L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Javier Camarena nei Puritani

Il canto, soprattutto

 di Luis Gutierrez

Debutto di Javier Camarena nel ruolo simbolo del belcanto romantico primottocentesco. Il suo Arturo non delude le aspettative riposte in uno dei più grandi, se non il più grande, tenore in attività in questo repertorio. Tutta l'esecuzione risulta nel complesso musicalmente convincente, pur fra alti e bassi, mentre decisamente carente la messa in scena.

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Città del Messico, 22 maggio 2016 - Nonostante il soggetto e il libretto, questa è stata una delle opere più popolari nel suo genere. Lo stesso Bellini ebbe uno sbotto memorabile nell'esplicare al librettista Carlo Pepoli la sua filosofia:  “scolpisci nella tua testa a lettere adamantine: il dramma per musica deve far piangere, inorridire, morire cantando”. Anche dopo il trionfo indiscusso dell'opera, il compositore continuava a deplorare il modo in cui forti situazioni teatrali erano state compromesse dalla povertà dei dialoghi, ritenuti stupidi, ripetitivi, banali.

Per quanto riguarda l'altro elemento dell'opera, cioè per la musica, Bellini poté contare su Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini e Luigi Lablache, che costituivano una delle più sfavillanti compagnie di canto che abbia mai avuto a disposizione un teatro d'opera; ancor oggi sono ricordati come il "quartetto dei Puritani" giacché nessun'altra opera in cui si esibirono insieme fu così perfettamente modellata sui loro talenti peculiari, né causò un trionfo tanto delirante. Dopo la première, Bellini apportò qualche taglio alla partitura perché la durata non risultasse eccessiva a causa di quell'entusiasmo e della richiesta insistente di bis. Fin dalle prove, l'effetto della stretta "Suoni la tromba" fu così grande che si decise di farne un finale; ciò fece sì che il secondo atto fosse diviso in due, con la scena di pazzia di Elvira – "O rendetemi la speme" –, che in origine seguiva il duetto, collocata nella posizione che occupa oggi per evitare che la frenesia provocata da "Suoni la tromba" le contendesse l'attenzione che, secondo Bellini, le spettava.

A mio parere questa è un'opera che si allestisce e riallestisce in quasi tutto il mondo essenzialmente per le sue qualità musicali, o per la presenza di un cantante in particolare.

Nel caso cui mi riferisco, quel cantante è stato Javier Camarena, uno dei migliori tenori belcantisti attuali, se non il migliore. Ha cantato Arturo, uno dei ruoli realmente mitici per un tenore, con una eleganza sbalorditiva e grande sicurezza negli acuti, il Do sostenuto nella sua sortita "A te, o cara, amor talora", il Re nel duetto con Elvira, "Vieni fra queste braccia" e nel Finale ultimo. Camarena ha compiuto un debutto difficile da scordare per il pubblico del Palacio de Bellas Artes e sono convinto che in brevissimo eleverà questo ruolo al medesimo livello di molti altri del suo repertorio.

Leticia de Altamirano, a sua volta, cantava per la prima volta il ruolo diabolicamente bello e difficile di Elvira. Direi che lo ha fatto molto bene. Possiede un registro acuto spettacolare, benché la coloratura sia migliorabile, cosa che penso potrà risolvere facilmente. Quel che mi è parso disomogeneo è stato il volume della voce, che non spinge mai e che, tuttavia, arriva talora quasi a spegnersi. Ha reso con grazia il passaggio dalla fanciulla scherzosa di "Son vergin vezzosa" al delirio di "Qui la voce sua soave … Vien, diletto, è in ciel la luna". Di certo, se può reggere serenamente altre quattro recite così impegnative in una sola settimana, migliorerà notevolmente nell'ultima.

