Per l'Italia Rossini val più di un generale
di Gabriele Cesaretti
Giovanni Gavazzeni, Armando Torno e Carlo Vitali
O mia patria
Dalai Editore, 2011
ISBN-10: 8866202568 ISBN-13: 9788866202561 Pagine 335
L’Italia è un paese strano, che ha bisogno di continue iniezioni di memoria per ricordare quello che è stato il suo passato e quelle che sono state le sue origini. Le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, avvenute in un clima economico di estrema incertezza e in un clima politico sul quale tacere è bello, sono ritornate sul ferro sempre caldo del Risorgimento e, in particolare, sulla musica che accompagnò la progressiva unificazione territoriale e geografica della penisola: tra i contributi pubblicati cavalcando l’onda dell’evento ho trovato particolarmente interessante O mia patria, volume a otto mani edito dalla Baldini Castoldi Dalai. Scrivo otto mani perché la prefazione di Philip Gossett è molto più che una semplice introduzione all’argomento (la musica popolare nel Risorgimento) ma si configura come una interessantissima piccola storia dei canti ottocenteschi, da leggere magari tenendo nel lettore un cd come Fratelli d’Italia, che gli stessi canti raccoglie in una completa antologia. Il centro del volume è nella storia del melodramma risorgimentale presentata in maniera agile, ma completa, da Giovanni Gavazzeni: pur limitandosi ai quattro grandi autori del canone ottocentesco italiano, Gavazzeni si permette una trattazione a metà tra il saggio storico e la musicologia, non perdendo mai di vista l’obiettivo del libro, ovvero dimostrare che (sono parole sue) “è nel mondo dell’opera [...] che gli italiani, nonostante le sforbiciate censorie, si conquistavano faticosamente uno spazio di discussione che altrove languiva“. Una tesi condivibilissima, che viene esposta con rigore e completezza in un viaggio tra i capolavori di Rossini, Bellini, Donizetti e, immancabilmente, Verdi. All’analisi di Gavazzeni segue un interessante percorso socio-economico (significativamente intitolato Opera, affare di stato) a cura di Carlo Vitali (che firma anche un agile prospetto sinottico finale), in cui trovano spazio rimandi alle abitudini musicali della famiglia Leopardi e interessanti considerazioni sulla censura del XIX secolo. Il volume si chiude con Armando Torno che, nel capitolo finale, affronta l’affascinante figura di Pietro Maroncelli, patriota musicista e, secondo Torno, “il meno provinciale dei patrioti in un’Italia che riuscì ad esserlo completamente” e nella cui vita senza produzione musicale “si incarna e riflette il dramma culturale di un’epoca tutta italiana”.
Il lavoro è documentatissimo e l’unico refuso presente riguarda il Maometto II di Rossini che, a p. 239, viene definito da Vitali “ricavato da una tragedia di Voltaire” quando in realtà sappiamo essere originario dal dramma Anna Erizio di Cesare Della Valle, duca di Ventignano (ispirato all’Historia Turchesca di Angiolello), che lavorò contemporaneamente alla tragedia e al libretto per il compositore pesarese.
L’aspetto più interessante del libro è la cura degli autori nel mantenere lo stile scevro da retoriche fuori luogo, segnalandosi per l’attenzione all’aspetto sociologico del melodramma, visto come spazio di discussione e di dibattito, ma anche di sperimentazione per valori politici e morali fondanti della nascente società borghese. Il volume offre, come è ovvio, una trattazione molto più ampia della materia rispetto all’agilissimo Chi per la patria muor / Alma sì rea non ha di Francesco Cento (che pure tratta praticamente i medesimi argomenti, con l’eccezione dell’aspetto socio-economico del saggio di Vitali) ma non è necessario essere melomani e specialisti per poterlo apprezzare, dato che lo stile è divulgativo e accessibile anche ai non appassionati che, anzi, potrebbero tranquillamente trovare spunti di approfondimento e di riflessione nei confronti di un genere, l’opera lirica, che sembriamo aver dimenticato come patrimonio della nostra cultura. A questo proposito è particolarmente interessante il paragrafo conclusivo del saggio di Vitali, in cui vengono messe a confronto la celebre riflessione mazziniana sulla scuola musicale europea che sarebbe dovuta nascere dall’Italia e l’altrettanto famosa domanda retorica di Massimo D’Azeglio se sia meglio, per uno Stato minacciato, poter disporre di un mediocre generale o di Rossini. Scrive Vitali:
Meglio la fredda concretezza di chi vede nella musica solo un genere di consumo o la visionaria audacia di chi vuol farne uno strumento di sviluppo morale, sociale e magari economico? L’interrogativo è aperto ancor oggi.
