Opera coreografica
di Stefano Ceccarelli
Il Costanzi riapre, dopo la pausa estiva, le porte: la rara Dido and Aeneas di Henry Purcell torna a Roma nell’allestimento rodato della regista/coreografa Sasha Waltz. Fondamentalmente imperniato sul linguaggio della danza – essendo questo l'ambito della Waltz –, questa versione di Dido and Aeneas viene in parte ricostruita musicalmente da Attilio Cremonesi e viene dotata di un prologo che – presente nell’originale – è ancor oggi sconosciuto nella sua facies primigenia. Il linguaggio coreografico/registico è sostanzialmente basato su una corrente interpretazione della produzione barocca: scene minimaliste, altissimo sperimentalismo, forte ‘metaforizzazione’ della vicenda, continui slittamenti cronologici e alta rarefazione di alcune scene. Il risultato è complessivamente buono e riporta non pochi elementi di originalità in un panorama di linguaggi che s’è oramai votato – paradossalmente – alla standardizzazione dell’eccesso tout court: non è barocco se non è eccesso! Christopher Moulds dirige bene l’orchestra dell’Akademie für Alte Musik di Berlino il coro berlinese Vocalconsort. Lo spettacolo è molto applaudito.
ROMA, 18 settembre 2016 – Dopo tre anni torna all’Opera di Roma il capolavoro operistico di Henry Purcell (l’unica opera lirica da lui scritta, per la verità), con un approccio registico totalmente differente rispetto a quello goduto nell’appartata palestra orientale delle Terme di Caracalla, quinta scenica d’eccezione per l’allestimento della Muti del 2013.
La coreografa Sasha Waltz ha creato, oramai più di dieci anni fa (2005), una versione di Dido and Aeneas che – già vista in Italia a Ferrara (2006) – viene ora riproposta al Teatro dell’Opera di Roma. La concezione dello spettacolo è certo assai singolare, per più ragioni innovativa, ma certo non avulsa dall’attuale tradizione esecutiva barocca, anzi à la page con una concezione dell’esecuzione musicale barocca come palestra di sperimentazioni, talora sfocianti in un’eccessiva retorica dell’assurdo. La Waltz, però, non impone al suo pubblico un credo quia absurdum, motivo di tanti apprezzamenti di un discreto stuolo di critici, e vanto delle regie nordiche: anzi si ricollega, nella sua idea di «opera coreografica» (come lei stessa la definisce), a ben note radici inglesi della pratica teatrale, primo fra tutti il masque che aveva nel balletto il suo linguaggio prediletto e di cui Dido and Aeneas, come opera eclettica, partecipa e non poco. L’ibridazione di forme e stili diversi di danza, un must dei coreografi contemporanei, è la forma principale di espressione coreutica della Waltz, assieme a scene corali eppur sezionate a compagini di corpi e a un forte mimetismo coreutico, quasi una didascalia musicale.
Lo spettacolo, che nasce da una collaborazione con la Akademie für Alte Musik di Berlino e la Sasha Waltz & Guests, prevede la composizione ad hoc di un prologo, la cui musica è stata ricavata da materiale autenticamente purcelliano da Attilio Cremonesi (direttore della Akademie). Il prologo presenta il coup de théâtre più brillante dello spettacolo. Ancor prima che l’opera cominci (con evidente rottura della quarta parete), si presenta agli spettatori, che ancor si attardano a cercare il loro posto, una grande vasca sorretta da una struttura, una sorta di gigantesco acquario dove, ad opera iniziata, si tuffano dei ballerini mimi: sono il corteggio di marine divinità, Nereidi e Tritoni, che ammirano il sorgere dell’aurora e trovano le rovine cartaginesi sul fondo del mare. La loro danza è un piacere acquatico per gli occhi, finché non escono asciugandosi e la vasca viene svuotata; la scena successiva si svolge sul palco e mima una festa boschiva. Lo stile particolarissimo della Waltz emerge già dal I atto, tutto improntato su una duplicazione del carattere del personaggio fra cantante e mimo, con i cantanti che eseguono semplici schemi coreografici sul modello del mimo/ballerino, ipostasi metaforica del sentimento del carattere scenico. Le scene (Thomas Schenk e la stessa Waltz) sono minimaliste – il tutto potrebbe lasciarsi intendere come una stessa narrazione/ricordo del Narratore e quindi intendersi come scenografia onirica. Nel primo atto abbiamo inserzioni comico/assurde (come la lezione di danza e relative facezie fra nobili, che si lasciano ricondurre al filone del baroque nonsense, come ribattezzerei taluni eccessi registici). L’atto delle streghe (II. 1) è il più metaforico nelle sue linee di danza geometriche infiorate da grumi di persone che agitano mani per simulare incantesimi: l’effetto è assai gradevole e penetrante agli occhi. Ma grande aiuto dà il sapiente uso delle luci di Thilo Reuther, che ravviva una regia-coreografia che è appunto basata su una scenografia vivente. Momento di particolare poeticità è il finale III (dopo il commovente suicidio di Didone), dove a luci totalmente spente una donna accende delle candele sul palco in segno di lutto.
Uno spettacolo che si regge interamente, quindi, sull’impalcatura mimico-coreografica di una regia affatto singolare. La facies musicale è certamente gradevole: i complessi della Akademie berlinese sanno il fatto loro nell’accompagnamento barocco. Christopher Moulds, versato barocchista, dirige secondando una partitura che è sorretta da un uso quanto mai accentuato del basso ostinato (rimando ai begli interventi di D’Amico e Bietti sul programma di sala) e da una retorica alternata, non molto varia ma ben equilibrata, degli affetti musicali tipici del linguaggio barocco. Le voci sono gradevoli. Colpisce la rotondità e profondità della voce di Aurore Ugolin nel ruolo di Dido: le due celebri arie («Ah! Belinda, I am prest» e la finale «When I am laid in Earth») sono ricche di colori, di sfumature, e quella del suicidio particolarmente patetica. Aeneas è cantato da Reuben Willcox, dalla voce stentorea, penetrante e virile: ben cantato è il breve duetto Dido/Aeneas dell’atto III, il momento della partenza («Your Councel all is urged in vain»). La Belinda di Deborah York ha voce cristallina e ben intonata. Buoni anche tutti i comprimari e le loro ipostasi mimico/coreutiche.
Bella performance staglia un coro ben centrato, adatto al canto barocco, mai esagerato, come quello berlinese Vocalconsort. Lo spettacolo, che ha calcato molti palcoscenici internazionali europei (è in coproduzione con la Staatsoper Unter den Linden di Berlino, il Grand Théâtre de la Ville de Luxembourg e l’Opéra National de Montpellier) e si appressa a festeggiare il suo undicesimo anno di vita, non ha perso lo smalto provocatorio, anticonvenzionale che ne aveva improntato la nascita. Gli applausi segnano il gradimento del pubblico romano, che ha omaggiato lo spettacolo gremendo il teatro in ogni sua recita.
foto Yasuko Kageyama