Il giovane baritono Armando Piña ha fatto il suo esordio al Palacio de Bellas Artes come Riccardo. Ha cantato molto bene la sua parte, in particolare la sua strofa nel finale, "Quel suon funereo", in cui compatisce la morte imminente di Arturo. A volte si può confondere nel classificare una voce alle prese con uno stile poco praticato o poco congeniale; a mio parre Piña, che vanta buona intonazione e buona gestione delle dinamiche, migliorerà e troverà presto la sua collocazione nel magnifico registro baritonale. E lo stile non è uno scherzo:  Alberich, Don Alfonso, il Conte di Luna e Falstaff son baritoni e, a dire il vero, ruoli del tutto diversi musicalmente parlando.

Il punto debole della recita era costituito dal Giorgio di Rosendo Flores. Tuttavia, ricordo che è stato uno dei migliori se non il migliore basso messicano degli ultimi tempi, per cui mi ha sorpreso la vocalità soffocata, a tratti inudibile e del tutto priva di carattere. "Suoni la tromba" è uno di quei brani che normalmente si ripetono, ma in questa occasione nemmeno la claque più furiosa, se ne esiste alle Bellas Artes, avrebbe potuto sostenere la richiesta di un bis.

Isabel Stüber come Enrichetta, Edgar Gutiérrez come Bruno e José Luis Reynoso come Gualtiero hanno assolto onorevolmente ai rispettivi compiti.

Srba Dinic si è distinto dirigiendo i complessi del Teatro de Bellas Artes. Non lo si può incolpare della prova spaventosa del corno solista e delle stonature del flautista, scomparse per qualche anno e tornate con maggior forza. L'equilibrio fra buca e palcoscenico è stato sempre ottimo, a mio parere. Nemmeno lo incolpo della prova del coro, regredito ai vecchi tempi. Fin dall'inizio sono stati evidenti attacchi fuori tempo e problemi d'intonazione; i suggeritori guidavano ad alta voce il coro in pagine che ignorava completamente, il che è una pena. Se le Bellas Artes presentano quattro o cinque titoli all'anno e il coro non ne impara uno, è plausibile che ci sia del marcio non solo in Danimarca.

Non so se il regista Ragnar Conde ha avuto un'idea, per lo meno non l'ho intesa. Luis Manuel Aguilar ha disegnato un castello in rovina che è stato l'unico elemento scenico di tutta l'opera. I costumi, di Brisa Alonso, hanno provveduto a dividere i puritani in varie classi perfettamente differenziate. Di lusso - per così dire - la classe elevata, in uniforme i soldati e tutti gli altri - suppongo servi e contadini principalmente - con abiti di toni chiari, senza toccare gli incarnati rossastri. Sapevo che i puritani, soprattutto d'alto rango, si vestivano sobriamente.

Quel che, in realtà, ho trovato più carente sono state le luci; all'improvviso un tavolino si vedeva illuminato da un gran riflettore mentre i volti dei cantanti scomparivano. Di fatto, è stato notevole come Riccardo si spostasse costantemente alla ricerca della luce. Un altro aspetto molto negativo è stato la gestione dei movimenti sulla scena. per esempio, un membro del coro, u soldato di fatto, stava cercando di trafiggere con la sua spada Arturo inginocchiato, che dall'altro lato era minacciato da un carnefice che brandiva un attrezzo più simile a un'alabarda che a una scure.

I puritani è un dramma musicale in cui la musica brilla maestosa al di sopra del dramma, sicchè in questa occasione può ben affermarsi prima la musica, poi le parole. La messa in scena, povera d'idee e risorse, ha inconsciamente contribuito al raggiungimento di questo obbiettivo, cioè presentare un'ottima, per quanto alterna, esecuzione musicale, nonostante qualche evidente difetto di alcuni cantanti.

foto © Ana Lourdes Herrera © Opera de Bellas Artes


El canto, sobre todo

 por Luis Gutierrez

Debut por Javier Camarena, uno de los mejores tenores belcantistas de la actualidad si no el mejor, en el papel de Arturo, una de los roles realmente fabulosos para su registro. Tutta l'esecuzione risulta nel complesso musicalmente convincente, pur fra alti e bassi, mentre decisamente carente la messa in scena. I puritani es un drama musical en el que la música de brilla majestuosamente sobre el drama, por lo que en esta ocasión puede afirmarse prima la musica, poi le parole. La producción, pobre en ideas y en recursos, colaboró inconscientemente al logro del objetivo, es decir presentar una muy buena aunque algo desigual función musical, pese a los defectos patentes de algunos cantantes.