L’interrogativo, anzi, è aperto soprattutto oggi e non viene sminuito dall’ipotesi di Torno che, nel definire la figura di Maroncelli esemplare per definire il clima dell’epoca, nota che “sotto l’aspetto delle note, questo periodo ebbe più contributi popolari che non capolavori nei teatri”. Il XIX secolo è stato forse parco di opere “create appositamente per immortalare l’epopea patria” ma è indubbio che il teatro lirico, come viene dimostrato nelle oltre 300 pagine di O mia patria, fosse lo spazio in cui più vive erano la libertà di dibattito e discussione. Un libro molto interessante, quindi, questo “O mia patria”, soprattutto utile per riappropriarsi di un patrimonio storico – musicale di incalcolabile valore e da cui è bene anche sfrondare buona parte della retorica che vi si è depositata: in fondo gli anniversari servono anche a questo, no?
La prima e la terza di copertina – Nell’anno del 150° dell’Unità, molto è stato scritto sui patrioti, i grandi protagonisti della politica e la conquista dell’identità nazionale. Resta un ambito poco esplorato, tuttavia, che può dirci molto su come si sono "fatti" gli italiani nel cinquantennio che precedette l’Unità. È il variegato mondo della musica in senso lato, che non si esaurisce nel melodramma e i suoi titani – con le loro sfumature di patriottismo, da Verdi padre musicale della Patria, a Rossini super partes, a Donizetti osteggiato dalla censura suo malgrado – ma è assai interessante, per capire il clima dell’epoca, nei rapporti tra librettisti e censori, più tolleranti prima del 1848, spietati dopo, una volta compresa l’enorme influenza dell’opera sugli animi. E tra pubblico e potere politico. La lotta allo straniero si consumava nei teatri in molti modi, e registrava piccoli episodi dimenticati di eroismo: come i casi di celebri stelle incarcerate per aver inserito la parola «libertà» in un’aria, o che foraggiavano esuli indigenti. I testi, poi, si prestavano a esplicite sostituzioni. Così "Si ridesti il leon di Castiglia" dall’Ernani di Verdi, a Venezia nel ’48 diventava "Leon di San Marco". Anche il cinema, con Senso di Visconti, ci ricorda come nel 1866, in una Venezia ancora occupata, l’invito di Manrico a prendere le armi nella famosa "Pira" del Trovatore scatenasse il pubblico della Fenice in una dimostrazione contro gli austriaci, coperti di volantini e fiori tricolori, al grido di "Viva l’Italia!".Ma al di là della mitologia risorgimentale, costruita e imposta nel periodo post unitario, esiste anche un corpus di inni popolari, cancellati dalla storia ma che si vanno riscoprendo, e di cui ci offre un profilo la prefazione di Philip Gossett. Versi per cui i nostri antenati si immolavano. La musica, dunque, è stata il grande veicolo degli ideali patriottici, costituendo una vera storia non scritta del Risorgimento, ancora in parte da esplorare.
La quarta di copertina – Non è un paradosso: il Risorgimento si identifica nel canto. Cantavano tutti. Cantava Garibaldi, fino agli ultimi giorni nel ritiro di Caprera, arie di Verdi e Donizetti. Cantava Mazzini, il quale, racconta Aurelio Saffi, amava accompagnarsi con la chitarra, nella solitudine delle notti e nei rari momenti di riposo durante le tumultuose giornate della Repubblica Romana. Non si cantava soltanto nei salotti liberali dove si faceva musica o fra i cospiratori. Altrove personaggi insospettabili cedevano alle delizie del melos come il Pontefice che “non volendo, fece l’Italia”, Pio IX. La musica però non fu un momento circoscritto all’educazione delle classi alto borghesi e aristocratiche. Ebbe nella sostanza, un peso determinante nella diffusione delle idee unitarie soprattutto nelle classi medie e popolari.