brevi sussulti di vigore che ridanno dinamismo alla melodia beethoveniana, nitida anche nelle sue transizioni tonali tra minore e maggiore. Il Concerto si chiude con il Rondò seguito dall’Allegro scherzando. La Filarmonica dà il meglio di sé ricreando quell'atmosfera vagamente popolare caratterizzata dal ritmo sincopato che richiama la spensieratezza del gioco e della danza, forse un'eco della vita più semplice vissuta dal compositore a Bonn.
Ciliegina sulla torta, il Rondò in la maggiore di Schubert eseguito a quattro mani come bis dalla coppia argentina. Emozionante simbiosi tra i due giganti della tastiera che eseguono il brano con la stessa complicità con cui probabilmente suonavano da ragazzi a Buenos Aires. Il pubblico incantato avrebbe voluto sentire qualcosa in più, ma non è stato possibile.
Tutt’altra atmosfera con la Sinfonia n. 7 di Brukner, che porta nel cuore il nome di Wagner, non solo perché morì mentre fu composta, ma perché riproduce quelle melodie infinite così tipicamente wagneriane. Quando Luchino Visconti la scelse come colonna sonora dell’indimenticabile Senso, probabilmente seppe scorgerne in nuce l’essenza così sofferente, quel palpito sotterraneo che mina alla struttura della sua apparente monumentalità.
Di Baremboim segnaliamo il gesto profondo, ampio, di una gravità imponente, che disegna linee nello spazio quasi per conquistarlo e ottiene una pasta orchestrale di rara densità. Al direttore va il merito di aver saputo esprimere quel nervosismo sottocutaneo di Bruckner, pronto a scattare quando meno ce lo si aspetta, con la struggente e gaia malinconia tipica di chi sta per scoppiare in lacrime. Una direzione che sembra una prima lettura, ma così tremendamente musicale, incredibilmente espressiva, e drammaticamente coinvolgente.
Una grande apertura per una stagione che promette sorprese. Tutto sold out, platea e loggione straripanti di applausi.
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foto Silvia Lelli