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Ciutad de Mexico, 22 de mayo 2016 - Esta ópera ha sido una de las obras más populares del género, a pesar de su argumento y libreto. El mismo Bellini explotó memorablemente cuando explicó drásticamente su filosofía a Carlo Pepoli, el libretista, “grava en tu cabeza dura; el drama musical debe hacer llorar, inspirar terror, hacer que la gente muera, a través del canto”. Aún después del triunfo inobjetable de la ópera, el compositor continuaba deplorando la forma en que las fuertes situaciones teatrales fueron socavadas por el diálogo pobre, “los lugares comunes repetitivos y a veces giros estúpidos”.

En el otro elemento de la obra, es decir en la música, Bellini contó con Giulia Grisi, Giovanni Battista Rubini, Antonio Tamburini y Luigi Lablache, quienes formaban uno de los más grandes conjuntos de cantantes que haya tenido una casa de ópera; a la fecha se les recuerda como el “cuarteto Puritani” ya que ninguna de las otras óperas en las que cantaron juntos fue tan perfectamente hecha a la medida de sus talentos peculiares, o causó un triunfo tan delirante. Después de la premier, Bellini tuvo que hacer cortes a la ópera para que no se alargara en exceso, motivado por el entusiasmo y la insistente exigencia de “bises”. Desde los ensayos, el efecto del dueto ‘Suoni la tromba’ fue tan grande, que se decidió convertirlo en un finale; esto hizo que el segundo acto se dividiese en dos, por lo que la escena de la locura de Elvira –la escena y aria ‘O rendetemi la speme’– que seguía originalmente al dueto, se colocó en el lugar en la que hoy tiene para evitar que el frenesí que provocaría ‘Suoni la tromba’ le quistase la atención que Bellini consideraba debía dársele.

En mi opinión, esta es una ópera que se pone y repone en casi todo el mundo debido esencialmente a sus cualidades musicales, o bien a la presencia de un cantante en particular.

En el caso que me ocupa, el cantante fue Javier Camarena, quien es uno de los mejores tenores belcantistas de la actualidad, si no es que el mejor. Javier Camarena cantó el Arturo, una de los roles realmente fabulosos para un tenor, con una elegancia asombrosa y mostrando una gran seguridad al colocar las notas altas, es decir un do sostenido en su primera aparición sobre el escenario, ‘A te, o cara, amor talora’, un Re en el dueto con Elvira, ‘Vieni fra queste braccia’, y otro en el último finale. Camarena hizo un rol debut que los asistentes al Palacio de Bellas Artes no olvidaremos en mucho tiempo y estoy convencido que en muy poco tiempo llevará este papel a las mismos niveles de calidad que ha dado a muchos otros roles.

Leticia de Altamirano también debutó en el endiabladamente difícil y bello papel de Elvira. Yo diría que lo hizo muy bien. Tiene un registro agudo espectacular aunque su coloratura es mejorable, lo que creo puede hacer en poco tiempo. Lo que me pareció desigual fue el volumen de su voz, nunca empujándola, pero sí apagándola por momentos. Comunicó con gracia el transcurso de la niña juguetona en ‘Son vergin vezzosa’ a la demencial ‘Qui la voce sua soave … Vien, diletto, è in ciel la luna’. Es seguro que, si puede sortear con salud otras cuatro funciones tan demandantes en sólo una semana, mejorará notablemente en la última de la serie.

El joven barítono Armando Piña hizo su debut absoluto en Bellas Artes como Riccardo. Estuvo bien al cantar su parte, especialmente en su última estrofa  ‘Quel suon funereo’, en la que se compadece de la muerte inminente de Arturo. Hay veces que uno puede confundirse al calificar una voz por acercarse a un estilo poco practicado o desfavorable para un cantante; en mi opinión Piña, quien tiene buena entonación y maneja bien la dinámica de su voz mejorará y encontrará muy pronto su lugar en la bellísima cuerda de barítono. Y lo de estilos no es broma, Alberich, Don Alfonso, Di Luna y Falstaff son barítonos y a decir verdad son papeles totalmente disparatados musicalmente hablando.

El eslabón débil de la función fue el Giorgio de Rosendo Flores. Todavía considero que ha sido uno de los mejores, si no el mejor, bajos mexicanos del arte lírico en los últimos años, por lo que me sorprendió su voz apagada, inaudible en momentos y totalmente sin carácter. ‘Suoni la tromba’ es uno de los números que normalmente se repiten pero en esta ocasión ni la claque más furiosa, si existiera en Bellas Artes, hubiera logrado la petición de bis.

Isabel Stüber como Enrichetta, Edgar Gutiérrez como Bruno y José Luis Reynoso como Gualtiero tuvieron un desempeño adecuado.

Srba Dinic tuvo una actuación destacada dirigiendo a la orquesta y al coro del Teatro de Bellas Artes. No se le puede culpar del trabajo espantoso del corno solista y de las desafinaciones del flautista, que habían desaparecido unos años, pero que regresaron con mayor fuerza. El balance entre la orquesta y los solistas siempre fue óptimo, en mi opinión. Tampoco tuvo culpa del desempeño del coro que regresó inexplicablemente a su viejo ser. Desde el principio fueron notables las entradas a destiempo y las desafinaciones; los apuntadores gritaban cuando guiaban al coro a lo largo de una pieza que desconocía cabalmente, lo que es una pena. Si Bellas Artes presenta cuatro o cinco títulos al año y el coro no se aprende uno de ellos, es plausible pensar que algo está podrido en algún lugar diferente a Dinamarca.

No sé si el regista Ragnar Conde tuvo un concepto, por lo menos no lo entendí. Luis Manuel Aguilar diseñó un castillo en ruinas que fue el único elemento escenográfico durante toda la ópera. El vestuario, diseñado por Brisa Alonso se encargó de dividir a los puritanos en varias clases sociales perfectamente diferenciadas. De lujo –es un decir– la clase alta, de uniforme los soldados y todo el resto, supongo siervos y campesinos principalmente, con vestimenta esencialmente de tonos claros, sin faltar los rojos encarnados. Entiendo que los puritanos, especialmente los de alto rango, se vestían sobriamente. Lo que en realidad estuvo muy mal fue la iluminación; de pronto una mesita se veía iluminada por un gran reflector en tanto que la cara de los cantantes no se veía. De hecho fue notable como Riccardo buscaba continuamente colocarse donde tuviese luz. Otro aspecto muy negativo fue el cuidado de los movimientos en el escenario. Por ejemplo, un miembro del coro, un soldado de hecho, estuvo tratando de ensartar con su espada a Arturo arrodillado, quien por el otro lado se veía amenazado por el verdugo que blandía un instrumento más parecido a una alabarda que a un hacha.

I puritani es un drama musical en el que la música de brilla majestuosamente sobre el drama, por lo que en esta ocasión puede afirmarse prima la musica, poi le parole. La producción, pobre en ideas y en recursos, colaboró inconscientemente al logro del objetivo, es decir presentar una muy buena aunque algo desigual función musical, pese a los defectos patentes de algunos cantantes.

foto © Ana Lourdes Herrera © Opera de Bellas Artes


 

 

 
 
 

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